Febbraio 2007, pp.256
Quante volte, invece, abbiamo sentito la stampa internazionale, i partiti di sinistra europei, le organizzazioni non governative, ministri e diplomatici di grandi nazioni, l’Onu stessa paragonare il sionismo all’imperialismo o addirittura al razzismo, e accusare Israele di colonialismo e crimini di guerra? Uno pseudopacifismo a senso unico che, per malafede o per incoscienza, non abdica al pregiudizio – storicamente infondato – secondo cui Israele occupa territori che non gli spettano.
Quel che è nuovo, oggi, è che Israele e tutti i suoi abitanti, sia ebrei sia arabi, sono direttamente minacciati di estinzione da parte del terrorismo suicida e di coloro che – come Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina, e l’Iran di Ahmadinejad, imminente potenza nucleare – negano che l’Olocausto sia un dato della storia, che Israele sia uno Stato legittimo e sovrano, e anzi affermano apertamente di voler cancellare il “nemico sionista” dalle carte geografiche.
Ma Israele siamo noi, perché la minaccia che lo sovrasta incombe su tutta la nostra civiltà occidentale, attaccata dall’estremismo islamico. Per noi europei cresciuti da un sessantennio nella bambagia della pace, Israele è un esempio di società democratica costretta ad affrontare una guerra di difesa per la propria sopravvivenza. Rifiutarsi di comprenderlo significa non voler vedere il futuro che ci attende.
Indice
Introduzione
1. Una generazione che ha perso la strada
2. Israele guerriero morale
3. Come inventarsi un criminale di guerra
4. “Mai più”? Il rischio di un nuovo Olocausto
5. Mai più
6. Restare se stessi: la sfida dell’ebraismo alla modernità
7. Il sionismo, una meraviglia della storia
8. Senza Israele, la sinistra non sa dove incontrarsi