Pubblichiamo il testo dell’intervento del vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello nell’Aula di Palazzo Madama durante il dibattito sulla fiducia al governo Berlusconi.
Signor Presidente, colleghi Senatori, signor Presidente del Consiglio,
settantaquattro giorni dopo l’ultima fiducia al suo Governo, dobbiamo chiederci che cosa sia accaduto in quest’arco di tempo. Si sono succeduti tentativi continui di delegittimazione nei confronti dell’esecutivo e del premier. Non mi dilungo in questa sede sull’infimo livello di bassezze fino al quale si è spinta questa aggressione. Mi limito a evidenziare che – ancora una volta con il gossip, con la strumentalizzazione di pettegolezzi e sussurri – si è tentato di offuscare il ruolo internazionale del nostro Paese.
Se si vuole far propaganda, andate pure avanti così. Continuate a estrapolare da Wikileaks le opinioni accuratamente selezionate di qualche funzionario d’ambasciata, particolarmente sensibile alla rassegna stampa. Tacendo magari di altri report, come quello in cui l’ambasciatore Thorne racconta in prima persona i giudizi lusinghieri espressi dal presidente Berlusconi e dal sottosegretario Letta nei confronti di leader dell’opposizione. A dimostrazione che per il centrodestra l’avversario non è mai nemico, e che quando c’è di mezzo l’immagine dell’Italia nel mondo, per noi le beghe di casa nostra passano in secondo piano.
Se invece vogliamo discutere seriamente, si deve prendere atto che in questi anni l’Italia ha rafforzato la sua posizione nel mondo, e lo ha fatto nel solco della migliore tradizione atlantica, che per il nostro Paese non ha mai significato mettere da parte l’interesse nazionale, a cominciare da quell’Alcide De Gasperi che a lungo avete dipinto come un servo degli americani. E se nel secolo scorso ci si è chiesti se fosse preferibile un’interpretazione filologica dell’atlantismo, o piuttosto la sua coniugazione con la vocazione mediterranea del nostro Paese e con la ricerca di un rapporto con l’allora Unione Sovietica, realizzata da uomini come Fanfani, Gronchi, Andreotti e Craxi, nel 2010 bisogna prendere atto che la guerra fredda è finita da un pezzo, e con essa l’assetto bipolare. E bisogna prendere atto, dunque, che per l’Italia segnare una propria specificità in politica estera è diventato un obbligo, come è un obbligo perseguire una politica energetica che garantisca al nostro Paese rifornimenti sicuri di gas, acquistato magari dove ce n’è di più e costa meno.
La verità è che mentre la crisi rafforzava in Europa le tentazioni di far saltare gli equilibri tradizionali per costruire egemonie e zone d’influenza, l’Italia ha giocato un ruolo da protagonista nella stabilizzazione del continente; nel salvataggio di Stati a rischio di fallimento; nella declinazione di un nuovo atlantismo che ha resistito all’avvicendarsi di presidenti americani democratici e repubblicani e al tempo stesso, nel solco di De Gasperi, ha saputo coltivare l’interesse nazionale nelle sfide del nuovo secolo: energia, immigrazione, mercati emergenti.
Consentitemi infine un’annotazione. Avete detto che Berlusconi non è in grado di fare miracoli. Anche su questo dovete ricredervi, perché voi che sfilavate con i vessilli arcobaleno accanto a coloro che bruciavano le bandiere americane, oggi elevate a vostro paladino un ambasciatore dell’amministrazione Bush in nome di qualche pettegolezzo antiberlusconiano!
Ebbene signor presidente, che le opposizioni candidate nel 2008 contro questo governo giungano a tale livello di strumentalità, non è giusto ma può anche starci. Ma che lo stesso accada a colleghi eletti sotto il simbolo del PdL e a lungo parte di questo esecutivo è francamente incomprensibile.
Ciò che è cambiato davvero, in questi 74 giorni, è che la crisi europea si fa sentire più forte, e dunque ad essa dovrebbe corrispondere un governo ancora più forte, per fondare una nuova stagione di crescita del Paese sulla stabilità politica ed economico-finanziaria. Ce lo chiedono l’Europa e le agenzie internazionali. E la classe politica dovrebbe preoccuparsi innanzi tutto di lasciare alle future generazioni una situazione diversa da quella che noi ci siamo trovati a dover gestire, cercando soluzioni per non crollare sotto il peso delle eredità del passato.
L’Italia ha il terzo debito pubblico senza essere la terza economia del mondo, e la voragine è stata scavata negli anni dei governi di unità nazionale, parenti stretti di quei governi di solidarietà che oggi si invocano. L’Italia, grazie a politiche suicide, paga un costo per l’energia incomparabile rispetto ai principali concorrenti europei. L’Italia ha una macchina statale costosa e inefficiente, perché a lungo il welfare è stato confuso con l’assistenzialismo.
Se davvero si vuole misurare la forza del governo e si considera il peso di questa eredità, non si può affermare, come ha fatto il presidente Fini a Bastia Umbra, che Tremonti ha preservato l’Italia dal baratro ma contestare i tagli lineari, perché senza quei tagli il baratro non l’avremmo evitato.
Non si può dire che la riforma dell’università del ministro Gelmini va nella direzione giusta ma che senza denaro è poca cosa, perché senza tagliare gli sprechi, i privilegi, le baronie, per i nostri giovani non ci sarà futuro.
Non si può applaudire l’operato del governo sul fronte della sicurezza, e accusarlo di aver ignorato le esigenze delle forze dell’ordine senza considerare lo sforzo continuativo di questa maggioranza che per dar loro il possibile ha raschiato anche il fondo del barile.
Vorrei dire senza polemica agli amici di Futuro e Libertà: un governo che per stessa ammissione del vostro leader salva l’Italia dal baratro, che raggiunge risultati storici per la sicurezza, che vara una riforma epocale per l’università, di certo non merita una mozione di sfiducia. Se invece si imbocca questa deriva, da utile stimolo si rischia di trasformarsi in partito della crisi che determina instabilità politica e persegue la crescita sulle spalle del debito pubblico.
Esattamente quello di cui l’Italia non ha bisogno. Esattamente ciò che l’Europa ci chiede di non fare. Esattamente quello che le future generazioni non meritano, perché oggi per il bene dei giovani non c’è bisogno di andare per tetti: c’è bisogno di rimanere saldamente con i piedi per terra.
Amici di Futuro e Libertà, dimostratevi all’altezza delle responsabilità che abbiamo condiviso per due annni e mezzo. Chi presenta una mozione di sfiducia provenendo dalla maggioranza deve sapere dove va a parare. Non può, a metà del guardo, chiedere aiuto a colui che ingiustamente si vorrebbe far fuori. Né è serio, di fronte alla prospettiva della sconfitta, accodarsi a chi copre il proprio vuoto politico bussando a qualche Procura.
Signor presidente del Senato, è il momento di mettere un freno all’ipocrisia. Quando si innescano processi come quello scatenato dalla mozione di sfiducia è normale che il mandato politico entri in conflitto con le scelte di coscienza. Noi abbiamo rispettato la scelta sofferta di quanti, anche in quest’aula, hanno lasciato il PdL. Pretendiamo però lo stesso rispetto per quanti, se ve ne saranno, oggi o domani decideranno di votare per questo governo partendo da posizioni differenti.
Se il rispetto reciproco non fosse scontato; se passassero come normali taluni incontri in sedi istituzionali che dovrebbero restare sopra le parti, e si condannassero invece i fisiologici contatti che la vita politica propone ogni giorno, introdurremmo nel nostro codice un nuovo reato: il reato di votare la fiducia al governo Berlusconi.
Colleghi senatori, se l’intento è rafforzare l’esecutivo, noi non chiuderemo la porta a nessuno. Così come da domani in quest’aula siamo disponibili a parlare di riforme istituzionali. E anche a considerare l’attuale legge elettorale non un tabù ma, come tutti i sistemi di voto, un prodotto empirico e approssimativo e perciò imperfetto. L’empiria e l’approssimazione, però, non possono spingersi fino a considerare quella vigente una buona legge se si sta sul carro dei vincitori, e additarla come una vergogna o addirittura una legge truffa quando si è diventati terzopolisti e si teme perciò, nel migliore dei casi, di arrivare terzi.
Concludo, signor presidente. Ci è stato rimproverato di aver messo da parte la rivoluzione liberale. Ma la rivoluzione liberale in Italia, per la nostra storia, è traguardo difficile da perseguire con tenacia, realismo e senza paura di sporcarsi le mani. Non si costruisce nei salotti televisivi e nei talk show, magari in maniche di camicia. In quei contesti, al più, si suona il piffero. E non vorremmo che dopo i tanti pifferai della rivoluzione del passato ci ritrovassimo ora con i pifferai della rivoluzione liberale.
Noi preferiamo restare ancorati a poche certezze. Noi non sputiamo sulla nostra storia, non rischieremo mai di diventare compagnon de route. Non strapperemo lo scettro dalle mani degli elettori ai quali l’abbiamo faticosamente consegnato dopo averlo sottratto ai partiti. Non diventeremo mai un’insorgenza dei salotti radical chic: preferiamo restare ancorati alla saggezza del popolo, anche a rischio di essere chiamati populisti. Amici di Futuro e Libertà, noi non vogliamo perdere il contatto. E dunque, annunziando convinti il voto a questo governo, chiediamo in particolare a voi di pensarci ancora una volta prima di negarla.