Non appena la maggioranza avrà ultimato i suoi giochi per assegnare la presidenza della Commissione Affari Costituzionali del Senato dopo la nomina a ministro di Anna Finocchiaro, vi è un disegno di legge il cui esame dovrà avere la priorità su tutti gli altri: quello per la riduzione del numero dei parlamentari (da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori) e lo snellimento del procedimento legislativo bicamerale.
La proposta, di cui sono primo firmatario e della quale martedì ho chiesto formalmente la calendarizzazione urgente in Commissione, è stata presentata nel pieno della campagna referendaria ed è stata sottoscritta da parlamentari di tutti i gruppi ad eccezione dei verdiniani di Ala e del Movimento Cinque Stelle. Sul fronte grillino, tuttavia, il collega Crimi ha manifestato disponibilità a un esame congiunto dal momento che una proposta simile è depositata in Senato anche su iniziativa del M5S. Difatti, quando in Commissione ho richiamato questa disponibilità, i rappresentanti pentastellati non hanno avuto nulla da obiettare.
A sostegno del disegno di legge, che in soli sei mesi può essere realisticamente approvato, vi sarebbe dunque un’ampia maggioranza parlamentare. Chi, da riformista, il 4 dicembre si è schierato per il No, conducendo questa battaglia darebbe il segno di voler andare avanti. E noi intendiamo condurla, non soltanto nel palazzo ma anche e soprattutto nel Paese. Chi ha invece sostenuto il Sì, quantomeno ha il dovere dire cosa ne pensa.
In ogni caso, se in questo scorcio di legislatura riuscissimo a consegnare all’Italia una legge elettorale equilibrata e funzionante e un sistema parlamentare meno ipertrofico, daremmo un poderoso contributo alla credibilità della politica.
Sappiamo bene che la riduzione del numero dei parlamentari non è “la” riforma e non esaurisce l’esigenza di una ragionata modernizzazione di cui le nostre istituzioni continuano ad avere bisogno. Ma può essere un primo passo per riaprire il cantiere e salvare il riformismo dal dissennato sperpero compiuto da chi ha gettato a mare la possibilità di una buona riforma che fosse anche condivisa nell’illusione di perpetuare e rafforzare per questa via il proprio potere.