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Ascoltando le polemiche in merito all’Analisi Costi-Benefici (ACB) per il tratto ferroviario TAV Torino-Lyon mi è sovvenuto un lontano ricordo dei tempi del servizio militare. Un ragazzo diciottenne, orfano di padre e con la sola quinta elementare, parlava del suo futuro e di una somma in denaro che gli aveva lasciato il padre. Il ragazzo si poneva il dilemma su come utilizzare tale somma, se comprare una casa per abitare con la sua fidanzata o un camion per lavorare. E, non avendo alcun dubbio, disse testualmente: “… la casa non porta il camion, il camion porta la casa…”. Nessun calcolo analitico in questa ACB, ma una scelta coraggiosa e ottimistica di investimento, sviluppo personale e crescita della propria posizione. Oggi quel ragazzo, che cominciò come padroncino del suo camion, è un piccolo imprenditore nel settore alimentare e i suoi figli, con ogni probabilità, studieranno all’università.

 

Ben lungi da generare un dibattito “elevato” sulle politiche di trasporto, commercio e sviluppo italiane ed europee, la pubblicazione da parte degli esperti nominati dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti dell’ACB del TAV ha innescato una polemica senza precedenti nel campo delle opere pubbliche in Italia. Il risultato dell’ACB condotta dal team guidato dal prof. Ponti rappresenta infatti una netta stroncatura per l’opera, anche includendo – per confronto – le penali e i costi necessari per fermare l’opera. Per lo scenario più ottimistico di benefici si arriva a uno sbilanciamento tra costi-benefici di 5,7 miliardi di Euro; nello scenario peggiore tale valore tocca circa gli 8 miliardi.

 

I costi tecnici per realizzare il TAV (nell’attuale progetto si tratta in pratica del solo tunnel di base tra le stazioni di Bussoleno e Saint Jean de Maurienne) sono stati stimati pari a 9,6 miliardi (di cui 3.0 miliardi a carico dell’Italia nonostante due terzi del tunnel ricadano in territorio francese) oltre a circa 1,7 miliardi per le opere di collegamento della rete ferroviaria italiana al tunnel e per le opere accessorie.

 

I benefici vengono calcolati sulla base del cosiddetto “modal shift” dalla strada (e anche dall’aereo, per i passeggeri) alla ferrovia grazie alla nuova linea TAV. Gli scenari più ottimistici utilizzati dal team di esperti si sono fondati sulle previsioni di traffico stilate, già dal 2011, dall’Osservatorio di Governo sul TAV. Negli scenari detti “più realistici” le stime di traffico vengono ridimensionate.  Nel primo caso si è ipotizzato che il traffico ferroviario delle merci passanti da Torino e dirette in Francia passerebbe dai 2,7 milioni di tonnellate annue del 2017 ai 51,8 del 2059 (con un incremento del 2.500%). L’incremento del traffico passeggeri sulla tratta internazionale (oggi circa 700.000 annui) arriverebbe a 4,6 milioni con un contemporaneo raddoppio dei passaggi regionali (da 4,1 a 8 milioni annui).

 

È evidente che, in un sistema di dimensione fissa, l’ipotesi ottimistica di crescita dei flussi di circa il 2.8% annuo implicitamente assume che il TAV sia in grado di attirare sulla nuova linea importanti percentuali del traffico merci e persone oggi transitante nei tunnel verso la Svizzera o al confine di Ventimiglia oltre a quelli ovvi oggi passanti dai trafori del Fréjus e del Monte Bianco. Nello scenario meno ottimistico il tasso di crescita dei flussi è posto pari al 1,5% annuo, con un ulteriore aggravio dell’esito dell’ACB. In sintesi, una bocciatura inequivocabile.

 

Tuttavia, a ben vedere, un attento esame del documento porta ad aprire un confronto su vari aspetti, se non addirittura di contestare nella sostanza importanti elementi e ipotesi alla base dell’analisi CB presentata. Uno dei membri del team ministeriale, il prof. Coppola, dissociandosi dall’analisi ed evidenziandone alcune incongruenze, arriva a sostenere addirittura un beneficio pari a 400 milioni di Euro.

 

Innanzitutto, un aspetto importante rilevato da molti è la modalità adottata di calcolo dei benefici (che nell’analisi del MIT si fermano a soli 800 milioni di Euro), la quale esclude il beneficio ambientale e al contrario evidenzia il ridotto gettito fiscale per lo Stato conseguente al trasferimento del traffico merci su rotaia (riduzione simultanea dei pedaggi pagati ai concessionari autostradali e delle accise sulla benzina). Tale approccio, utilizzato anche a livello internazionale, appare evidentemente penalizzare il vantaggio ambientale in quanto stima pari a 90 Euro l’effetto dei minori danni ambientali per ogni tonnellata di CO2. In tal modo i benefici ambientali, nell’ipotesi più ottimistica, ammonterebbero a circa 800mila tonnellate annue di CO2 in meno (che diventerebbero solo 500 mila tons nell’ipotesi realistica), ossia una quantità pari soltanto allo 0,5% delle emissioni inquinanti generate dai trasporti in Italia (in città come Milano e Roma si superano i 4 milioni di tonnellate annue di CO2…).

 

Un’altra sostanziale debolezza dell’analisi prodotta dal MIT è rappresentata dal fatto che la stessa considera un modesto tratto inferiore ai 100km dell’intero corridoio Lisbona-Lyon-Kiev lungo oltre 2.000km. Trattandosi di un corridoio regolato da una norma europea e da un accordo internazionale, l’ACB relativa a una piccola tratta del corridoio risulta praticamente insignificante in quanto la scala dei benefici generati dall’opera andrebbe allargata ben oltre il contesto transfrontaliero Torino-Lyon ma dovrebbe quantomeno includere l’industria del tri-veneto e i porti dell’alto Adriatico. Bloccare la TAV significa interrompere un corridoio trans-europeo, con un impatto negativo forte su tutte le economie del bacino padano, visto che i traffici con l’area danubiano-balcanica si sposterebbero così a nord delle Alpi.

 

Anche per quanto riguarda il traffico passeggeri, confrontando i tempi di percorrenza attuali e futuri ed estendendo l’analisi del traffico dal collegamento Torino-Lyon ai collegamenti tra alcune importanti destinazione europee (es. gli 850 km tra Milano e Parigi che verrebbero percorsi in 4 ore e mezza), si possono stimare circa 4,5 milioni di passeggeri coinvolti. Tale stima non appare essere stata presa in considerazione dall’analisi ACB. In sostanza, mentre da una parte si utilizzano parametri a scala europea, dall’altra si rimane circoscritti a un contesto nazionale.

 

Ulteriore vulnus non indifferente rilevabile nell’analisi è l’assunzione di un “tempo di vita utile” dell’opera pari a soltanto 60 anni. Tale ipotesi – secondo i responsabili dell’Osservatorio governativo sul TAV – non è stata adeguatamente motivata e contrasta con la logica aspettativa di vita di un’opera talmente importante. In tal senso, per esempio, RFI e TELT concordemente valutano in almeno 120 anni la durata del manufatto, ricordando come anche il vecchio traforo ferroviario del Frejus del 1861, immaginato e fortemente voluto da Cavour, è ancora in funzione.

 

I responsabili dell’Osservatorio governativo contestano infine la stima del costo totale riportato nell’ACB del MIT, ove il calcolo del costo della tratta transfrontaliera risulta errato non valendo 9,63 miliardi ma soltanto 8,79 miliardi di Euro e un costo di investimento complessivo pari a 10.493 milioni sovrastimato quindi di 1,04 miliardi, ossia del 10%.

 

Al di fuori dei numeri, i sostenitori della ACB del MIT rilevano che le scelte fatte (es. in merito all’impatto ambientale dell’opera) appaiono perfettamente logiche in un’analisi “economica” e che le ipotesi adottate rientrano in una prassi consolidata a livello internazionale, al punto da essere state incorporate anche nelle analisi dell’Osservatorio governativo, che in alcuni casi addirittura le sovrastimava rispetto ai valori utilizzati dalla commissione ministeriale. Le posizioni favorevoli al TAV, viceversa, arrivano a chiedersi se gli antichi Romani avevano svolto l’analisi costi-benefici prima di costruire le vie Appia, Cassia, Flaminia e Aurelia.

 

Ci preme qui rilevare come le argomentazioni di supporto alle opposte posizioni siano poco scientifiche, nel senso di risultare per molti aspetti carenti di dimostrabilità e ripetibilità delle prove, tanto dei presunti costi che dei benefìci. Non occorre essere esperti della Teoria degli Errori o della Teoria dei Sistemi Complessi per comprendere come, proprio per la complessità della tematica infrastrutturale e delle sue ricadute economiche, sociali e ambientali, variazioni anche piccole delle ipotesi alla base di un’analisi CB di un’opera come il TAV e/o errori (occulti?) anche minimi insiti negli algoritmi previsionali possono portare a conclusioni dell’analisi totalmente diverse. E questo avviene in ogni caso, ossia anche assumendo ottimisticamente di condividere, tutti e a priori, quali siano i costi e quali i benefici (condivisione peraltro molto difficile…).

 

Di conseguenza, le ACB assolute e quantitative di una determinata opera infrastrutturale forniscono intrinsecamente modellazioni deboli, statisticamente non robuste e la cui affidabilità e dimostrabilità è molto bassa. Le esperienze passate hanno più volte dimostrato l’inattendibilità di queste analisi, tanto per opere infrastrutturali datate, la cui potenzialità massima è emersa molti anni dopo la realizzazione (es. autostrada A14, Eurotunnel, ecc…), che per recenti progetti di sviluppo immobiliare i quali – viceversa – si sono mostrati fallimentari ab initio.

 

Al contrario delle ACB assolute, le ACB comparative ossia quelle che, utilizzando le stesse ipotesi e gli stessi algoritmi previsionali, pongano a confronto soluzioni alternative per risolvere il medesimo problema (es. il confronto tra tracciati diversi per collegare Torino e Lyon), posseggono un grado ben maggiore di affidabilità in quanto gli eventuali errori sistematici e la sensibilità dei modelli alle ipotesi iniziali giocano sostanzialmente lo stesso ruolo nelle singole analisi e pertanto si elidono nella comparazione delle stesse.

 

Orbene, dando per certo che per il TAV Torino-Lione l’analisi comparativa sia stata a suo tempo ben svolta portando alla scelta di realizzare l’opera secondo il progetto e tracciato attuale, ci appare oggi illogico e fuorviante insistere su analisi CB assolute dell’opera stessa, per giustificarla o meno. Tale situazione sta creando molta confusione nella gente che non viene messa in grado di formarsi un’opinione coerente sulla faccenda e quindi assume posizione pro/contro l’opera basandosi – aprioristicamente – sull’appartenenza politica, sulle sensazioni o addirittura sulla rabbia.

 

Questo disordine inficia sempre di più la fiducia nelle Istituzioni e negli esperti, secondo un trend ben descritto da T. Nichols in “The death of expertise”, Oxford University Press, 2017, le cui argomentazioni sono state copiate o veicolate da più parti (es. I. Tinagli, “La grande ignoranza”, 2019). Oggi gli esperti non sono più considerati affidabili fornitori di pareri qualificati, ma appaiono come odiosi sostenitori di un sapere elitario, di una τέχνη probabilmente inutile e distaccata dalle esigenze reali della gente. Si ritiene che, in qualsiasi discussione, tutte le opinioni siano ugualmente valide. Eppure sappiamo che così non è, che sapere una cosa non equivale a comprenderla. E l’incoscienza dell’incompetenza, rileva Nichols, è il fattore alla base del rifiuto dei pareri degli esperti e spiega la pericolosa attrattività dello strumento referendario.

 

In conclusione, non saranno quindi le opposte ACB a risolvere il dilemma del TAV Torino-Lyon. Men che meno, per quanto sopra, potrebbe oggi un referendum rappresentare lo strumento per una decisione saggia e lungimirante ma sarebbe piuttosto uno scaricamento dalla responsabilità politica della scelta. La motivazione di un’opera come il TAV certamente non è un salto nel buio, essendone già stata verificata la fattibilità tecnico-economica, ma non può che basarsi su una visione di sviluppo e crescita (come fu per la scelta del camion), senza l’alibi di fallaci algoritmi previsionali o di comode abdicazioni referendarie (Brexit docet…).

 

 

 

 

Prof. Ing. Bernardino Chiaia

Centro sulla Sicurezza delle Infrastrutture, Politecnico di Torino