Lo scorso 4 giugno, la Fondazione Magna Carta un convegno in occasione del centenario dello storico appello di don Luigi Sturzo, quello dedicato ai “Liberi e Forti”. Di seguito, pubblichiamo l’intervento del Rev. Nicola Bux.
1 – Il Sessantotto dei cattolici
Da giovani, in genere, ci si chiede come cambiare il mondo. Quelli del Sessantotto pensavano di farlo, superando ogni limite, fino al rifiuto del legame col diritto naturale. Ignoravano il fatto che la realtà dell’umana natura “resiste ai tentativi di trasformarla, di ri-crearla e divinizzarla secondo un progetto ideologico, che pretende di avere la soluzione per liberare l’uomo dai suoi bisogni e soddisfare i suoi desideri”. Il limite che si intendeva superare – rappresentato allora dalla Chiesa – è Dio. A quasi quarant’anni di distanza, alla vigilia del Conclave che lo avrebbe eletto, il card. Joseph Ratzinger, avvertiva: “Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Egli stesso, un decennio prima, aveva descritto il Sessantotto come una sfida lanciata alla Chiesa; la rivolta degli studenti che gli diede avvio “non fu un fenomeno d’urto abbattutosi dall’esterno contro la Chiesa, bensì è stata preparata e innescata dai fermenti postconciliari del cattolicesimo e da correnti della teologia protestante americana rivoluzionaria, che cronologicamente l’hanno preceduta”. Persino “Il processo di formazione del terrorismo italiano dei primi anni ’70 rimane incomprensibile se si prescinde dalla crisi e dai fermenti interni al cattolicesimo postconciliare”. Esso vedeva la Chiesa come forza sociale rivoluzionaria e non più come corpo di Gesù Cristo, in missione nel mondo, per fare la verità sull’uomo che, coscientemente o meno, la cerca. La ragion d’essere della Chiesa è salvare l’uomo, che ha estremo bisogno di incontrare Gesù; per questo è necessario annunciarlo, e i pastori sono chiamati innanzitutto a questo.
Ma l’idea di Chiesa era entrata in crisi. Ratzinger lanciò l’allarme nel 1985, col noto Rapporto sulla fede. Intervista con Vittorio Messori, ritenuto da alcuni storici la svolta del post-concilio. La causa prima della crisi ecclesiale, secondo lui, è il crollo della liturgia cattolica, nella quale è penetrata la fantasia mondana che conduce a ogni deformazione, come una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi. Infatti “…la caduta dell’uomo si poggia sulla contraddizione delle volontà, sulla contrapposizione della volontà umana alla volontà divina, che il tentatore dell’uomo fa ingannevolmente passare come condizione della sua libertà. Solo la volontà autonoma che non si sottomette ad alcun’altra volontà, sarebbe, secondo lui, libertà”.
La linea che separa il bene dal male attraversa il cuore dell’uomo. Dal bene al male, dalla verità alla menzogna è un passo solo, dice un proverbio russo riportato da Solzenicyn in Arcipelago Gulag. Dunque, anche dal male al bene è un passo solo. Tutto questo non va dimenticato mai, specialmente quando si tratta di politica. Attraverso la liturgia, che anticipa la gloria futura “La Chiesa deve preparare al divino…e così aiutare la società a trovare la sua autentica fisionomia morale”. Per questo, ogni volta che la domenica i cristiani celebrano la liturgia, compiono il massimo “atto politico”, perché dimostrano di obbedire a nessun’altra autorità se non a Dio.
Con papa Bergoglio, l’abolizione del limite è giunta al governo della Chiesa. Si pensi alla Cina: chi la trattiene più? All’interno il confucianesimo, e in Occidente, chi altri, se anche la Chiesa fa accordi col regime? Un progetto rivoluzionario a cui sono strumentali le categorie di derelitti che di volta in volta affollano il palcoscenico del mondo: i migranti, come i proletari di un tempo, i quali non s’accorgono di essere funzionali ai potentati geopolitici. Gesù, preavvertendo: “i poveri li avete sempre con voi”(Gv 12,8), ha marcato il confine tra l’utopia dei pauperisti e il realismo cattolico. Ora si predica una fratellanza universale senza annunciare il Padre, trasformando il cristianesimo in filosofia umanitaria, una neo-gnosi per la quale la salvezza è indipendente dall’appartenenza alla Chiesa. Viene ignorato il peccato e le sue conseguenze (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 407).
Ma il cristianesimo si trasforma in sociologismo quando si distacca dal legame col diritto naturale. L’Occidente, senza la Chiesa, è destinato a crollare. Questo è il senso dell’appello di Ratzinger agli atei, quando chiede di vivere come se Dio esistesse (etsi Deus daretur). Perché, se Dio non esiste, ha ragione Sartre: l’uomo è “una passione inutile”; o come diceva Heidegger: è “un essere per la morte”. L’uomo ha bisogno di vedere che esiste un modo umano per morire e ancor prima per soffrire, e questo modo è il grande amore di chi gli sta vicino, tenendogli e accarezzandogli la mano. Non si tratta appena di assistere chi soffre, ma di essere una sola cosa con lui, come Gesù che si è fatto uno di noi, mostrandoci che non solo vale la pena di vivere ma che non c’è ferita che gli impedisca di abbracciarci.
2 – La Chiesa in Europa
Mi si permetta di commentare un’ampia citazione di Sergio Belardinelli circa l’idea che la civiltà liberale sia “il più importante dono dell’Europa moderna al mondo” e nello stesso tempo “il frutto maturo della tradizione cristiana”. Il dramma dell’Europa di oggi è che questo antagonismo tra Gerusalemme e Atene si è spento: “L’Europa che abbandona la Chiesa e la Chiesa che abbandona l’Europa rappresentano in modo paradigmatico lo svuotamento della ‘vitalità’ di entrambe le città”. Per di più la Chiesa, nel suo attuale magistero, “sembra avvalorare gran parte degli stereotipi che sono tra i responsabili della crisi dell’Europa stessa”. Belardinelli fa questo esempio: “Ammettiamo pure che il magistero dei pontefici precedenti a papa Francesco sia stato troppo concentrato sui temi cosiddetti ‘non negoziabili’, come vita e famiglia. Ma siamo sicuri che il fatto di privilegiare ora altri temi, come l’ambientalismo, la critica del mercato capitalistico o il terzomondismo, sia da considerarsi un passo avanti? […] Ho l’impressione che la denuncia delle cause di questi mali che viene oggi dalla Chiesa sia troppo ‘umana’. È un po’ come se, additando il mercato e il liberismo come i principali responsabili – imputazioni peraltro assai opinabili –, venga edulcorata la tremenda, tragica, serietà del male che viene denunciato. Con la conseguenza che lo slancio profetico della denuncia si indebolisce proprio per il fatto di apparire troppo legato alle logiche del mondo, troppo politico e troppo poco escatologico”.
A giudizio di Belardinelli, oggi la Chiesa “dà spesso l’impressione di cadere in quel moralismo, assai di moda, al fondo del quale sembra stare una sorta di incapacità di distinguere tra religione, morale e politica”, la cui differenziazione è invece una delle più importanti conquiste della civiltà europea. E porta quest’altro esempio: “Quando la Chiesa cattolica si fa portatrice di un messaggio di accoglienza a salvaguardia della dignità di ogni uomo, a prescindere dalle sue appartenenze religiose o culturali, implicitamente difende la migliore identità dell’Europa. Ma il fatto che lo faccia senza guardare alle conseguenze che potrebbe avere sui Paesi europei un flusso migratorio fuori controllo indica un deficit di realismo politico certamente preoccupante, […] non compensato da nessun’altra parte, né dalle istituzioni europee, né dagli Stati nazionali. […] L’Europa appare così come un continente alla deriva, dimentico di sé, proprio nel momento in cui sulla scena geopolitica si muove un protagonista per il quale pluralismo e libertà non sono affatto scontati: l’islam. Sono islamici i Paesi dai quali proviene la maggior parte dei disperati che bussano alle nostre porte; è di matrice islamica il terrorismo che in questi anni ha insanguinato le principali capitai europee; sono islamici i Paesi che non tollerano la presenza di Israele nel mondo arabo; in poche parole, è l’islam a fare da catalizzatore dei principali problemi del nostro tempo”.
Per la Chiesa cattolica “ciò comporta una serie di conseguenze che toccano la sua dimensione organizzativa, pastorale, nonché teologico-dottrinale”. Annota ancora Belardinelli: “la società secolare, per quanto la cosa possa sembrare sorprendente, ha urgente bisogno che da qualche parte ci sia qualcuno che parli di Dio con una lingua che non sia troppo mondana. […] Ma di quale Dio si deve parlare? Con Pascal è senz’altro opportuno uscire dalla prospettiva ingiusta del ‘Dio dei filosofi’ ed entrare in quella del ‘Dio di Abramo e di Gesù Cristo’. Tuttavia non mi sembra ragionevole che questo Dio che è amore e misericordia venga concepito addirittura in contrasto con ‘l’essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra’, come si recitava nel catechismo. […] Un Dio che non sia onnipotente e non abbia creato il mondo non può essere Dio. Come hanno ben compreso Leo Strauss e Joseph Ratzinger, tanto per fare due nomi significativi, il mondo ha senso soltanto perché è stato creato da Dio. […] Ma affinché questo Dio torni a essere un concetto generativo di forme di vita ecclesiali e sociali, c’è bisogno soprattutto di fede”.
Colpisce questa citazione di Ratzinger nel pieno di un discorso su Dio, che è anche il cuore di quegli “Appunti”, resi pubblici dal papa emerito, in aprile 2019,sulla rivista tedesca Klerusblatt, che tratteggiano la sua visione dell’attuale crisi della Chiesa cattolica. Ma non è un “parlare di Dio”, quello invocato da Belardinelli, che comporterebbe un’estraniazione della Chiesa dal mondo. Anzi: “Ciò implica una chiara consapevolezza, […] nonché la fiducia che sia proprio lo specifico della religione, ossia il discorso su Dio e la fede quale suo ‘medium’ privilegiato, a produrre quel ‘rumore ambientale’, come lo chiama Luhmann, che riesca a farsi sentire anche sugli altri sistemi sociali, costringendoli a tenerne conto. […] Proprio perché si specializza nella propria funzione, che è quella di parlare di Dio, rinunciando a perseguire direttamente scopi di tipo politico, la religione potrebbe scoprirsi politicamente molto più urticante e rilevante di quanto lo sia nella sua versione di ‘religione civile’”.
Di questa conflittualità la Chiesa non deve avere alcun timore, conclude Belardinelli, perché, come diceva Strauss, “sta proprio in questa conflittualità il segreto della ‘vitalità’ dell’Europa e della cultura occidentale”. Mentre al contrario “sta nella stanchezza sia della politica sia della religione il vero problema dell’Europa di oggi”. “Le grandi difficoltà nella convivenza sociale e politica di oggi derivano dal venir meno del senso morale connesso, quale suo ultimo garante, con il senso religioso”.
Dunque, non sarebbe opportuno che i vescovi europei, indirizzassero le Fondazioni e gli Osservatori sulle migrazioni, nella direzione della missione propria della Chiesa, che è quella di insegnare il vangelo alle genti, e ancor prima ai popoli delle nazioni europee loro affidate, che hanno apostatato in gran parte dalla fede cattolica, spesso a causa dell’ignoranza catechistica, divenendo di conseguenza immorali o amorali?
3 – Il fondamento morale della politica
La politica, come qualsiasi altro ambito, non solo non è autonoma dalla morale – dall’etica, come ripetono spesso i politici – ma ha bisogno della religione, non in senso accidentale, come avviene oggi, allorché i vescovi si impicciano di ambiente e lavoro sui quali né Cristo né la Chiesa hanno dato loro alcuna competenza (qualcuno ha scritto che la religione non è un’ambulanza). La politica ha bisogno della religione e della morale per essere vera politica, cioè essere legittimata e non asservita a una parte o all’altra. Quando invece la politica irride o strumentalizza la religione, essa stessa si fa dio. Non pensiamo ai totalitarismi del ventesimo secolo ma al laicismo attuale che è una anti-religione. Così, allorché la politica elimina Dio dal suo orizzonte e dallo spazio pubblico, non diventa neutra, come qualcuno crede, ma è faziosa e contro Dio. Come Benedetto XVI ha insegnato, la vera laicità sussiste quando dipende direttamente dalla morale e indirettamente dalla religione. Ma ci sono le religioni – per esempio l’islam – che sono radicalmente in contrasto con la ragione politica; perciò la politica non può mettere sullo stesso piano tutte le religioni, ma deve porsi il problema di quale sia la vera religione: ossia quella che si rifà al diritto naturale e che chiede agli stati di rispettarlo, perché risulta tale anche alla ragione. Pertanto, come Benedetto XVI ebbe a rimarcare nel discorso al Parlamento di Berlino nel 2011, la politica non ha bisogno di una religione integralista che vorrebbe fare della Rivelazione una legge civile, né di una religione irrazionale, senza legami con la ragione politica, ma di una religione che garantisca l’autonomia della politica fondata appunto sul diritto naturale, dipendente direttamente dalla morale e indirettamente dalla religione. La religione cattolica, nella quale la Chiesa tiene distinti il potere temporale da quello spirituale, è la vera religione, che consente alla politica quella legittimazione dall’Alto che limita il rischio di non incorrere in deliri di onnipotenza.
Senonché gli uomini di Chiesa, che dovrebbero annunciare questo, sono investiti dalla crisi della fede in Cristo – non pochi parlano di ecclesiastici atei – dalla quale è scaturita la crisi della fede nella norma assoluta, l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, e perciò nel fatto che certi principi non sono negoziabili. E la Chiesa muore nelle anime. Tuttavia, va ricordato che “La Chiesa non può e non deve confondersi con gli uomini di Chiesa, com’è certo che questi non sono la Chiesa. Identificare papi, cardinali, vescovi, parroci e fedeli con la Chiesa, equivale a sopprimere questa, ossia negarne l’origine e la natura, l’autonomia dei suoi poteri, la trascendenza della sua storia e del suo destino. In breve: significa avvilire la Chiesa a livello di ogni società umana”.
Inoltre, sono disprezzati i principi della morale. “Nel magistero di Benedetto XVI, trattati da Giovanni Paolo – ricorda Stefano Fontana – hanno assunto l’espressione di “principi non negoziabili”. “Il significato era politico: ci sono dei principi morali che non possono essere oggetto di trattativa”…altrimenti “è l’intera società che ne risente e che viene danneggiata in una sua fondamentale esigenza, ossia quella di fare riferimento a norme assolute e contraddire il relativismo etico …Tali norme, per essere assolute, devono essere non solo morali ma anche fondate su Dio, il primo legislatore” .
Se Dio viene meno, chi trattiene più il principe di questo mondo? Qualcuno deve prendere il posto di Dio: per esempio, la Corte di Cassazione. Il genere umano viene relativizzato dalla tesi per cui la morale può essere definita solo in base agli scopi dell’agire umano, come pensava Machiavelli. Siamo poi al paradosso – circa l’uomo – della contrarietà alla legge naturale, a cui si oppose Giovanni Paolo II con l’enciclica Veritatis Splendor e il Catechismo della Chiesa Cattolica, affermando che vi sono azioni che non possono mai diventare buone. Appunto “ci sono beni che sono indisponibili” e “ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al di sopra anche della conservazione della vita fisica”. “Dio, è più anche della sopravvivenza fisica”. Il martire non è la stessa cosa dell’eroe. Dunque, l’aborto e l’eutanasia avvengono a prezzo del rinnegamento di Dio: è l’ultima menzogna. Chi ha fede e/o ragione, deve difendere questo. Si pensi al mare: se lo fermi da un lato, va dall’altro. Se togli Dio dallo spazio pubblico e dalla coscienza, qualcuno o qualcosa deve prenderne il posto, come sta accadendo con la divinizzazione del cosiddetto ambiente.
4- Il compito dei cattolici oggi
Il card. Carlo Caffarra, nel suo ultimo intervento pubblico di cui sono testimone, constatava che gli uomini, quando hanno tentato di stabilire la giustizia, hanno commesso abomini. Infatti, l’esito dei processi umani è oggetto non di rado di opposte valutazioni. A questo mondo non ci sarà dunque giustizia? Sì, se l’uomo ascolta ciò che Gesù disse a Pilato: “Non avresti nessun potere se non ti fosse dato dall’alto” (Gv 19,11), e ciò che san Paolo ha scritto ai Romani: “Non vi è potestà se non da Dio”. Ora, il cristiano dovrebbe sapere che nessun uomo può comandare su un altro uomo senza la legittimazione dall’Alto, che stabilisce se sia giusto che governi. Sbrigativamente, invece, i politici rispondono che si governa per servire il bene comune. Chi stabilisce quale sia? Non gli elettori, i quali al massimo possono decidere chi debba governare. Solo Dio che è il sommo bene può fare da garante di chi voglia governare sull’uomo in modo morale. Per questo, una volta, dei sovrani, si diceva che regnavano per grazia di Dio e per volontà della nazione. Chi non fosse d’accordo, dovrebbe dire su cosa si dovrebbe fondare il governo dell’uomo sull’uomo, senza diventare sopruso e dittatura totalitaria o assoluta, cioè sciolta da ogni altro vincolo. Senza Dio che stabilisce il bene e il male, nessun ordine o giustizia è possibile e il potere politico non ha alcuna legittimazione morale. L’ignoranza o la confusione tra designazione dal basso e legittimazione dall’Alto, ha portato alla sfiducia nella politica. Si può dire che l’autorità politica, pur designata dal basso, se non fa il bene, non è legittimata dall’Alto. E per questo alla prima occasione, l’uomo cerca di destituirla o rovesciarla, come dimostra la sequenza interminabile di rivoluzioni. Questo i cattolici devono ricordarlo.
E’ oggi ricorrente – anche da parte di vescovi – la denuncia della corruzione dei politici di turno e dello strapotere delle mafie, e l’appello alla legalità, così si preferisce ricorrere alla Costituzione italiana piuttosto che al Vangelo. Si dimentica che la redenzione degli uomini, feriti per natura dal peccato originale, in quanto figli di Adamo ed Eva, l’ha compiuta Gesù, non la legge o gli appelli alla legalità.
J.H.Newman, riflettendo sulla storia della Chiesa, afferma: “ la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o(come direbbero i non credenti)di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano fra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, alle corti dei re o tra le varie moltitudini. E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli”. Un monito che manifesta la sua attualità, dinanzi all’apostasia di quella che fu l’Europa cristiana. Tornare a Dio, convertirsi e dare testimonianza fino al martirio: questo rafforza tutti nella lotta contro il peccato.
L’alternativa posta da T.S.Eliot, nei cori dalla Rocca, se fosse l’umanità ad aver abbandonato la Chiesa oppure la Chiesa l’umanità, può trovare risposta solo se i cattolici tornano a guardare a Cristo, il quale è venuto nel mondo per un giudizio, perché coloro che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi(cfr Gv 9,40). La Chiesa non deve aver vergogna di Cristo. Altrimenti, argomenta san Gregorio Nazianzeno, che differenza ci sarebbe tra un uomo e gli animali? Nasciamo, cresciamo, mangiamo, camminiamo, riposiamo, soffriamo e moriamo… “ma io cosa ero più di loro. Nulla se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita”.
Dosto’evskij ha detto che se Dio non esiste, tutto è lecito. Senza Dio non esistono valori, perché codesti scaturiscono dalla conoscenza e dall’incontro con Lui. Dunque, la Chiesa non è stata inviata a denunciare ma ad annunciare Lui e il suo vangelo.
Proprio mentre ferveva il dibattito sulle radici giudaico-cristiane, J.Ratzinger chiedeva di difendere due cose della grande eredità europea: la razionalità e la fede. Egli osserva: “I padri della Chiesa hanno visto la preistoria della Chiesa non nelle religioni ma nella filosofia. Erano convinti che i ‘semina Verbi’, logos spermatikos, non erano le religioni ma il movimento della ragione cominciato con Socrate che non si accontentava della tradizione ma sorpassava le tradizioni per trovare ciò che è vero, e trovarlo con la forza della ragione…La razionalità è voluta dalla fede (Cfr 1 Pt 3,17). Cioè la vostra speranza, che è identica alla fede, porta con sé un logos e questo logos può divenire una apologia, una risposta che può essere comunicata agli altri. La razionalità era quindi postulato e condizione del cristianesimo, e rimane un’eredità europea per confrontarci, in modo pacifico e positivo, sia con l’islam sia con le grandi religioni asiatiche. Seconda cosa: questa razionalità diventa pericolosa e distruttiva per la creatura umana se diventa positivista e riduce i grandi valori del nostro essere alla soggettività, e diventa così un’amputazione della creatura umana”.
Per promuovere tutto ciò, Fabio Torriero postula un cartello antropologico identitario, oltre gli schemi sinistra-destra, oltre il movimentismo e il popolarismo di Sturzo, la cui libertà e forza erano comunque nella fede. Un manifesto di valori non negoziabili? Anche dopo il flop del PDF. Il punto è che non abbiamo i pastori con noi. Non c’è l’intellettuale organico come diceva Gramsci, ossia la Chiesa. E allora?
Dinanzi a questo sconvolgimento morale, come scrive papa Benedetto, negli Appunti dell’11 aprile 2019, dobbiamo “iniziare di nuovo noi stessi a vivere di Dio, rivolti a Lui e in obbedienza a Lui”. Per chi non è credente, a rivolgersi alla ragione. Mi sembra che ciò sia in continuità col pensiero del Servo di Dio, don Luigi Sturzo.
Questa è la sostanza e anche il modo di fare dei cattolici: nulla anteporre a Dio, come san Benedetto; chiedere una fede retta, come san Francesco. Questa è la riforma della Chiesa: 1. cominciare da se stessi. 2.costituire minoranze creative. 3. non rifiutare quanti non sono contro di loro ma per loro. Soprattutto, bisogna fare missione al popolo, perché esso è esistenzialmente anti Sessantotto; bisogna predicare la conversione, perché devono cambiare gli uomini, prima di aggiornare gli strumenti; per questo, non c’è strumento più potente dei sacramenti.
La Chiesa è cattolica, come dice san Cirillo, perché “è destinata a condurre tutto il genere umano, autorità e sudditi, dotti e ignoranti, al giusto culto”. Il giusto culto riparte dalla fede e dall’eucaristia, perché, recitano le orazioni del Messale romano, Dio, rinnova il mondo con i suoi sacramenti, nei quali ha posto il rimedio alla nostra debolezza. Soprattutto il sacrificio eucaristico: “Questo sacrificio (di Gesù Cristo) è così gradito e accetto a Dio, che egli non può fare a meno – non appena lo guarda – di avere pietà di noi e di donare la sua misericordia a tutti quelli che veramente si pentono. Inoltre è un sacrificio eterno. Esso viene offerto non soltanto ogni anno, come avveniva per i Giudei, ma ogni giorno per nostra consolazione, anzi in ogni ora e momento, perché ne abbiamo un fortissimo aiuto. Perciò l’Apostolo soggiunge: “dopo averci ottenuto una redenzione eterna”(Eb 9,12).
In tal modo, come sottolineava Caffarra, il Signore opera, in silenzio e con poche persone.