Privacy Policy Cookie Policy

L’emergenza Coronavirus ha cambiato repentinamente le nostre abitudini quotidiane e stravolto gli equilibri familiari e lavorativi di gran parte dei cittadini italiani. Crediamo sia utile, tanto dal punto di vista culturale quanto da quello sociale, riflettere un poi più a fondo su ciò che ci sta succedendo e, soprattuto, su quali insegnamenti potremmo portare con noi da questa esperienza. Proprio a questo scopo abbiamo chiesto ad alcuni amici della Fondazione, ciascuno con profili professionali differenti e di età diverse, di mandarci le loro considerazioni. Questa rubrica temporanea, che abbiamo pensato di intitolare CONTRA VIRUS, ci accompagnerà durante le settimane che ci separano dal ritorno alla “normalità”. Dopo le prime riflessioni di un giovane imprenditore, Marco Saccone, il contributo scritto da Alessandra Faggian, Prorettore con Delega alla Ricerca del Gran Sasso Science Institute (GSSI) e Vice Presidente della Società degli Economisti Italiani (SIE) e lo scritto del Prof. Giovanni Minnucci, Professore Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno – Università di Siena, proponiamo oggi il quarto contributo di Silvia Pelizzoni, giovane consulente di gestione e avvocato.

********

di Silvia Pelizzoni, consulente di gestione e avvocato, ESCP Executive MBA candidate (2019-2022)

 

Lo stile di vita e di lavoro a cui eravamo abituati si è fermato sei settimane fa. 

Questo pensiero mi accompagna ogni giorno da quando è scoppiata la pandemia, direi che quasi ne sono perseguitata. A gennaio la Cina sembrava così lontana, poco dopo siamo stati travolti anche noi dal virus SARS COV-II e ci siamo fatti trovare totalmente impreparati. 

Incredulità e sgomento i sentimenti che hanno pervaso me e il mio gruppo di lavoro. Sin dall’inizio, i pensieri si sono rivolti alle persone coinvolte, ancorché lontane. La paura del contagio ha evidenziato con forza una condizione spesso dimenticata: la fragilità degli esseri umani, particolarmente lontana dallo stile di vita dei Paesi sviluppati, dove ogni momento è scandito da doveri, lavoro, impegni. 

Le immagini dei telegiornali, le notizie sui quotidiani, la continua ricerca di fonti attendibili per capire se tutto ciò che stava accadendo fosse vero hanno condotto alla crescente consapevolezza che l’emergenza sanitaria era – ed è – reale, non come nel peggiore film fantascientifico che io abbia mai visto, ma quale nuova violenta quotidianità. 

Dopo una notte insonne a seguito della circolazione della bozza di decreto contenente le prime misure di lock-down ricordo di avere guardato la luce del mattino con la viva speranza di leggere sul giornale le normali e consuete notizie di politica, cronaca e cultura. Quelle pagine riportavano invece il bollettino dei contagiati, dei primi morti, dei racconti drammatici degli operatori sanitari costretti a turni massacranti. 

Il carico emotivo di questo momento è drammatico per tutti: molte persone hanno perso e stanno perdendo la vita contro un nemico invisibile, lontano dal rassicurante affetto dei loro cari. La diffusione del virus ha inciso profondamente sui nostri costumi: non possiamo riunirci in occasioni conviviali o religiose, sono sospese le cerimonie e i funerali; ci viene negato persino l’ultimo saluto ai nostri cari. 

E’ stato chiaro sin da subito che il futuro dei giovani sarebbe stato completamente sovvertito: i progetti, le aspirazioni e i sogni dovranno necessariamente trovare una nuova forma dopo un lungo e inevitabile periodo di sospensione che ci traghetterà verso una nuova e diversa normalità nella vita privata e professionale.

Di fatto, accanto alla tragedia del contagio, delle vittime, rappresentata dalle indelebili immagini delle file di camion dell’esercito che trasportano da Bergamo le salme di troppe persone, si consuma giorno dopo giorno il dramma economico di un Paese costretto a fermarsi con il rischio di non riuscire a ripartire.

L’attuale posizione professionale mi porta, da settimane, ad affrontare le molte preoccupazioni legate ad un’adeguata gestione del presente e alla pianificazione del futuro perché il lavoro di artigiani, commercianti, imprese, lavoratori autonomi, professionisti, ma anche delle multinazionali di ogni settore, ha subito un terribile cambiamento, uno shock.

L’impatto sulla mia vita e sulle attività che seguo, sia in qualità di consulente sia in qualità di direttore amministrativo, è stato sconvolgente. Prima ancora dei decreti ufficiali e delle bozze (incautamente fatte circolare senza motivo prima dell’emanazione del testo definitivo) e anche grazie ad alcuni contatti che intrattengo con la Cina, avevo capito che davanti a noi si sarebbero profilati mesi di rallentamento o di totale fermo dell’attività lavorativa.

Senza aver del tutto metabolizzato i timori di un futuro incerto, mi sono trovata costretta a rivedere completamente la nostra agenda professionale: l’attività ordinaria è stata fortemente ridotta per dare spazio alla gestione delle urgenze, alla attività straordinaria, non prevista e imprevedibile, con la necessità di capire cosa fare nella confusione di nuove regole di difficile interpretazione. 

Ancora una volta, questa crisi, innescata da un fattore estraneo al nostro sistema economico, ha confermato quello che negli ultimi cinque anni ho imparato a caro prezzo, ossia che non è per niente semplice assumere decisioni che investono noi e gli altri, specialmente in momenti caratterizzati da una forte tensione sociale.

Articoli di blasonate riviste economiche fanno notare che gli imprenditori e i direttori di piccole o grandi imprese devono possedere la dote della resilienza – concetto di cui oggi si fa largo uso e abuso – per assumere decisioni in maniera rapida ed efficace, modificando, se occorre, i propri obiettivi, adattandoli ai momenti più difficili. 

Se fino a qualche settimana fa l’obiettivo delle aziende era quello di accrescere la competitività, aumentare la propria produttività investendo su ricerca e innovazione, ora invece sembra che la preoccupazione maggiore sia quella di conservare, per il bene dei singoli imprenditori, dei lavoratori e del sistema economico nel suo complesso, quanto costruito in anni di fatiche, concentrandosi su come impostare un nuovo modo di lavorare. 

Consapevole di ciò, mi sono chiesta come poter assumere decisioni sensate senza avere quello che serve per una pianificazione efficace, ossia almeno qualche piccola certezza da cui iniziare.

In circostanze normali, sono abituata a basare le mie decisioni su regole, norme o prassi consolidate e più in generale attingendo al bagaglio culturale basato sulla esperienza maturata personalmente o tramandatami da altri. 

In questa situazione emergenziale, invece, sono chiamata, come tutti, a prendere decisioni in condizioni non ordinarie, senza averne alcuna esperienza diretta e soprattutto con rapidità, che è notoriamente nemica della perfezione. 

Davanti a me un foglio bianco, dietro di me un’esperienza di crescita dalla quale non potrò agevolmente attingere.

Come si gestisce allora un cambiamento che coinvolge l’intera collettività? 

In questo tempo rallentato e dilatato, caratterizzato dal distanziamento e dall’isolamento, ho fatto tesoro dell’esperienza maturata nel corso degli anni dedicati alla preparazione universitaria e post universitaria (ove ho appreso la dote dell’autodisciplina) e mi sono concentrata sulla analisi della mia attività ordinaria, nonché sull’approfondimento di quella che illustri studiosi hanno definito come “la più grande e costosa (in termini di risorse umane ed economiche) prova di change management in tempi di pace”. 

Dopo avere metabolizzato lo shock iniziale, l’urgenza del cambiamento, determinata dalle nuove procedure che tutti dovremo adattare al nuovo assetto quotidiano, impone di ripensare a un nuovo e più sostenibile modo di lavorare. 

Spesso la sera ripenso a queste ultime settimane, al crescendo di divieti, a come ho reagito alla situazione, a cosa io abbia fatto di diverso nonché al mutevole approccio che ho adottato. 

In un primo momento, pur spaventata dall’incertezza dei flussi di lavoro, ho dovuto allontanare le paure per trasmettere fermezza, iniziando ad agire per adattare l’attività professionale ad una costante e crescente evoluzione. Ricordo che nelle prime settimane qualsiasi protocollo e comunicazione erano rivisti e riadattati di giorno in giorno. Le disposizioni sul distanziamento sociale continuavano ad essere introdotte in modo crescente e non era chiaro quali dei nostri servizi potessero essere portati avanti oppure no. Sono ancora vivi nella memoria i sabati e le domeniche in cerca di certezze, per poi proporre al mio team modelli adeguati ad inizio settimana, nel tentativo di dare linee guida rassicuranti, tutto reso ancor più difficile dalla necessità di proteggere il mio team di lavoro dalla disinformazione dilagante guidandolo verso una prospettiva di ricerca e approfondimento delle fonti normative e regolamentari corrette, della più attinente e oggettiva interpretazione delle disposizioni non sempre cristalline.

Successivamente Governo e Regione hanno incrementato le misure restrittive della circolazione delle persone potenziando il distanziamento sociale costringendoci  a gestire le attività quotidiane in maniera diversa. Tali misure ci hanno infatti portato a cambiare le modalità di comunicazione con collaboratori, fornitori e altri studi inducendoci ad utilizzare strumenti differenti per comunicare le disposizioni dovute e a rendere efficienti metodi di collaborazione a distanza, facendo maggiore affidamento gli uni sugli altri. 

Quanto alla mia esperienza diretta, su base giornaliera mi informo, cerco diverse fonti e studio modelli economici che possano funzionare alla ripresa, con la consapevolezza che potrebbe essere richiesta molta elasticità nella loro attuazione.  Immagino già di dover convincere il mio team a riadattarsi a una situazione di vana stabilità, dove le regole assunte dovranno essere riviste e rivalutate di settimana in settimana, con conseguenti difficoltà di gestione per le famiglie, grande flessibilità e comprensione da parte di tutti. 

Uno dei principali obiettivi è, già da ora, mettere in sicurezza collaboratori e dipendenti, un lavoro complicato dalla difficoltà di reperire i presidi di protezione richiesti per poter svolgere ogni attività lavorativa in sicurezza. 

Perseguire questo valore significa modificare, di conseguenza, tempi di lavoro effettivo, orari settimanali, turni e la stessa modalità di esecuzione delle attività quotidiane, circostanza che può incidere sulla pianificazione finanziaria e sui volumi di lavoro (ridotti) che dovranno tenere conto dell’impatto economico ed emotivo che subiranno, anche, le abitudini di consumo delle persone.
Ciò che preoccupa e rende difficile una solida pianificazione non è solo la mancanza di protocolli a cui adeguare la propria attività dal momento che, con buon senso e in mancanza di linee guida, ogni azienda, piccola o grande, può cercare di trovare una propria modalità di fronteggiare il contagio. Di fatto, tra professionisti e imprenditori, sembrano diffuse forti preoccupazioni, legate al momento effettivo in cui si potrà ripartire, nonché alle risorse economiche a disposizione.

La situazione che viviamo, di blocco semi totale delle attività di produzione e servizi, non ha connotati normali. Fatte salve le aziende legate alle filiere produttive necessarie (che comunque hanno subito inevitabili modifiche gestionali), le altre sono tutte ferme o molto limitate. Pertanto, per evitare che le conseguenze sul piano economico siano irreversibili, vi sarebbe bisogno di interventi concreti e rapidi. 

E’ chiaro a tutti che il tempismo sia un valore fondamentale quando si tratta di flussi economici: maggiore è il tempo della confusione, dell’incertezza, del calo di fiducia nelle istituzioni (che sembrano purtroppo occuparsi più del dibattito sterile che della esecuzione tempestiva delle misure proposte nelle ultime settimane), maggiore è il rischio di uno stallo del sistema economico, nazionale, europeo, mondiale. 

In concreto tutto ciò rischia di portare alla perdita di posti di lavoro e a una riduzione drastica della domanda, con un conseguente effetto domino su produzioni e operatività delle aziende. 

Non è accettabile un sistema politico, nazionale ed europeo, che non sappia conservare e preservare quei settori che prima della crisi sanitaria, in circostanze normali, non avrebbero subito crisi, se non per questioni endogene o esogene impreviste.

Al di là dei singoli provvedimenti, che dovrebbero avere la costante comune di fornire liquidità a persone e aziende, credo si possa sostenere che forse il cambiamento richiesto a tutte le realtà aziendali e a tutti i cittadini nelle loro vite private, debba essere preceduto da un sostanziale piano di modifica dei farraginosi sistemi burocratici italiani ed europei. Probabilmente chi ci rappresenta dovrebbe sapere cogliere che questa crisi sanitaria, umanitaria ed economica ha evidenziato grosse mancanze in ambiti strategici del nostro Paese, insieme a un grave problema di coesione all’interno dell’Unione Europea, in cui i Paesi sono disgregati e, purtroppo, non guardano nella stessa direzione unitaria, bensì al proprio interesse con estrema sfiducia gli uni nelle capacità degli altri.
Per concludere, l’esperienza delle ultime quattro settimane mi ha inevitabilmente segnata. I pensieri sono molti, i sogni e le speranze, invece, sono da ricostruire. Al momento infatti non ci sono prospettive solide ma solo una grande voglia di ricominciare, giorno per giorno, per portare avanti il lavoro con meno perdite possibili, sia in termini di risorse umane che economiche. Questa crisi e le sue prevedibili conseguenze hanno risvegliato in me un forte senso di responsabilità, uno spirito di adattamento e una coscienza civica che ritrovo solo nei racconti dei miei nonni. Perciò mi chiedo se non sia il caso di ricercare in quei luoghi della memoria le risposte alle nostre domande e imparare dagli errori del passato per costruire un nuovo e più sostenibile futuro guardando tutti nella stessa direzione.