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Autonomia differenziata: il Sud rischia di rimanere indietro

29 febbraio 2024

Riportiamo di seguito l’editoriale del Presidente Gaetano Quagliariello pubblicato IL 29 febbraio 2024 su La Gazzetta del Mezzogiorno.

Segni premonitori e segnali, per il Sud non sono dei migliori. Il divario con il resto del Paese è tornato a crescere. Al di là della guerra dei numeri, il Pnrr non è avvertito come l’auspicato volano di una nuova crescita. Il dibattito interno alla Lega fa immaginare che, qualora le europee per quel partito fossero un flop, la rivendicazione settentrionale tornerebbe a scalare posizioni nell’agenda delle conflittualità politiche.

A fronte di tutto ciò lo scontro, con durezza inusitata, s’incentra sulla legge che dovrebbe dare attuazione nel nostro ordinamento all’autonomia differenziata (prevista dalla famigerata modifica del Titolo V del 2001). A seguire convegni e talk show, sembrerebbe quasi di essere alla vigilia dell’applicazione di quella riforma. Noi non possiamo essere accusati certo di reticenza. Per tempo abbiamo affermato con chiarezza cosa pensiamo della legge che ha ricevuto l’approvazione in prima lettura: nessuna preclusione verso l’autonomia, dalla quale il Sud migliore non potrebbe che guadagnarci, ma l’elenco delle 23 materie sfiora il ridicolo. In esso sono comprese «grandi reti di trasporto e navigazione», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», solo per fare degli esempi: settori per i quali, al cospetto dei processi di globalizzazione, persino la dimensione nazionale appare inadeguata.

Manca poi una «clausola di supremazia» che consentirebbe allo Stato, in particolari condizioni di emergenza, di richiamare a sé la competenza. Quella clausola, sia detta per inciso, è contemplata persino da sistemi compiutamente federali come quello statunitense e quello tedesco. La legge, insomma, è stata mal concepita e non è nostra intenzione sottovalutarne i rischi.

È buona regola, però, leggere i provvedimenti legislativi prima di commentarli. E dopo aver considerato il testo, così come esso è uscito dalla prima lettura parlamentare, viene il sospetto che il dibattito in atto rischi di inseguire una chimera. La legge prevede, infatti, che una qualunque regione a statuto ordinario possa richiedere di agire autonomamente in uno o più settori tra quelli previsti dallo sciagurato elenco solo dopo che verranno assicurati i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (assurti agli onori della cronaca come «i Lep»), esplicitamente richiesti dalla nostra Carta Costituzionale. Si concede, inoltre, alla Commissione che ha il compito di stabilirne l’entità, presieduta da un grande giurista come Sabino Cassese, altri 24 mesi per portare a conclusione il lavoro. Infine, si afferma che i livelli minimi di equità da garantire a tutti i cittadini, indipendentemente da dove si trovino a risiedere, debbono essere raggiunti senza prevedere nuove tasse. Di getto verrebbe da commentare: «Vasto programma!». Se poi, più prosaicamente, ci si mette a fare qualche calcolo – sommando i mesi necessari affinché la legge venga definitivamente approvata, i due anni di lavoro della Commissione (al netto di nuovi rinvii), il tempo necessario per trovare i soldi – scopriamo che la legislatura sarà bella e finita.

La storia ci ha insegnato a dubitare dei piani quinquennali e i tempi che stiamo vivendo ci dicono che i cambiamenti di scenario debbono considerarsi ancora più repentini che nel passato. Allora ci viene un sospetto: che l’autonomia differenziata sia un drappo da esibire per coprire un generale vuoto d’idee. Da un canto c’è un governo che, mentre predica l’autonomia, razzola praticando un centralismo del quale non si comprende ancora il grado di efficienza; dall’altro un opposizione che preferisce uno scontro ideologico all’esigenza di contrapporre una proposta su «che fare», ora e subito. Il Sud, però, non ha bisogno di battaglie virtuali ma di visioni che possano urgentemente tradursi in proposte.

Perché la sua condizione economica e morale sta peggiorando e il terreno diventa sempre più propizio per qualche nuova proposta demagogica, giustificata dallo stato di necessità, che dia l’impressione di saper rispondere alle sue ansie e alle sue paure.