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Perché l'università deve restare uno spazio di libertà

5 aprile 2024

Riportiamo di seguito l’editoriale del Presidente Gaetano Quagliariello pubblicato il 5 aprile 2024 su La Gazzetta del Mezzogiorno.

Inaccettabili discriminazioni per i ricercatori israeliani. La lezione di mio padre rettore 

Per lealtà nei confronti dei lettori, chiarisco in premessa come la penso sul conflitto che, senza fine, sconvolge il Medio Oriente. Ammiro Israele, unica democrazia dell’area per come, sin dalla sua nascita, ha saputo resistere alla volontà di annientamento di quanti l’hanno circondata. Non condivido la politica di Netanyahu che ha sprecato le premesse di pace poste da Sharon nel 2004, quando decise unilateralmente il ritiro da Gaza. Mi auguro che Netanyahu venga sconfitto in una libera competizione elettorale, in modo che si possa tornare a tessere il filo della politica da dove Sharon e Peres lo hanno lasciato.

Questo favore nei confronti di Israele non mi fa velo per quanto sto per scrivere: avrei sostenuto le stesse tesi se in discussione vi fosse stato qualsiasi altro Paese del globo terraqueo. Io penso che oggi chiunque tenga veramente alla pace, debba fare ogni sforzo possibile per mantenere la cultura fuori dai conflitti che stanno portando il mondo verso un nuovo baratro. È un modo per non spezzare tutti i fili e, soprattutto, per evitare che le guerre degenerino giungendo a esiti ancora più bestiali. È già accaduto in passato e può tornare ad accadere. Vengono in mente le preoccupazioni di Benedetto Croce il cui neutralismo, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, era motivato anche dal timore di un divorzio con la cultura tedesca e delle derive che esso avrebbe potuto produrre. Croce ha avuto ragione. Cinque anni più tardi, a Versailles, le delegazioni che avrebbero dovuto negoziare la pace scontarono il divieto di parlarsi in privato e di intrattenere rapporti personali. Oggi sappiamo come è andata a finire.

Vi sono altri sintomi che alimentano queste preoccupazioni. Il primo riguarda la propensione a prendersela con qualcuno solo per la sua nazionalità. È una abitudine che sta dilagando in modo irriflessivo e che riguarda tanto il tennista, quando si rifiuta di stringere la mano dell’avversario, quanto gli Stati che sequestrano beni unicamente sulla base della carta di identità di chi ne è proprietario. Ci si dovrebbe ricordare che il principio di responsabilità personale è uno dei capisaldi sui quali si fonda la civiltà giuridica dell’Occidente. Ancor di più, il fatto che ogni persona sia un “tutto”, uguale per dignità ma unico e non assimilabile (tanto meno per nazionalità), è uno dei cardini del cristianesimo che da millenni vale anche per i non credenti. Ogni volta che lo si è dimenticato, poi ce ne si è pentiti.

Il secondo sintomo è ancora più grave. Concerne quanto sta accadendo nelle università per le proposte di boicottaggio scientifico nei confronti dei ricercatori israeliani. Qui mi sovviene un ricordo personale, quasi intimo. Lo partecipo solo perché esso dice assai più di un’analisi  sofisticata. Erano i primi anni Settanta, avevo circa dieci anni e mio padre era Rettore dell’università di Bari. Lo sentii discutere al telefono con il Questore e, a tratti, alzare la voce. Due contrabbandieri si erano introdotti nell’ateneo per sfuggire alla cattura e il Questore chiedeva di fare entrare i suoi uomini per inseguirli. Mio padre gli negò il permesso. Lo pregò di attendere i fuggiaschi fuori dal portone: prima o poi si sarebbero palesati. Non compresi e dissi a mio padre: «ma sono dei delinquenti!». Lui fu colpito dalla reazione e mi rispose: «Gaetano, l’università non è una torre eburnea ma uno spazio di libertà. Finché qualcuno non viola la legge al suo interno non può esserne cacciato, qualunque sia la sua natura e qualunque siano le sue idee. Se si contraddice questo principio, fosse anche per due contrabbandieri, prima o poi arriverà chi ti chiederà di giurare su qualcosa per poterci rimanere. Ora sei piccolo ma spero veramente che tu possa non comprendere mai fino in fondo quanto ti ho appena detto». Aveva ragione lui. Oggi, purtroppo, a più di sessant’anni, lo sto comprendendo fino in fondo.