Di seguito l’intervento del Presidente della Fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliariello, nell’ambito della discussione del disegno di legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari
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PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Quagliariello. Ne ha facoltà.
QUAGLIARIELLO (FI-BP). Signor Presidente, colleghi, signori del Governo, sono assolutamente consapevole che anche le riforme costituzionali – persino la più costituzionale delle riforme costituzionali – hanno delle conseguenze immediate e contingenti sulla lotta politica. E sono altrettanto consapevole che molti di coloro i quali sostengono la riforma in esame lo fanno con argomentazioni e convinzioni che, ai miei occhi, non hanno nulla di nobile; tra queste, un attacco demagogico al ceto politico (lo stesso che, ad esempio, ha animato il taglio dei vitalizi).
Ho sempre ritenuto, però, che quando si parla di riforme costituzionali bisogna prendere le distanze da un’impostazione eccessivamente empirica e approssimativa e vedere le ragioni di fondo, se non di lungo, quantomeno di medio periodo. In questa convinzione sono stato confortato dal fatto che coloro i quali non hanno seguito tale approccio,ne hanno pagato lo scotto.
Sono e resto ad esempio convinto che, se ci fossero stati un maggior distacco dalle ragioni immediate della politica e una maggiore considerazione degli elementi di fondo del sistema, la riforma proposta dal Governo Renzi avrebbe probabilmente avuto un esito differente, ci sarebbe stata una diversa disponibilità all’ascolto e non si sarebbero compiuti degli errori marchiani anche da un punto di vista prettamente costituzionale.
Per questo, proprio perché credo che le motivazioni di sistema abbiano la precedenza sulle motivazioni contingenti, ritengo anche che ieri avesse ragione il presidente Bernini nel chiedere a questa Aula di discutere insieme delle differenti riforme, attualmente all’attenzione del Parlamento, che toccano il nostro assetto costituzionale e i suoi diversi poteri. Da questa discussione organica, infatti, avremmo ricavato un quadro d’insieme e avremmo colto meglio le correlazioni tra i differenti argomenti che sono proposti a quest’Aula e che, comunque, impattano sugli equilibri costituzionali.
Detto tutto ciò, per tener fede a tale impostazione, personalmente mi rifaccio a una profonda convinzione, che non è di quest’ultimo periodo ma che l’attuale legislatura ha fortemente confermato. Sono un sostenitore accanito della democrazia rappresentativa e ritengo che essa sia in profonda crisi. Una crisi storica, una crisi che non si aggancia a motivi contingenti ma a dinamiche che hanno a che fare con lo svolgimento di una civiltà.
Fondamentalmente, vi sono due ragioni di fondo che stanno provocando questa crisi. La prima è che la democrazia rappresentativa è una designazione di competenza: si accetta di essere rappresentati nel momento in cui si ritiene che vi sia chi, almeno in un determinato ambito, ha più competenze di te, o quantomeno che vi sia bisogno di un tempo dedicato ad approfondire determinati argomenti, tempo che il cittadino comune, che ha altre occupazioni, non ha a disposizione.
Questo è uno dei cardini che portò la democrazia rappresentativa a immaginare il divieto del mandato imperativo. Io ti designo e ti do fiducia – e qui si innesta il secondo fattore che segnala una crisi – e, dunque, decido di giudicarti per quanto hai fatto dopo un determinato lasso di tempo. Ti lascio libero nelle tue determinazioni come parlamentare (ancora una volta, il divieto di mandato imperativo), ma dopo cinque anni, o a scadenza di una legislatura, mi riprendo lo scettro del sovrano e ti giudico. Non immediatamente, atto per atto, ma per quello che è stato il tuo comportamento.
Che cosa oggi smonta queste ragioni di fondo della democrazia rappresentativa? Innanzitutto quella che un brillante storico ha designato come “la democrazia del narcisismo”, cioè la convinzione, alimentata anche dai nuovi mezzi di comunicazione di massa, della onniscienza, del fatto di essere in grado di parlare di tutto, di potere giudicare tutto e di non avere bisogno di qualcuno che ti rappresenti e che sia più competente di te. E’ una deriva che noi vediamo quotidianamente riprodursi sui social network, ma che possiamo constatare anche in quest’Aula.
I più anziani tra coloro che occupano questi scranni si renderanno conto che c’è stata una mutazione nell’organizzazione dei lavori perché le specializzazioni, quelle che facevano riferimento a determinate materie, che erano molto più significative nelle legislature passate, sono andate man mano scemando. Erano pochi i leader politici che ritenevano di poter parlare di ogni cosa; per il resto c’erano gli esperti di medicina, quelli che invece avevano competenze in politica estera, e così via. È una attitudine che noi andiamo perdendo perché evidentemente è una tendenza della società che sui social network è molto più accentuata.
Il secondo motivo di cesura, che è forse ancora più importante, risiede nel fatto che quello spazio di sedimentazione del giudizio politico, senza il quale non c’è democrazia rappresentativa, si sia progressivamente ristretto e rischi di annullarsi del tutto. Oggi il giudizio è quasi immediato, dunque la possibilità che un parlamentare in qualche modo si orienti secondo le proprie convinzioni e non secondo il giudizio istantaneo dei propri elettori è estremamente ridotta. Questo perché nella società attuale le decisioni sono più veloci, gli orientamenti dell’opinione pubblica si conoscono molto prima, e strumenti come i social network spingono in questo senso.
Presidente, le chiederei la cortesia di avere altri due minuti. Vorrei dire che questa è la ragione per la quale chi crede nella democrazia rappresentativa forse non deve chiudersi in un atteggiamento di conservazione. Non c’è dubbio che un Parlamento più snello è un Parlamento nel quale si decide prima e nel quale c’è più efficienza e, forse, è possibile anche riscoprire di più le competenze.
È evidente che altre ragioni che fanno capo al principio di rappresentanza, alcune delle quali sono state brillantemente citate, verrebbero sacrificate, ma in determinati momenti storici bisogna capire che un sacrificio è comunque necessario. Questo inoltre può essere l’inizio di una riforma del nostro sistema parlamentare, della quale comunque c’è bisogno. Noi l’abbiamo bocciata la scorsa volta per ragioni che considero ancora assolutamente valide, ma penso che di una riforma ci sia bisogno. E penso che numeri più ristretti possano portare, ad esempio, ad ampliare enormemente la casistica di provvedimenti da svolgere in seduta comune, contribuendo a far sì che il bicameralismo assuma un nuovo slancio.
PRESIDENTE. Senatore Quagliariello, la invito a concludere.
QUAGLIARIELLO (FI-BP). Sì, Presidente. Dico un’ultimissima cosa che fa invece parte delle argomentazioni assolutamente contingenti e non di fondo alle quali mi sono riferito. A breve scadenza noi discuteremo del cosiddetto referendum propositivo, e su quel terreno scorgo viceversa, se il provvedimento non cambierà, un pericolo molto più grande per chi crede nei principi della democrazia rappresentativa. Arrivare a quella battaglia senza un atteggiamento di conservazione, cercando di distinguere fra i vari provvedimenti costituzionali al nostro esame quello che si può concedere – e magari si deve concedere – da ciò che invece incide sul terreno di un principio non negoziabile, credo che sia, dal punto di vista tattico, un atteggiamento più saggio per coloro i quali credono veramente in questa temperie storica di poter difendere i principi della rappresentanza e della democrazia rappresentativa.