L’emergenza Coronavirus ha cambiato repentinamente le nostre abitudini quotidiane e stravolto gli equilibri familiari e lavorativi di gran parte dei cittadini italiani. Crediamo sia utile, tanto dal punto di vista culturale quanto da quello sociale, riflettere un poi più a fondo su ciò che ci sta succedendo e, soprattuto, su quali insegnamenti potremmo portare con noi da questa esperienza. Proprio a questo scopo abbiamo chiesto ad alcuni amici della Fondazione, ciascuno con profili professionali differenti e di età diverse, di mandarci le loro considerazioni. Questa rubrica temporanea, che abbiamo pensato di intitolare CONTRA VIRUS, ci accompagnerà durante le settimane che ci separano dal ritorno alla “normalità”. Dopo le prime riflessioni di un giovane imprenditore, Marco Saccone, (disponibile qui), ecco il secondo contributo scritto da Alessandra Faggian, Prorettore con Delega alla Ricerca del Gran Sasso Science Institute (GSSI) e Vice Presidente della Società degli Economisti Italiani (SIE).
Buona lettura!
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di Alessandra Faggian, Prorettore e Direttore dell’Area di Social Sciences al GSSI è stata eletta Vicepresidente della SIE, Società Italiana degli Economisti Italiani.
Domenica mattina, ma non una domenica come tutte le altre.
La nostra quarantena è iniziata 13 giorni fa, ne mancano ancora altrettanti al 3 aprile, iniziale scadenza del primo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, DPCM in breve. DPCM…un termine che ora conoscono tutti gli italiani perché, a seguito di quello, ce n’è stato un altro in rapida successione e poi un’ordinanza e ora tutti sono qui ad aspettare il prossimo. Che cosa ci dirà? Quale sarà la prossima scadenza? Per quanto dovremo sospendere le nostre vite per combattere questo nemico invisibile eppure così potente? Solo lui è riuscito nell’impossibile, bloccare il mondo, farci restare tutti a casa, cambiare completamente le nostre regole di vita, ha addirittura ridotto l’inquinamento e ripulito le acque. Ora vedremo veramente se il mondo virtuale è un valido sostituto al mondo reale.
Quante cose possiamo fare online?
Ora che siamo obbligati, scopriremo toccandoli con mano tutti i vantaggi e svantaggi del telelavoro, quello vero, quello continuativo e senza eccezioni.
Io ho capito questo:
- Sto lavorando di più e non di meno, solo lo faccio da seduta, a volte non muovendomi per ore. La scusa del “ho un meeting quel giorno” non esiste più, ora bisogna adattarla “non posso, ho già una conference call quel giorno”;
- Il telelavoro permette un lavoro multitasking e sequenziale senza precedenti. Senza spostamenti, posso essere in cinque posti al giorno e seguire più progetti di prima. Non sono sicura, però, che alla fine questo non si trasformi in più quantità a discapito della qualità;
- Ci sono sempre i “furbetti”, anche del telelavoro…quelli che ogni tanto spengono la telecamera o fanno finta cada la linea perché non ce la fanno più. Anche silenziare il microfono è una buona strategia, che però non tutti si ricordano (vedi punto 4…);
- Spesso chi è collegato dimentica di essere visto e/o sentito dagli altri, fornendo agli altri innumerevoli momenti di intrattenimento (poi rigorosamente divulgati sui social a milioni di utenti!). La paura di usare il “rispondi a tutti” per sbaglio nelle e-mail è ora sostituita dal “Oddio, mi sono dimenticato/a che mi vedono e mi sentono!”;
- Anche i familiari sono grande fonte di intrattenimento. Figli, compagni, parenti, animali domestici sono spesso parte involontaria di importanti meeting internazionali. La quotidianità non può essere nascosta più;
- Infine, mi sono convinta che il 90% delle persone in telelavoro si vesta elegante solo dalla vita in su. Mi piacerebbe un giorno farli alzare tutti in piedi per vedere quanti non hanno i calzoni del pigiama o la tuta da casa.
Comunque, io non ho mai smesso di lavorare.
Mi sento fortunata in questo, una privilegiata, perché continuare a lavorare dà un senso alla giornata e mi permette di non focalizzarmi troppo sulle notizie che ci bombardano, da ogni parte, con ogni mezzo.
Ho insegnato metodi quantitativi per 15 anni in diverse università in giro per il mondo, eppure ora i numeri non li amo più, questi numeri sempre crescenti sono vite perse e l’immensità di queste perdite annebbia la mia quotidiana lucidità…almeno per qualche ora, almeno finché non mi impongo di calmarmi, di razionalizzare, perché bisogna andare avanti, bisogna saper aspettare senza farsi prendere dal panico.
Come in tutte le crisi, bisogna pensare agli aspetti positivi, mi dico.
Lo devo a mio figlio, che ha 9 anni, e lo devo soprattutto a tutte le persone che, coraggiosamente, escono di casa, ogni giorno, per combattere contro questo nemico infimo. Non solo dottori, infermiere, ma anche cassiere ai supermercati, autotrasportatori, addetti alle pulizie e tanti altri…la lista è lunga, più lunga di quello che ci immaginiamo.
E allora? Allora, cerco di usare il tempo che ho a casa come un’opportunità che mi è stata data, con la realizzazione che io, veramente, sono fortunata, non “anche” se sono a casa, ma proprio “perché” sono a casa, al sicuro.
Scandisco la giornata con dei punti fissi: colazione, compiti con mio figlio, pranzo, lavoro, cena e…un notiziario, uno solo al giorno, il bollettino della Protezione Civile alle 18.00 che mi dice a che punto siamo, se si intravede la luce alla fine di questo tunnel che sembra ancora interminabile. Dall’inizio dell’isolamento ho anche cominciato a tenere un diario pubblico in Facebook rivolto a tutti i miei amici e colleghi all’estero. Volevo capissero tutti, fin dall’inizio, che non si scherza con quanto sta accadendo e che l’Italia, colpita per prima così duramente in Europa, poteva fornire loro lezioni importanti e fondamentali per salvare vite, tante vite. I miei amici hanno capito, hanno lottato per fare capire ad altri, eppure non è bastato, uno ad uno tutti gli altri paesi stanno cadendo, vittime dell’incapacità di guardare oltre, di fare tesoro dell’esperienza altrui, in quell’atteggiamento così tipico della natura umana del “tanto tocca sempre agli altri”.
E allora, usiamo questo tempo a casa per riflettere e per capire che può toccare a tutti, e non parlo solo di questo virus, perché, come cantava un famoso cantante degli anni 80 (di cui ero una fan accanita), “gli altri siamo noi”.