Sommario: 1. Le possibili modifiche al testo della Costituzione – 2. Le modifiche necessarie dei regolamenti parlamentari – 3. Le conseguenze sulla legislazione elettorale
1. Le possibili modifiche al testo della Costituzione
A seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, il testo della Costituzione potrebbe richiedere modifiche per “consolidare” l’effetto del voto referendario, oppure per apportare quelli che vengono da più parti evocati come “correttivi”.
I) Equiparazione dell’elettorato attivo per Camera e Senato
Si tratta di una modifica volta a modificare l’art. 58 Cost. In particolare, la previsione è diretta a sopprimere, dal primo comma dello stesso, le parole «dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».
Il nuovo testo dell’art. 58 Cost. si limiterà pertanto a prescrivere che «I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».
Si tratta di una riforma già approvata in prima lettura sia dalla Camera (deliberazione del 31 luglio 2019), sia dal Senato (deliberazione del 9 settembre 2020).
L’equiparazione in parola – in realtà non direttamente legata alla riduzione del numero dei parlamentari – può essere considerata quale elemento di consolidamento del bicameralismo paritario, anche nel solco di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 35 del 2017.
Nelle ultime righe di quella decisione, la Corte evidenziò che, in un assetto costituzionale basato sulla parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive, «la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee».
Ovviamente non è qui in discussione il sistema elettorale. Piuttosto, l’equiparazione dell’elettorato attivo per l’elezione di Camera e Senato dovrebbe avere l’effetto di ridurre il rischio di possibili maggioranze diverse nelle due Camere.
Inoltre, per i suoi sostenitori, la riforma in questione avvierebbe un «cammino di assimilazione dei poteri dei due rami del Parlamento» e, «nel momento in cui Camera e Senato hanno gli stessi poteri», metterebbe termine alla penalizzazione dei cittadini più giovani, che diversamente avrebbero «mezzo voto».
Di segno del tutto opposto sono le proposte volte a superare il bicameralismo perfetto, ad esempio quelle ben note di Luciano Violante (impernate sulla teoria della “culla”).
II) Modifica della previsione che prevede che l’elezione del Senato avvenga su base regionale
È in discussione presso la Commissione Affari costituzionali della Camera la proposta di legge costituzionale, Fornaro e altri, A.C. 2238 (Modifiche agli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l’elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica).
Con riferimento all’elezione del Senato, il testo intende sostituire il primo comma dell’art. 57 Cost. («Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero») con il seguente: «Il Senato della Repubblica è eletto su base circoscrizionale».
Secondo quanto si legge nella relazione del d.d.l., la modifica della base elettorale del Senato sarebbe funzionale a rafforzare la rappresentatività di tale ramo del Parlamento proprio in vista dell’entrata in vigore del testo di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
La ragione di questa proposta di legge si rinviene, secondo quanto può leggersi anche nel dossier predisposto dalla Camera dei Deputati, «dalla considerazione degli effetti problematici che la riduzione del numero dei senatori può avere sulla rappresentatività dei singoli territori, in assenza di ulteriori interventi legislativi e costituzionali. Secondo i proponenti, infatti, si potrebbe determinare “la formazione di collegi uninominali eccessivamente estesi per il Senato […] e una accentuata discrasia tra le regioni nel rapporto tra seggi da assegnare e popolazione media”».
Altrimenti detto, poiché con la riduzione del numero dei parlamentari «il sistema elettorale creerà un maggiore implicito effetto selettivo a causa delle circoscrizioni definite sulla base del territorio regionale, si ritiene preferibile eliminare questo vincolo, affinché il legislatore possa ridefinire le circoscrizioni con maggiore elasticità».
Se approvata unitamente alla riforma relativa all’elettorato attivo, l’unica differenza tra Camera e Senato (oltre al numero dei componenti) resterebbe a questo punto quella relativa all’età minima per poter essere eletti.
Va criticamente osservato che l’intenzione del revisore costituzionale di lasciare mano libera al legislatore nell’individuazione delle circoscrizioni per l’elezione del Senato, si scontra con le previsioni di cui ai commi 3 e 4 dello stesso art. 57 Cost. che – pur presupponendo l’elezione su base regionale del Senato – non sarebbero modificate dalla proposta di riforma.
Il comma 3 continuerebbe infatti a prevedere, anche nel testo che risulterebbe dall’esito positivo del referendum, un numero minimo di senatori per alcune Regioni e Province autonome, mentre il comma 4 continuerebbe a fare riferimento alla «ripartizione dei seggi tra le Regioni o le Province autonome».
È facile immaginare che, durante i lavori parlamentari, si interverrà anche su queste previsioni al fine di evitare un corto circuito difficilmente risolvibile.
III) Revisione quorum elezione del Presidente della Repubblica
Come da più parti criticamente evidenziato, con la riduzione del numero dei parlamentari cambierà anche l’incidenza del peso dei delegati regionali chiamati a eleggere il Presidente della Repubblica.
La già citata proposta di legge costituzionale Fornaro ed altri, attualmente all’esame della Camera, si propone di intervenire anche su questo aspetto. In particolare, la proposta di legge costituzionale intende ridurre da tre a due il numero dei delegati regionali. Resterebbe unico il delegato della Valle D’Aosta.
Attualmente, i 58 delegati regionali pesano per il 5,78% rispetto al totale degli elettori (esclusi i senatori a vita) del Presidente della Repubblica
Con l’entrata in vigore della legge costituzionale di riduzione dei parlamentari, tale percentuale salirebbe all’8,81%.
Se dovesse venire approvata il d.d.l. costituzionale Fornaro ed altri, il numero dei delegati regionali scenderebbe a 39 per una percentuale del 6,10%.
Il centro-destra ha un ovvio interesse opposto a questa riforma, in questa fase politica almeno. Certo è che, però, in termini costituzionali, il problema c’è tutto.
Resterebbe del resto invariata la necessità che le Regioni assicurino la rappresentanza delle minoranze.
A fronte delle modifiche proposte, i consigli regionali non potrebbero più – come sin qui avvenuto – eleggere due rappresentanti per la maggioranza e uno per le minoranze, ma dovrebbero indicare un esponente della maggioranza e uno della minoranza.
Questo però provoca l’ovvio rischio di sovra-rappresentanza delle minoranze stesse.
2. Le modifiche necessarie dei regolamenti parlamentari
A seguito della riduzione del 36,5% del numero dei parlamentari attualmente previsti, si pone, al di là delle revisioni del testo della Costituzione, l’ipotesi di intervenire sui regolamenti parlamentari.
Si prospettano due possibili modalità di intervento. Una, più minimale, volta a risolvere esclusivamente quelli che appaiono problemi di funzionalità di non poco conto; una seconda, più ampia, volta a ripensare l’intera organizzazione e struttura dei due rami del Parlamento.
Ci si soffermerà qui solo sulla prima prospettiva, poiché l’attuale precaria situazione politica non consente di immaginare soluzioni di ampio respiro, che richiederebbero una comunanza di intenti tra tutte le forze presenti in Parlamento, al momento inesistente.
Ciò premesso, può ritenersi che alla Camera i problemi possano essere di più facile risoluzione (il Senato lavora oggi con 315 senatori più i senatori a vita, alla Camera ce ne saranno 400: dovrebbe quindi essere sufficiente adottare e adattare le modalità organizzative già oggi utilizzate al Senato). I problemi più significativi paiono porsi rispetto al Senato, che risulterà composto soltanto di 200 senatori.
In particolare, il problema di funzionalità sembrerebbe particolarmente rilevante rispetto alle attività delle Commissioni permanenti.
Ulteriori modifiche – in teoria meno problematiche – dovranno necessariamente incidere, in diminuzione, sul numero minima richiesto dai regolamenti per l’attivazione delle varie procedure parlamentari. Analogamente, occorrerà apportare innovazioni rispetto al numero minimo dei componenti i gruppi parlamentari.
Più complicata, e da analizzare caso per caso, sarà la decisione di ridurre il numero dei componenti di altri organi parlamentari a composizione fissa.
I) Le commissioni parlamentari permanenti
Può essere utile preliminarmente ricordare che:
- La composizione delle commissioni parlamentari deve «rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari» (art. 73 comma 2 e 82 comma 2 Cost.)
- Ciascun parlamentare può, e al tempo stesso deve, appartenere a una sola Commissione permanente (art. 21, comma 5 reg. Sen.; art. 19, comma 2 reg. Camera).
- A tale regola è prevista eccezione per consentire la sostituzione dei parlamentari che entrano a far parte del Governo. Costoro possono essere sostituiti da un altro parlamentare, che dunque può fare parte di più commissioni.
- Al Senato è poi prevista una ulteriore parziale deroga alla regola sopra enunciata: i gruppi parlamentari «composti da un numero di senatori inferiore a quello delle Commissioni (14) sono autorizzati a designare uno stesso Senatore in tre Commissioni in modo da essere rappresentati nel maggior numero possibile di Commissioni» (art. 21.2 reg. Sen.).
Di fronte a questa situazione, mentre per la Camera potrebbe probabilmente essere sufficiente introdurre la deroga da ultimo ricordata, per il Senato la situazione potrebbe essere più complessa.
I circa 190 senatori “disponibili” (dal numero di 200 occorre infatti sottrarre quanti non partecipano alle attività parlamentare: il Presidente e coloro che hanno incarichi governativi, nonché aggiungere i senatori a vita) dovrebbero dividersi in 14 commissioni.
Può essere utile ipotizzare una simulazione (pur molto approssimativa, poiché non tiene conto del fatto che la riduzione del numero dei parlamentari non si rifletterà proporzionalmente sul numero dei seggi conquistati, ma dovrebbe penalizzare in misura esponenziale le forze che otterranno meno voti, specie nelle regioni meno popolose, dove i seggi contendibili sono nell’ordine di pochissime unità), sulla base della composizione percentuale dei gruppi parlamentari attualmente presenti al Senato. Riducendo proporzionalmente il numero dei componenti, avremmo oggi (considerando 200 senatori) una situazione di questo tipo.
- M5S: 95 senatori 30% 60 senatori
- Lega: 63 senatori 20% 40 senatori
- F.I.: 55 senatori 17% 34 senatori
- PD: 35 senatori 11% 22 senatori
- Misto: 26 senatori 8% 16 senatori
- IV: 18 senatori 5,5% 11 senatori
- F.D.I: 17 senatori 5,5% 11 senatori
- Autonomie: 8 senatori 2,5% 5 senatori
Di fronte a questo scenario, sembra dunque potersi ipotizzare che occorrerà ottenere almeno l’8% dei seggi per poter disporre di un numero sufficiente di parlamentari in grado di prendere parte a tutte le 14 commissioni. Le commissioni, a loro volta, sarebbero composte (il risultato si ottiene dividendo per 14 il numero dei circa 290 senatori che partecipano all’attività parlamentare), soltanto da 14-15 senatori, rispetto agli attuali 21-26.
Stando così le cose – pur nella evidentissima approssimazione della simulazione effettuata, – si aprono diversi possibili scenari di modifica, al fine di evitare alcune conseguenze negative: restando immutate le cose, ad esempio, sarebbero sufficienti pochissimi (da 4 a 7) senatori per approvare in sede legislativa un disegno di legge, anche se resterebbe il rimedio dell’art. 72, comma 3 Cost. (un quinto dei componenti della commissione; un decimo dei senatori).
a) la riduzione del numero complessivo dei parlamentari potrebbe richiedere, come prima ipotesi, quella di diminuire il numero delle commissioni permanenti presenti al Senato, prevedendo accorpamenti tra le commissioni attualmente presenti. Come si è giustamente evidenziato, la riduzione delle commissioni garantirebbe la presenza in ciascuna di un numero adeguato di componenti, evitando una troppo ridotta composizione delle stesse. Tale riduzione dovrebbe essere effettuata non soltanto sulla base del numero complessivo dei parlamentari, ma anche sulla base di una valutazione dell’attività svolta da ciascuna Commissione, che, specie negli ultimi anni, presenterebbe evidenti disparità.
b) In alternativa, nell’invarianza numerica delle commissioni, si potrebbe eliminare la previsione che dispone – con le eccezioni sopra ricordate – la partecipazione di tutti i parlamentari ad una sola commissione, introducendo quindi l’obbligo per tutti i senatori (e non solo quelli di gruppi che non riescono a garantire presenza in tutte le commissioni) di essere componente di più commissioni. Questa soluzione richiederebbe evidentemente che le commissioni non siano mai convocate nello stesso momento, al fine di consentire sempre ai componenti di potervi partecipare.
c) Una terza possibilità (che si cita solo per completezza, giacché ha presupposti e conseguenze assai discutibili) potrebbe essere quella di introdurre il voto ponderato «che consentirebbe a ciascun gruppo politico di essere rappresentato in commissione da un solo suo membro il quale esprimerebbe al momento del voto un numero di voti pari alla sua consistenza numerica». A parte ogni altra considerazione, questa proposta non tiene in considerazione il fatto che il lavoro delle commissioni non è fatto di soli voti, ma di analisi, proposte, dibattiti, che inevitabilmente verrebbero a ridursi, depauperando il lavoro che conduce al voto sui disegni di legge.
II) Il numero dei componenti degli organi a composizione fissa.
Alcuni organi dei due rami del Parlamento sono costituiti da un numero di parlamentari definito dai Regolamenti.
Ad esempio, si può ricordare che:
– l’Ufficio di Presidenza è composto di 15 membri, oltre al Presidente, sia alla Camera che al Senato;
– la Giunta per il Regolamento contempla 10 membri sia alla Camera che al Senato;
– la Giunta delle elezioni e delle immunità è costituita da 23 membri al Senato;
– la Giunta per le elezioni prevede 30 deputati alla Camera;
– la Giunta per le autorizzazioni è composta da 21 membri alla Camera;
– il Comitato per la legislazione vede la partecipazione di 10 membri alla Camera.
Fermo restando che non potrebbe applicarsi l’automatismo della riduzione in misura proporzionale alla riduzione dei parlamentari, ma occorrerà verificare caso per caso la logica sottesa alla composizione di questi organi, in dottrina si ritiene che si tratti di numeri difficilmente comprimibili in ragione delle funzioni che tali organi svolgono.
L’unica eccezione potrebbe forse porsi, almeno parzialmente, per gli Uffici di Presidenza. Si tratta, come noto, di organi costituiti, oltre che dal Presidente dell’Assemblea, anche da 4 Vicepresidenti, 3 Questori e 8 Segretari, sia alla Camera che al Senato. In particolare, sarebbe però soltanto il numero dei Segretari a poter essere ridotto.
III) Il numero dei soggetti necessari per l’attivazione di procedure parlamentari
È noto che i regolamenti parlamentari prescrivono che l’attivazione di tutta una serie di procedure possa avvenire soltanto a fronte della richiesta di un numero minimo di parlamentari.
Pur nella estrema diversità delle procedure in questione, può convenirsi che si tratti in molti casi di procedure volte a garantire le prerogative delle minoranze parlamentari (si pensi ad esempio alla possibilità di richiedere l’apertura delle discussioni generali, di richiedere il voto a scrutinio segreto o di presentare questioni pregiudiziali sui decreti-legge).
Considerando la riduzione del numero dei parlamentari, sembrerebbe dunque necessario che le quote minime attualmente previste possano essere riviste al ribasso, al fine di evitare che l’esercizio di tali prerogative divenga estremamente difficoltoso.
IV) La composizione dei gruppi parlamentari
È altrettanto noto che i regolamenti parlamentari individuano limiti numerici per la composizione dei gruppi parlamentari (venti deputati alla Camera e dieci senatori al Senato, con le note eccezioni per le minoranze linguistiche). La riforma del Regolamento del Senato, entrata in vigore con l’attuale legislatura, richiede inoltre che i componenti del gruppo siano parte di un movimento o partito che abbia partecipato alle elezioni.
La riduzione del numero dei parlamentari sembra necessariamente comportare una riduzione del numero minimo anche dei componenti dei Gruppi.
Se si volesse ipotizzare una riduzione che si limiti ad incidere in misura proporzionale alla misura del taglio dei parlamentari (pari, come già detto, al 36,5%), si potrebbe immaginare che la composizione di un gruppo al Senato richieda un minimo di 6-7 senatori e di 12-13 deputati alla Camera.
È però sin troppo evidente che una simile scelta dovrebbe tenere conto anche degli effetti impliciti che la legge elettorale potrebbe determinare sulla possibilità, per i partiti più piccoli, di riuscire a portare un numero sufficiente di rappresentanti in Parlamento per costituire il gruppo.
In ogni caso, pare facile immaginare, indipendentemente dalla legge elettorale, che il gruppo misto potrebbe diventare luogo di “elezione” di molti parlamentari che non riusciranno a costituire gruppo autonomo.
3. Le conseguenze sulla legislazione elettorale
L’entrata in vigore della riforma costituzionale determinerà l’attivazione del meccanismo sancito dalla legge n. 51 del 2019 (Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari) per la ridefinizione dei collegi elettorali.
La citata legge ha previsto la conversione dei riferimenti numerici contenuti nella vigente legge elettorale in rapporti frazionari. Ciò però non è sufficiente ad assicurare l’immediata applicabilità della legge elettorale, essendo necessario che vengano rideterminati i collegi uninominali e plurinominali della Camera e del Senato, alla luce della riduzione del numero dei seggi disponibili.
Proprio per ovviare a tale evenienza, la stessa legge n. 51 del 2019 ha previsto, all’art. 3, una delega al Governo per la rideterminazione dei citati collegi. La delega dovrà essere esercitata entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge costituzionale.
Occorre comprendere se sussiste la possibilità che la riforma vera e propria della legge elettorale, da più parti evocata, possa intrecciare la modifica dei collegi elettorali appena ricordata oppure se i due percorsi procederanno in modo indipendente tra loro.
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1 Citazioni tratte da N. Lupo, intervista in https://www.theitaliantimes.it/interviste/intervista-nicola-lupo-si-referendum_090920/
2 http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/AC0318.pdf?_1600261707972
3 F. Biondi, Le conseguenze della riforma costituzionale del 2019, in Nomos, 3/2019, 8.
4 A meno di non ritenere, come ipotizza F. Biondi, op. ult. cit., 8 che l’eliminazione delle parole “a base regionale” sia volta «solo ad assicurare la possibilità di prevedere, anche per l’elezione del Senato, un sistema, come quello con premio di maggioranza a livello nazionale».
5 Dati tratti dal Dossier predisposto dal Servizio studi della Camera relativo al d.d.l. A.C. 2238, in https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01127925.pdf
6 Ad esempio, attualmente (Governo Conte II) sono 12 i senatori che svolgono il ruolo di Ministro, viceministro o sottosegretario, nella compagine governativa precedente (Governo Conte I) erano 14. A tal proposito si è notato come, a «fronte di un numero più circoscritto di parlamentari non sempre la scelta dei componenti del Governo potrà continuare a essere effettuata tra i parlamentari in carica, nella stessa misura attuale, in considerazione dell’esigenza di garantire comunque una presenza significativa dei parlamentari di maggioranza»: così C. Tucciarelli, Il significato dei numeri: riduzione del numero di deputati e senatori e regolamenti parlamentari, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2020, 185 ss.
7 Siamo in presenza di quella che è stata ad esempio definita «soglia implicita di sbarramento»: cfr. C. Tucciarelli, op. ult. cit., 174 ss.
8 Così S. Curreri, Gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari sull’organizzazione e sul funzionamento delle Camere, in Federalismi.it, 15 aprile 2020, 8.
9 S. Curreri, op. ult. cit., 9, che però ritiene l’esperibilità di tale rimedio «tutta da verificare», poiché «a seguito degli effetti della riduzione sull’accesso alla rappresentanza parlamentare, non è detto che le minoranze che volessero opporsi alla sede legislativa riescano a raggiungere i quorum richiesti».
10 L. Gianniti, N. Lupo, Le conseguenze della riduzione dei parlamentari sui Regolamenti di Senato e Camera, in Quad. cost., 2020 (early access), 11.
11 In questa ipotesi, infatti, il rischio è quello di garantire sovra rappresentanza alle minoranze, non rispettando il principio di proporzionalità sancito dalla Costituzione
12 Secondo S. Curreri, op. ult. cit., 10, questa però sarebbe una ipotesi di fatto non facilmente realizzabile, anche alla luce del fatto che i parlamentari sono generalmente componenti anche di altri organi, oltre alle commissioni permanenti.
13 Ancora S. Curreri, op. ult. cit., 10.
14 C. Tucciarelli, Il significato dei numeri, cit. 177; C. Masciotta, I regolamenti parlamentari alla prova della riduzione del numero dei parlamentari, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2020, 778.
15 Cosi sia L. Gianniti, N. Lupo, Le conseguenze della riduzione dei parlamentari sui Regolamenti, cit., 13-14.
15 S. Curreri, Gli effetti della riduzione, cit., 7.
17 Come segnalano L. Gianniti, N. Lupo, Le conseguenze della riduzione dei parlamentari sui Regolamenti, cit., 6, nel Regolamento del Senato, il numero più ricorrente al Senato è di otto senatori, mentre alla Camera i poteri corrispondenti sono perlopiù attribuiti a dieci deputati o a un presidente di gruppo.
A mero titolo esemplificativo, si pensi alla possibilità di presentare una mozione in Aula, per la quale è necessaria la richiesta di 8 senatori (art 157, comma 1 reg.Sen.); di presentare questioni pregiudiziali su decreti legge (10 senatori, art. 78, comma 3, reg. sen.); di chiedere l’accertamento del numero legale (12 senatori (art. 107, comma 2, reg. sen.) richiedere lo scrutinio segreto (20 senatori, art. 113 reg. Sen.). Per una disamina completa cfr. L. Gianniti, N. Lupo, op. ult. cit., 6-7.
18 L. Gori, Sull’organizzazione del Parlamento e sui regolamenti parlamentari, in Rossi, E. (a cura di), Meno parlamentari, più democrazia?, Pisa, 135, ipotizza una vera e propria «esplosione» del gruppo misto.
19 «In particolare, se a seguito della entrata in vigore della riforma i senatori elettivi diverranno 200, si dovrà calcolare la frazione 3/8 di 196 (esclusi i 4 senatori eletti nella circoscrizione estero), ottenendo, così, 73,5 da arrotondare, ossia 74 collegi uninominali. Del pari alla Camera se i deputati elettivi divenissero 400, si dovrebbe calcolare la frazione di 391 (esclusi 8 della circoscrizione estero e 1 deputato della Valle d’Aosta) e si otterrebbero 146 collegi uninominali, cui si dovrebbe aggiungere quello della Valle d’Aosta, mentre i restanti seggi sarebbero ripartiti nei collegi plurinominali»: così C. Masciotta, I regolamenti parlamentari alla prova della riduzione, cit., 774.