Riproponiamo l’intervista di Gaetano Quagliariello, Presidente di FMC e già ministro per le riforme a Formiche.net
Tra ristori, fondi Ue e una pandemia che continua a mettere in ginocchio il Paese, spunta fuori una proposta di riforma costituzionale. Viene da Gaetano Quagliariello, senatore di Idea-Cambiamo, già ministro per le riforme con il governo Letta e da sempre attivo nell’area del centrodestra. Obiettivo: rafforzare il sistema politico, a partire dal premier. Che, spiega lui a Formiche.net, è ancora l’anello debole della catena.
Senatore Quagliariello, perché una riforma costituzionale in mezzo a una pandemia?
Per farci trovare pronti il giorno dopo la pandemia. I partiti ormai sono liquidi, le coalizioni scosse, basta osservare cosa sta accadendo nel Pd, nel Movimento Cinque Stelle ma anche nel centrodestra. Bisogna dare stabilità al sistema, e si può fare partendo dalla figura del presidente del Consiglio.
Da Giuseppe Conte a Mario Draghi, difficile parlare di premier “deboli”.
Non si tratta di debolezza ma di legittimazione. Da anni ormai il presidente del Consiglio non viene scelto sulla base dell’indicazione del voto degli italiani, non si può ridurre alla figura di “dictator” romano.
Serve davvero una riforma?
Non c’è bisogno di una grande riforma, ma c’è il tempo per lavorare a una breve, efficace riforma del bicameralismo modificando tre articoli della Costituzione, il 92, 94 e il 95.
Da dove si parte?
Abbiamo ridotto il numero dei parlamentari, ora possiamo pensare a un presidente del Consiglio che riceva la fiducia da Camera e Senato insieme. Sarebbe lui stesso a nominare ed eventualmente revocare i ministri, non è più un primus inter pares ma il capo del governo. E se qualcuno vuole disarcionarlo, deve presentare una mozione di sfiducia costruttiva, indicando un altro governo. A camere riunite, così a votarla sarebbe la stessa assemblea che ha votato la fiducia.
Niente crisi al buio come con il Conte bis?
Non la eviti, sicuramente diventa più difficile. Un vecchio vizio italico ci fa credere che dalla legge elettorale dipenda la stabilità del sistema politico. Io dico che dobbiamo prima mettere mano al sistema.
Con la sfiducia costruttiva perde di significato un istituto molto amato dai premier italiani, la questione di fiducia.
È vero, la questione di fiducia andrebbe rivista. È una garanzia per i governi in carica, ma anche un’anomalia e se ne è fatto un enorme abuso. Si può sostituire con una soluzione di cui discussi due legislature fa con Luigi Zanda, il “voto a data bloccata”. Con una modifica dei regolamenti parlamentari si fa sì che il governo abbia la garanzia della data di approvazione di alcuni provvedimenti importanti.
Insomma, il sistema che lei immagina ricalca quello del cancellierato tedesco. Perché funziona meglio?
Per tante ragioni, alcune strutturali. In Germania, ad esempio, la legge proporzionale non ha reso liquido il sistema politico. Basti pensare che il numero di cancellieri tedeschi è inferiore al numero di “esploratori” italiani.
Rafforzare il premier, dare stabilità al governo. Non è lo stesso obiettivo della riforma Renzi che lei all’epoca ha criticato?
Quella riforma aveva un problema di merito: era sbagliato il combinato disposto fra riforma del bicameralismo e legge elettorale “Italicum”. E di metodo: se fai una grande riforma, devi farlo coinvolgendo tutto l’arco parlamentare, senza legarla ai tuoi destini politici.
La riforma che oggi propone è uno dei famosi “correttivi” promessi da chi ha approvato il taglio dei parlamentari. Col senno di poi si è pentito di aver ispirato la riforma-chiave del grillismo?
No, l’antiparlamentarismo non si combatte con uno scontro aperto. C’erano e ci sono ancora buone ragioni per tagliare il numero di parlamentari, a prescindere dalle strumentalizzazioni. Il problema è non fermarsi lì.
Quagliariello, un mese fa, alla fine del governo Conte-bis, i centristi italiani hanno vissuto un momento di gloria. Ora con il governo Draghi siete un po’ marginalizzati. O no?
Inutile girarci intorno. Abbiamo proposto per primi questa via d’uscita, e riconosciamo che, inevitabilmente, ci marginalizzza, perché dà spazio ai grandi partiti più che alle minoranze creative. Sono le sfide della politica. Se non ce la faremo, significa che non saremo stati all’altezza delle nostre aspettative.