Secondo quanto anticipato dal Corriere della Sera, con una mossa senza precedenti nei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, il Vaticano ha attivato i propri canali diplomatici per chiedere formalmente al governo italiano di modificare il «ddl Zan», il disegno di legge contro l’omotransfobia (di cui abbiamo ampiamente parlato in questo articolo).
Il 17 giugno Monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, ha consegnato nelle mani del primo consigliere dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede una cosiddetta «nota verbale», che, nel lessico della diplomazia, è una comunicazione formale preparata in terza persona e non firmata.
Nel documento emergono alcune preoccupazioni della Santa Sede in merito all’approvazione del ddl Zan nella sua formulazione attuale anche al Senato: «Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato — recita il testo — riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato».
Il Concordato Stato – Chiesa
Dal 1929 al 1985 i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono stati regolati dai Patti lateranensi. Questi, stipulati l’8 febbraio 1929, constavano di due separate convenzioni: il Trattato, con il quale venne stabilita la posizione della Santa Sede quale ente sovrano della Chiesa cattolica in Italia e venne costituitolo Stato della Città del Vaticano, ponendo fine, in questo modo, alla ben nota “questione romana”, e il Concordato, mediante il quale venne regolata la posizione giuridica della Chiesa cattolica in Italia.
Con l’avvento del regime repubblicano, l’Assemblea Costituente approvò l’attuale formulazione dell’articolo 7 della Costituzione, recependo i Patti Lateranensi e prevedendo, al contempo, la possibilità di sottoporli a revisione, su accordo di entrambe parti, senza la necessità di ricorrere al procedimento di revisione costituzionale.
il 18 febbraio 1984 venne sottoscritto, dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli, il Concordato attualmente in vigore. Come recita la nota ufficiale del Governo italiano in merito agli accordi tra Italia e Santa Sede, l’Accordo del 1984 ha concluso «una lunga e laboriosa trattativa iniziata nell’ottobre del 1976 dal Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, che avocò alla Presidenza del Consiglio tutta la materia delle relazioni tra Stato e Confessioni religiose. Obiettivo dell’Accordo è essenzialmente l’adeguamento del regolamento dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica ai principi della Costituzione repubblicana, attraverso l’applicazione del procedimento di revisione bilaterale di cui all’articolo 7, secondo comma, della stessa Costituzione».
Gli attriti con il ddl Zan
Come si è detto, le preoccupazioni espresse dal Vaticano nella nota consegnata da Monsignor Gallagher riguardano il potenziale attrito tra il testo attuale del ddl Zan e le libertà garantite alla Chiesa cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 del Concordato.
L’art. 2, comma 1, recita: “La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica” mentre il terzo comma garantisce “ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Le manifestate preoccupazioni riguardano, dunque, per un verso, l’esercizio del diritto di libera organizzazione, e, per l’altro, il principio di matrice costituzionale riconosciuto dall’art. 21 Cost. della libertà di manifestazione del proprio pensiero.
Quanto al primo, ricordiamo che qualora il disegno di legge Zan venisse approvato nella sua attuale versione, verrebbe sancita la punibilità, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, di chi partecipa o anche solo presta assistenza a organizzazioni in grado di incitare alla discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, “per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza”. Sotto accusa sarebbe, inoltre, l’articolo 7 del disegno di legge, che non esenterebbe le scuole private dall’organizzare attività in occasione della costituenda Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia.
In relazione, poi, al rischio di un’ingiustificata compressione della «libertà di pensiero» della comunità dei credenti cattolici, nella nota si manifesta il timore che l’approvazione della legge possa arrivare a comportare rischi di natura giudiziaria: si pensi alle concezioni sul matrimonio tra uomo e donna, alle considerazioni sull’omosessualità e all’intera dottrina sociale della Chiesa, facilmente additabili come violative del disegno di legge.
Le preoccupazioni espresse dal Vaticano non possono dirsi prive di fondamento e sono state, anzi, ampiamente messe in luce da larga parte dei protagonisti del dibattito pubblico e accademico, specie per la vaghezza e l’indeterminatezza delle fattispecie penali previste nel testo del ddl, che troppo si prestano a interpretazioni incerte che rischiano di privare i cittadini delle fondamentali garanzie costituzionali previste in materia di diritto penale.
Cosa accade ora?
Difficile a dirsi. Un possibile scenario è quello previsto dall’articolo 14 del Concordato, il quale stabilisce che “se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata”.
In seguito alla diffusione della notizia della nota elaborata dal Vaticano, si sono sollevate moltissime voci, distribuite tra chi ha manifestato la propria adesione alle preoccupazioni espresse dalla Chiesa e chi ha, viceversa, invocato a gran voce una inaccettabile ingerenza della Chiesa in uno stato laico.
Il punto, tuttavia, è un altro: se è vero che finora la Chiesa non era mai intervenuta nell’iter di approvazione di una legge italiana, è anche vero che l’intervento della Santa Sede mira a tutelare quanto scritto (e sottoscritto) nel Concordato, dunque – in punta di diritto – non riguarderebbe una “ingerenza” in affari di uno Stato estero, bensì un appello al rispetto di un trattato internazionale che regola i rapporti tra i due. Il Vaticano, infatti, non ha contestato il Ddl Zan in quanto tale, ma solo i punti che potrebbero determinare una violazione del Concordato Stato-Chiesa.
Occore inoltre ricordare che, come osserva oggi su Avvenire il Prof. Carlo Cardia, ordinario di Diritto ecclesiastico all’Università di Roma Tre, con la difesa del Concordato in realtà si difende un principio di carattere generale, perché il Concordato non è stato inserito nella Costituzione per difendere solo la libertà dei cattolici. Esso va visto nel quadro più ampio del nostro ordinamento costituzionale, nel quale la libertà di religione e di manifestazione del pensiero c’è a prescindere dal Concordato.
Insomma, più che di ingerenza, si tratta di mantenere la parola data e di rispettare i patti presi e che risultano, tra l’altro, posti a garanzia di un sistema costituzionale che tutela la libertà religiosa e di espressione di tutti. Potremmo ricordare, a questo proposito, una frase di De Gasperi resa in seno all’Assemblea Costituente proprio in occasione della discussione dell’approvazione del testo attuale dell’art. 7 della Costituzione (che, ricordiamo, fu approvato col voto determinante dei comunisti, in più occasioni rivendicato da Togliatti): “Alla lealtà della Chiesa, io credo che la Repubblica debba rispondere con lealtà”.