*Pubblichiamo, per gentile concessione di HuffPost, le riflessioni del Presidente della Fondazione Magna Carta Gaetano Quagliariello sulle presidenziali francesi, pubblicate sul sito Huffingtonpost.it rispettivamente l’8 e il 25 aprile*
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“L’atlantismo può diventare più europeo, ma se Macron perde salta tutto“
Pubblicato l’8 aprile 2022 su Huffingtonpost.it
Gli occhi di tutta Europa sono sulla contesa per l’Eliseo. Se dopo Angela Merkel venisse meno Macron che conseguenze ci sarebbero per gli equilibri dell’Ue in un momento di estrema gravità?
Sono due situazioni diverse. L’uscita di Merkel era prevista, è stato un cambio fisiologico mentre in Francia si tratterebbe di un fatto oggettivamente traumatico. Poi, la Cancelliera ha ceduto lo scettro al rappresentante di una forza sistemica e questo passaggio paradossalmente ha rafforzato il sistema, mentre a Parigi avverrebbe l’opposto. La terza e più importante ragione è che le elezioni tedesche sono avvenute prima della guerra, quelle francesi dopo. Dunque, quest’ultimo verdetto influenzerà l’Europa di domani ma anche di oggi, nel momento in cui è tornata cruciale per la vicinanza geopolitica dell’Ucraina e perché l’atlantismo si è accorto di non poter fare a meno dell’Ue.
In questi giorni però si assiste a un ritrovato dinamismo della Nato, guidata dall’asse Usa-Paesi Baltici-Polonia, a cui fanno da contraltare le “crepe” aperte nell’Ue da Ungheria, Austria e Serbia sull’embargo energetico. Vede un campanello d’allarme?
Vedo che la guerra ha completamente rimescolato rapporti tra Stati membri. Penso al gruppo di Visegrad, con la Polonia oggi a capo della fazione avversa all’Ungheria. Al momento la tenuta sulla linea atlantista va oltre le migliori previsioni. Ma la prova decisiva sarà sul gas russo: il voto dei francesi sarà determinante, ma oltre agli europei anche gli americani dovranno fare la loro parte. Lo schema dell’Europa autosufficiente e degli Usa concentrati sul Pacifico è finito. Si chiedono sacrifici ai cittadini, ma c’è un tema emotivo: gli europei devono sapere che l’America c’è, come accadde con il Piano Marshall dopo la II Guerra Mondiale.
Una nuova guerra, un nuovo piano Marshall?
Serve un segnale forte contro il disfattismo strisciante e ipocrita di certi settori di intellettuali e di opinione pubblica che occhieggiano all’anti-americanismo: non nominano l’Ucraina ma si dicono contrari all’invio di armi e scettici sulle sanzioni a Mosca.
Un giornalista del New Statesman, Jeremy Cliffe, ha ripreso un video del 2017 in cui Marine Le Pen sottolineava che la sua vittoria sarebbe stata un trionfo per il Cremlino. Perché la linea filo-russa non la sta penalizzando in questa tornata?
L’anti-americanismo in Francia è tradizionalmente molto forte, ed è stato veicolato e allo stesso tempo addomesticato dal gollismo. Questa è la prima elezione presidenziale post-gollista: già malato con l’assenza di Fillon al ballottaggio cinque anni fa, oggi quel partito in ottica presidenziale è morto. Così l’anti-americanismo francese si è diviso in rivoli favorendo a sinistra Mélenchon e a destra la Le Pen.
E’ sempre stato forte, però, il fronte repubblicano: vent’anni fa gli elettori socialisti dello sconfitto Jospin andarono in massa a votare Chirac al secondo turno per “esorcizzare” Jean Marie Le Pen, riuscendoci. Come può la saldatura dei populismi rosso-bruni indebolire questo sentimento?
E’ un tema ampio. La Quinta Repubblica nasce con De Gaulle e si consolida con Pompidou a destra e Mitterrand a sinistra, fondata sul bipolarismo di gollisti e socialisti, e dei loro alleati, che si esprime nel voto per il presidente della Repubblica. Ci sono state varanti, ma il ceppo è sempre rimasto questo. Con altri due elementi. Uno: il partito è strumento per conquistare l’Eliseo e dunque la testa dello Stato, quindi non è un partito di massa bensì elettorale. E’ per questo che Balladur, personalità più strutturata, ha perso con Chirac che aveva il vantaggio di controllare il partito. E due: l’antagonismo delle due forze pivot che avevano sconfitto le rispettive ali estreme, i comunisti e l’estrema destra. In Francia la pregiudiziale contro gli “eredi di Vichy” era paradigmatica.
Cosa è cambiato?
Tutti e tre i capisaldi di questo schema sono saltati. I due partiti pivot, gollisti e socialisti, saranno fuori dai ballottaggi per la seconda volta consecutiva, cioè sono diventati marginali. Il partito presidenziale non esiste più: Macron ha provato a costruirlo intorno a sé ma ha fallito. E pur non essendo venuta meno si è allentata la pregiudiziale contro l’estrema destra. Qui, Le Pen è stata avvantaggiata dall’ingresso in campo di Zemmour che l’ha fatta percepire come quasi moderata. Alla fine, credo che la “disciplina Repubblicana” reggerà anche questa volta. Ma in queste condizioni sarà l’ultima.
In questo quadro non ha un ruolo anche la cattiva informazione, intesa come diffusione di fake news e propaganda ormai spudorata, che plasma la realtà su cui si orientano i cittadini? Non solo sulla guerra, anche sull’immigrazione.
Il tema della falsa informazione c’è, senza dubbio. Ma c’è qualcosa di molto più profondo: l’Occidente non ha mai fatto i conti fino in fondo con la caduta del Muro di Berlino. Si è limitato a dare per assodato che la Storia abbia determinato la supremazia dei “nostri valori” di libertà e democrazia. Invece ci sono state forti smentite: l’11 Settembre, il confronto con Islam e Confucianesimo, adesso Putin. Siamo arrivati al cuore del problema: la speranza è che l’Occidente finalmente se ne renda conto.
Lo scenario più probabile in Francia è il ballottaggio Macron-Le Pen?
Oggettivamente sì. Nessuno vincerà al primo turno. L’incognita è quanto crescerà Mélenchon, al cui elettorato la Le Pen già si rivolge. Poi al secondo turno il presidente in carica è favorito, credo che la disciplina Repubblicana gli verrà in soccorso, ma non è una vittoria scontata. Non succederà come a Chirac contro Le Pen padre.
Ago della bilancia sarà Mélenchon, terzo nei sondaggi con un elettorato poco incline a seguire indicazioni?
In Francia c’è da sempre un grande protagonista delle elezioni: l’astensionismo. È questa la grande variabile. Oggi Macron dovrà portare i francesi a votare anche al secondo turno, gli è richiesto uno sforzo in più rispetto alla volta scorsa.
Ma qual è stato il tallone d’Achille del macronismo? Come ha fatto Macron a passare in soli cinque anni da innovatore a “presidente dei ricchi”?
Macron dovrà evitare, se rieletto, di trasformarsi nel Luigi Filippo d’Orléans del XXI secolo. Una tendenza che a me pare già in atto. L’orleanismo in Francia ha offerto i migliori contributi intellettuali, ma ricordiamoci che c’è il suffragio universale. Delle tre destre – legittimista, bonapartista e orleanista – quest’ultima è elettoralmente la più debole, e Macron vi si è avvicinato. O forse è stato risucchiato dal vuoto che si è creato in quell’area, indipendentemente dalle politiche che ha espresso. Oggi è percepito come uomo di centro, espressione del sistema rispetto all’anti-sistema. Speriamo che gli basti per vincere.
La vittoria di Macron potrebbe dare una leadership più forte all’Europa? E viceversa un asse Le Pen-Orban potrebbe essere il cavallo di Troia per un ritorno dei populismi che hanno perso moltissimo terreno negli ultimi due anni?
La grande occasione attuale è che l’atlantismo torni finalmente europeo, e la sconfitta di Macron darebbe un colpo, non so se mortale, a questa prospettiva. Ma dopo la Merkel non vedo leader politici di quello standing. Certo, l’Italia potrebbe avere una doppia chance grazie alla reputazione di Draghi e alla sponda macroniana per un riequilibrio sul versante mediterraneo. E’ chiaro che il presidente francese non sarebbe mai il capo di questo fronte, ma il Trattato italo-francese è più importante di quanto si creda e la solidarietà con Spagna, Grecia e Portogallo è già stata rinsaldata.
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“Le Pen è diventata neogollista quando il neogollismo è stato travolto. Perciò ha perso”
Pubblicato il 25 aprile 2022 su Huffingtonpost.it
Senatore Gaetano Quagliarello, riprendiamo il discorso sulle presidenziali francesi avviato nell’intervsta a HuffPost dopo il primo turno. Macron ha ottenuto una vittoria netta: si temeva addirittura il 52%, ha preso il 58,5%. Benissimo o soltanto bene?
Macron è stato bravo nella campagna per il secondo turno perché ha tenuto la barra dritta sull’Ue, la Nato e l’Ucraina senza schiacciarsi sulle posizioni più occidentaliste trainate da Biden. Si è dimostrato un punto di equilibrio senza lasciare alla Le Pen il monopolio dell’anti-americanismo francese. Va anche detto che è stato aiutato da Mélenchon.
Il leader della sinistra radicale ha invitato a non votare Le Pen ma non ha fatto nessun endorsement a Macron. Eppure, il paventato travaso dei suoi elettori verso l’estrema destra non c’è stato. Erano ansie infondate?
Non ha funzionato lo schema del sistema contro l’anti-sistema. Mélenchon ha rifiutato il calice amaro che gli aveva offerto la Le Pen. Questo ha portato a una crescita dell’astensionismo rispetto al primo turno, anche se guardando i dati si nota che rispetto al 2017 non è aumentato. E ha veicolato una parvenza di disciplina repubblicana.
L’altro elemento rilevante è, infatti, la crescita del Rassemblement National. Quasi un votante su due lo ha scelto, magari contro Macron come è nella logica dei ballottaggi. Come influirà sulle legislative di giugno?
Le Pen è cresciuta, il confronto con cinque anni fa è lampante. Ha superato la soglia psicologica del 40% e dimezzato il distacco con l’avversario. Nella chiave delle legislative è invece un risultato buono ma non eccellente. Ricordiamoci che quel sistema elettorale prevede il maggioritario a doppio turno in cui passano tutti i candidati che superano il 12,5% dei consensi rispetto agli aventi diritto. Quindi in molti collegi al secondo turno avremo 3-4 concorrenti: oltre ai candidati di Macron e Le Pen, quello di Mélenchon e magari quello gollista. Non sarà una sfida a due come le presidenziali.
Cosa è mancato alla Le Pen per vincere?
E’ apparsa neogollista nel momento in cui il neogollismo finiva travolto. E soprattutto è sembrata una neogollista “vecchia”: De Gaulle era visionario, guardava avanti, a volte anche troppo finendo per saltare nel vuoto. Lei questo rischio non l’ha nemmeno corso: la sua visione dell’Europa è datata.
Anche Enrico Letta nel confronto sulla tv francese le ha rimproverato una visione dell’Ue ferma agli anni 60. E’ così?
Sì, Le Pen ha parlato di un’Europa della stagione dei padri fondatori e poco più. Quando è ovvio che un’Unione a 27 non può essere federale né confederale. E nemmeno ci si può rifugiare nell’Europa delle Nazioni. Ha echeggiato dei temi gollisti ma le è mancato completamente il piglio innovativo del Generale.
Cosa succederà alle legislative? Macron rischia un quinquennio da “anatra zoppa” o l’Eliseo in pugno ha già spostato gli equilibri?
E’ un tema aperto. Queste sono le prime elezioni presidenziali post-golliste, o meglio post-golliane. Si conferma che sono saltate le logiche tradizionali della Quinta Repubblica: i due partiti pivot (socialisti e gollisti), la dinamica centripeta che “integra” le estreme, e il partito presidenziale come strumento per vincere. Solo che nel 2017 il contrappeso fu la strabordante vittoria di Macron con il 66%, mentre ora le condizioni sono molto diverse. L’effetto novità è scemato, negli ultimi cinque anni En Marche è andato peggio del suo leader: sia per i risultati nelle elezioni parziali, sia perché ha subito una diaspora in Parlamento che ricorda quella dei Cinquestelle in Italia.
Cosa rimane?
Un deputato gollista con cui mi complimentavo per l’elezione, molti anni fa, mi rispose: “Avrebbe vinto anche un cavallo se fosse stato il candidato del presidente”. Intendeva dire che alle legislative si garantiva sempre una “maggioranza presidenziale”. Proprio per evitare “coabitazioni” troppo frequenti si è trasformato il settennato in quinquennato, in modo da far coincidere le tornate elettorali. Ora sarà molto interessante capire se si confermerà la maggioranza di Macron in condizioni del tutto particolari, visto che i voti di Le Pen e Zemmour al primo turno superano i suoi.
Zemmour ha già proposto a Le Pen di fare fronte comune. Funzionerà?
Per Le Pen è un problema. Dovrà fare i conti con una destra più estrema di lei: se non vorrà avere “nessun nemico a destra” perderà elettori moderati al centro. Mentre dall’altra parte Mélenchon dovrà qualificarsi non come sinistra antagonista bensì egemone e capace di assorbire i socialisti. Vedremo come andrà.
Intanto Macron è di nuovo presidente, con un mandato bis tutto da scrivere. Gli basterà sforzarsi di essere più empatico e meno tecnocratico?
Questo è il terzo elemento fondamentale. Macron è stato in questi anni un centro di gravità ma – per dirla alla Battiato – dovrà diventarlo in modo permanente. Ovvero, essere attrattivo per i moderati di centrodestra e centrosinistra. Risolvendo anche la forma organizzativa del suo partito, che non ha funzionato anche perché è troppo leaderistica e verticistica. Il voto francese suggerisce all’Italia che con questi rapporti di forza per i moderati di entrambi i poli il punto di gravitazione potrebbe essere un vero centro, se finalmente si aggrega.
Lei è tra quelli che leggono nella vittoria di Macron un rilancio dell’area italiana che guarda da quella parte? Renzi, che è stato il primo a congratularsi, Calenda, Bonino, la vostra Italia Al Centro?
Dico che come per i liberali francesi è impossibile trovare il punto di gravitazione con la Le Pen, per quelli italiani non è facile trovarlo con i suoi sostenitori. E’ vero che da noi non ci sono state Vichy e soprattutto l’Algeria, ma rimane difficile. Soprattutto se la destra più radicale non prende un’iniziativa per allargare ai moderati.
A destra però c’è una differenza. Salvini, che in fondo non poteva fare altrimenti, condivide la sconfitta della Le Pen. Meloni ha giocato un’altra partita: atlantista e non filo-putiniana ma sensibile alla rabbia sociale, fredda con Le Pen, non ha incontrato Orbàn. E se l’anno prossimo finisse per passare lei dal 20 al 30%, fatta la tara del diverso sistema elettorale?
Meloni è stata attenta e tatticamente perfetta in questa fase. Ora però si tratta di passare dalla tattica alla strategia. Il punto è che oggi a destra manca una proposta politica che inglobi i liberali europeisti, quelli che vedono l’Europa tornare finalmente sulle orme dei padri. E se questa proposta non ci sarà, l’alternativa possibile potrebbe essere ritrovarsi al centro.
Ultima chiamata per Lega e Fdi: oggi per voi è più probabile allearvi con Renzi che con Meloni e Salvini?
Se stessimo scrivendo un trattato di politologia sarebbe certamente così. Ma il centro al momento non c’è e non può limitarsi ad essere solo un accordo fra Calenda, Renzi, Toti, Quagliariello e chi più ne ha più ne metta… E poi, prima di abbandonare il bipolarismo è giusto provarle tutte. Ma se la logica sarà soltanto di convenienza matematica, se mancherà una proposta di coalizione rivolta anche ai moderati, alla fine bisognerà prenderne atto.
Tornando in Francia: l’Europa ha tirato un sospiro di sollievo, ma ci sarà davvero un nuovo slancio? E’ ragionevole pensare che, tra i vari dossier rimasti in stand-by, ci sia anche la ripresa di una più forte iniziativa comunitaria targata Parigi per il dialogo con Putin?
Su questo fronte sono abbastanza pessimista. Macron rafforzerà la posizione dell’Ue, si atterrà all’asse franco-tedesco, sarà alleato “critico” degli Usa. Dubito che Putin cambierà posizione per questo. E’ evidente lo scampato pericolo: se avesse vinto Le Pen i filo-putiniani d’Europa, dall’Austria all’Ungheria, si sarebbero organizzati mentre così rimangono “quantité négligeable”. Ma la conferma di Macron non avrà grande influenza per Mosca, che guarda piuttosto a Pechino. Rafforzerà però la prospettiva della Resistenza ucraina. Con la “r” maiuscola.