Ho visto Margaret Thatcher a Roma l’ultima volta cinque anni fa. Il centrodestra aveva da poco vinto le elezioni, mettendo fine ad una fase di grande incertezza politica che aveva caratterizzato gli anni del governo Prodi. Ci fermammo a parlare di questo e lei, a un certo punto, mi chiese: “Quale vantaggio ha il centrodestra al Senato?” Pieno di orgoglio le dissi che avevamo quarantadue senatori di vantaggio e lei mi rispose: “Oh, a very short advantage”…
Oggi su questo aneddoto credo che dovremmo tutti meditare. In Gran Bretagna, si sa, la Nazione viene prima dell’ideologia e delle convenienze di parte. In Italia, purtroppo, prevalgono il più delle volte le divisioni e l’incapacità di mettere al primo posto, come priorità assoluta, il bene del Paese.
Margaret Thatcher ha incarnato, con forza e determinazione, il meglio del liberalismo conservatore, mettendo insieme due tradizioni politiche che hanno come punto di incontro il rispetto della libertà individuale inserita all’interno di una comunità nazionale fatta di storia e tradizioni da conservare e tutelare. Attraverso una serie di riforme coraggiose ha scardinato i vecchi schemi e ha eliminato quelle incrostazioni che impedivano il progresso economico del Paese che è stata chiamata a guidare. Una rivoluzione conservatrice, la sua, che ha determinato dei cambiamenti importanti, anche nell’avversario. E che ha avuto nel reaganismo la sua sponda Oltreoceano.
Margaret Thatcher ci lascia, oggi, una grande eredità. Ci insegnato che si può essere statisti senza essere ambigui, anche in politica estera. E che si può essere grandi anche nelle sconfitte. Una lezione che resterà impressa nella storia, come il più grande tributo alla “Iron Lady” di cui il mondo sentirà la mancanza.