“Nel nuovo contesto internazionale, la politica estera del centrodestra italiano ha saputo coniugare il rispetto di un atlantismo non a corrente alternata – incurante del fatto che alla Casa Bianca vi fosse George Bush o Barack Obama – con una strategia di attenzione verso il Mediterraneo. Sarebbe suicida per il nostro Paese mostrarsi defilato o addirittura assente nel momento in cui gli equilibri del Mediterraneo vengono messi in discussione”. E’ un passaggio dell’intervento di Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl, durante il dibattito sulla Libia a Palazzo Madama. Di seguito, il testo integrale dell’intervento.
Signor Presidente, colleghi Senatori, signori del Governo,
a dispetto di tanti profeti di sventura la maggioranza si appresta a dare oggi in quest’aula una prova di compattezza. Ringraziamo l’esecutivo per la sensibilità nei confronti del ruolo del Parlamento, che in altre analoghe occasioni non fu mostrata da quella stessa parte politica che oggi ha ritenuto di polemizzare anche su questo aspetto.
Giungiamo a questo appuntamento con una risoluzione unitaria, che impegna il governo a condurre la sua azione tenendo ben saldi allo stesso tempo il rispetto degli impegni verso la comunità internazionale e la tutela degli interessi dell’Italia. E nell’auspicare fin da ora che le opposizioni sappiano far prevalere il bene della nazione sulla facile rendita di una polemica di parte, diciamo con chiarezza che ci rifiutiamo di guardare alla crisi libica dal buco della serratura delle dinamiche interne alla politica italiana, come se il frangente che stiamo attraversando consentisse di essere piegato all’esigenza di colpire questo o quell’altro avversario. Il momento richiede ben altra consapevolezza.
Presidente, colleghi, signori del governo, quando il mondo era diviso in due blocchi, le politiche europee – quelle dei sei, per intenderci – erano una variabile del quadro internazionale. I margini di autonomia dei singoli Paesi erano estremamente ristretti, e si agiva soprattutto cercando di influenzare l’Europa in senso più o meno atlantico. In quegli anni, per opera di uomini come Fanfani, Gronchi, Mattei, l’Italia tentò più volte di svolgere una politica autonoma nel Mediterraneo, soprattutto sul versante energetico, in nome di quella politica che fu definita “neo-atlantica” per il suo collocarsi al confine, e a volte addirittura oltre il confine, tra legittimità ed eresia.
Da allora il mondo è cambiato, l’Europa si è sempre più allargata, l’asse franco-tedesco è saltato e gli Stati nazionali hanno recuperato una concezione originaria della politica estera, piuttosto che devolverla interamente a un continente che ancora in questi giorni, purtroppo, ha mostrato tutte le sue difficoltà a interpretare un indirizzo unitario. In questo nuovo contesto, la politica estera del centrodestra ha saputo coniugare il rispetto di un atlantismo non a corrente alternata, incurante del fatto che alla Casa Bianca vi fosse George Bush o Barack Obama, con una strategia di attenzione verso il Mediterraneo. Una strategia che, grazie anche ai buoni rapporti con la Russia, potesse consentire di arrivare laddove in altre epoche altri uomini si erano dovuti fermare, facendo passi in avanti lungo la strada dell’indipendenza energetica e chiudendo pagine tristi della nostra storia nazionale. Perché vedete, cari colleghi, non si può essere politicamente corretti a giorni alterni. Non si può un giorno festeggiare i centocinquant’anni dell’unità d’Italia e il giorno appresso dimenticare che il nostro Paese fu protagonista di una brutta pagina di colonialismo già a partire dal 1911, ragion per cui chiudere quel capitolo con atti di riconciliazione per noi era comunque un obbligo, anche di carattere morale.
Non si può dimenticare neppure quello spartiacque epocale che è stato l’11 settembre 2001, e il recupero di Gheddafi al fronte anti-terroristico che indusse tutti gli Stati europei a cominciare proprio dalla Francia e dalla Gran Bretagna a compiere gesti distensivi nei suoi confronti, e spinse Romano Prodi, presidente della Commissione Europea, a dichiarare: “Lo dico con chiarezza: sono stato io a sdoganare Gheddafi, a iniziare l’attenuazione del suo isolamento internazionale. Lo feci quando mi fu chiaro (e le informazioni in mio possesso si rivelarono esatte) che il Colonnello stava mettendo da parte la politica di tensioni, guerre e inquietudini che fomentava nell’Africa subsahariana“.
E’ questo il contesto nel quale ci muoviamo. Ed è in questo stesso contesto che un grande interprete del XXI secolo come Samuel Huntington, da una parte profetizzò pur senza augurarselo che al mondo diviso in blocchi sarebbe seguito uno scontro di civiltà, e dall’altra evidenziò senza alcun riflesso ideologico ma come constatazione di fatto l’incontenibile tendenza all’espansione della democrazia nel mondo. Queste interpretazioni mettono in evidenza la cifra drammatica di questo secolo, ovvero la coesistenza di due tendenze storiche in conflitto fra loro: da una parte il rischio di sbocchi integralisti, dall’altra la spinta verso processi di democratizzazione e libertà.
Purtroppo non è possibile dividere con una linea netta queste due tendenze, come pure qualcuno vorrebbe. Né si può dividere con una linea netta il bene e il male, valutando delle dinamiche del mondo solo i rischi, o privilegiando solo le opportunità. Gli scenari con i quali ci confrontiamo non sono esenti da chiaroscuri, e per questo chi ritiene che si possa agire al riparo da ogni contraddizione e in nome di un principio di coerenza tanto astratto quanto assoluto si pone fuori dalla storia, e insegue certezze fittizie invece di perseguire l’intelligenza – nel senso letterale – e la comprensione dei fenomeni. Ed è esattamente su questa dicotomia che si colloca il dibattito che ha segnato la situazione nordafricana e in particolare la crisi libica.
Signor Presidente, colleghi Senatori, signori del Governo, la nostra risoluzione si fa carico responsabilmente della drammatica contraddizione dei tempi e degli avvenimenti. Non propone una semplificazione manichea. Corona un percorso di serietà che si addice alla serietà dei tempi che stiamo vivendo. Il testo che la maggioranza offre alla discussione del Senato è il frutto di un approfondimento ulteriore della situazione rispetto alla deliberazione delle Commissioni congiunte nell’immediatezza del precipitare degli eventi. Questo approfondimento ha consentito alla maggioranza di presentarsi oggi convintamente e consapevolmente coesa, chiarendo anche quei punti di sospensione che l’urgenza della situazione aveva determinato.
Nel merito, non possiamo non rilevare come alcune delle nostre istanze stiano già diventando tema di attuale realizzazione: cito ad esempio la richiesta di attribuzione di un ruolo centrale alla Nato, che l’America sostiene e per la quale la posizione della stessa Francia sta creando condizioni favorevoli.
Noi riteniamo che non ci si possa tirare indietro rispetto a un impegno internazionale frutto di un lavoro diplomatico intenso, che ha prodotto la non scontata rinuncia di Russia e Cina all’esercizio del potere di veto e la non contrarietà della Germania, anch’essa non scontata. E, per rispetto della comunità di cui l’Italia fa parte, non possiamo non sottolineare di quale strumento innovativo e moderno l’Onu abbia inteso dotarla, dando corpo, forza e un nuovo orizzonte al principio del mantenimento della pace e della sicurezza nel mondo lontano dagli stilemi pacifisti.
Sarebbe suicida per il nostro Paese mostrarsi defilato o addirittura assente nel momento in cui gli equilibri del Mediterraneo vengono messi in discussione: ma se affermiamo che sarebbe suicida, lo facciamo proprio in nome di quegli stessi interessi nazionali che al nostro Paese impongono di adottare un surplus di prudenza, di evitare fughe in avanti, e di pretendere dai partner europei una assunzione di responsabilità.
Su questa strada ci auguriamo che anche l’opposizione possa convergere. Se non lo farà, e lo dico senza alcuna strumentalità, ci auguriamo che spieghi perché. Che dimostri insomma un interesse effettivo a questo dibattito e non dia neanche l’impressione di voler piegare un tema così importante a esigenze domestiche, ad evidenziare divisioni che non ci sono, perché questo non le farebbe onore.