The Obama Victory: How Media, Money, and Message Shaped the 2008 Election (Oxford University Press 2010) trasforma il modo in cui abbiamo concepito le campagne presidenziali. Kate Kenski, Bruce W. Hardy e Kathleen Hall Jamieson aprono un’affascinante finestra sull’accelerazione dei processi tecnologici guidati dai consulenti e dagli operatori del settore negli ultimi dieci anni. Ogni affermazione del libro è sostenuta da una straordinaria serie di statistiche, fatti e tabelle. Gli autori si avvantaggiano grazie a un’enorme ed esaustiva banca dati, con precise informazioni sui costi e sui tempi utilizzati in tutti i media pagati dagli strateghi elettorali, come pure grazie a un meticoloso studio sui contenuti delle news, in particolare i dibattiti tra i candidati. I dati sono presentati con un’acutezza politica che dovrebbe rappresentare un modello per tutti gli studi futuri.
La tecnologia ha abbandonato i media basati sui sondaggi, ponendo dei grandi cambiamenti alle pubblicazioni che informano sull’andamento delle campagne elettorali. Nuovi metodi di micro-targeting hanno dato alle campagne la possibilità di identificare e caratterizzare i singoli e potenziali elettori, la loro probabilità di votare a favore o contro un candidato, le questioni che li animano, e gli strumenti più efficaci per farli andare a votare o farli restare a casa (“vote suppression”). L’utilizzo mirato dei mezzi di comunicazione di massa ha consentito agli operatori di utilizzare filtri sempre più sofisticati per identificare le migliori porzioni di pubblico delle radio locali, della tv e – importante – delle nuove piattaforme di comunicazione. Il filtraggio dei dati ha consentito ai politici di sviluppare singoli ritratti di ogni elettore, in zone chiave dello scontro politico o nei singoli Stati. Questi metodi di informazione intensiva tesi a creare delle liste elettorali in progress hanno dato a loro volta la possibilità di accedere all’ingrediente fondamentale per far funzionare tutto – i soldi.
Come evidenziano gli autori, i passi avanti della tecnologia aiutano a capire il successo della campagna di Obama, che ha ottenuto un forte vantaggio nel cosiddetto “voto anticipato”. Quasi un terzo di tutti i voti espressi sono stati inviati prima dell’Election Day, il 4 novembre, e le politiche del voto anticipato sono state adottate da due terzi degli stati americani. Jon Carson, uno dei responsabili della campagna di Obama, ha detto agli autori del libro: “il voto anticipato non ha cambiato la nostra strategia. È stato la nostra strategia”. Lo sforzo operativo di Obama è stato condotto con esperienza, in modo prolungato e coerente. Per tutta la durata della campagna elettorale, i sostenitori del candidato democratico hanno inviato oltre un miliardo di e-mail agli elettori e comunicato via sms con più di un milione di loro.
Domande ben formulate nelle interviste usate come monitoraggio degli elettori hanno consentito agli autori di effettuare un’analisi ricca di sfumature, apparentemente insignificanti, ma in realtà molto significative per comprendere i cambiamenti che si sono susseguiti nel corso del tempo nell’elettorato. Prendiamo, ad esempio, il ritratto che Obama ha fatto in campagna elettorale di McCain, come se il suo sfidante fosse il clone di Bush. Gli strateghi di Obama hanno fatto un continuo uso di clip televisive in cui McCain si vantava di “aver votato per Bush il 90 percento delle volte”, un’affermazione, questa, che il Senatore dell’Arizona era stato costretto a fare durante le Primarie per affermare le sue credenziali repubblicane. Gli autori hanno notato che, a partire dal 9 giugno 2008 fino alle elezioni, il numero di persone che si sono avvicinate a Obama per via dell’argomento “McSame”, è cresciuto ogni giorno dello 0.035 percento. Ora lo 0.035 percento può sembrare poco, ancora meno se si pensa d’investirci sopra qualche milione di dollari. Quando però si sommano tanti 0.035 percento al giorno, per ventuno settimane di fila, si arriva al 5 percento e anche oltre, che in politica rappresenta una cifra davvero importante.
Il calcolo sistematico dell’evolversi degli orientamenti dell’opinione pubblica fornito da Kenski, Hardy e Jamieson dimostra perché nelle campagne elettorali si è disposti a pagare così tanto per seguire quotidianamente costosi sondaggi che forniscono un riscontro pressoché immediato sul successo o sul fallimento dei temi della campagna dell’avversario politico, in relazione ad eventi esterni (la crisi finanziaria del 2008, la divulgazione dei nastri del reverendo Wright e così via), e sulla base dei mutevoli giudizi del pubblico verso il carattere dei rispettivi candidati. Queste informazioni non servono solo a misurare la forza e le debolezze dei candidati, ma anche per decidere come e dove spendere i fondi a disposizione, in un messaggio che sia pervasivo e coerente; il terreno di gioco, che include volontari, staff locali e impiegati retribuiti; e le apparizioni del candidato e dei suoi delegati.
Ma le informazioni costano ed è qui che la campagna elettorale di Obama ha avuto un enorme vantaggio. La capacità di usare la sua vasta rete di volontari, i contatti e-mail, e di aver individuato quali erano i suoi sostenitori, ha permesso al candidato democratico di fare marcia indietro su un impegno preso precedentemente, accettare un finanziamento federale (con un certo tetto) nelle elezioni generali. Senza le restrizioni imposte dal governo federale, Obama è stato in grado di raggiungere un totale poco inferiore ai 750 milioni di dollari tra le Primarie e le elezioni, mentre John McCain, che si è avvalso del sussidio federale, ha raggiunto solamente 370 milioni di dollari, compresi 84 milioni dei contribuenti. Durante le elezioni il vantaggio negli investimenti di Obama è stato brutale, circa 4 a 1: 349,1 milioni di dollari di Obama, contro gli 85,4 milioni di McCain.
L’importanza dei soldi e, con essi, la capacità di indirizzare i messaggi verso “micro-audience” decisive da un punto di vista elettorale, è stata dimostrata in seguito alla candidatura di Sarah Palin alla vicepresidenza. Nel breve periodo Mc Cain ha guadagnato consenso, minacciando di strappare dei voti all’avversario nell’elettorato delle donne bianche. Per contrastare questo fenomeno gli uomini di Obama hanno immediatamente comprato grandi blocchi pubblicitari nelle stazioni radio con un pubblico prettamente femminile e moderato. Gli annunci sottolineavano la posizione anti-abortista di McCain, una visione poco nota – forse a causa dei suoi calcolati voltafaccia nella discussione sull’abrogazione della sentenza “Roe contro Wade”, e degli sforzi fatti dal candidato repubblicano per selezionare accuratamente le informazioni che lo riguardavano sull’argomento – facendo credere erroneamente a molte donne che McCain fosse un pro-choice. Le stazioni radio sono state scelte con cura, in modo tale da evitare l’invio del messaggio anti-abortista di McCain al pubblico femminile conservatore, cosa che chiaramente avrebbe giovato al candidato repubblicano. I dati dell’indagine redatta dagli autori mostrano l’effetto drammatico che ha avuto la pubblicità di Obama: la percentuale di elettori che ha identificato McCain come il candidato favorevole al ribaltamento della Roe contro Wade è salita di circa venti punti percentuali dalla fine di agosto, quando era in un range del 30 percento, per arrivare quasi al 50 percento nell’Election Day.
Il vantaggio nelle risorse di Obama si è combinato al grande successo del Partito Democratico, che ha scavalcato il partito repubblicano nell’expertise sui dettagli (nuts-and-bolts), nel data-meaning (l’estrazione di informazioni da un grande numero di dati, ndt), nel convincere gli elettori a sommare i loro documenti utili per il voto, e nel provvedere a dotarsi di personale senza dare nell’occhio in occasione delle prime sfide negli Stati meno importanti. Le elezioni del 2008 sono state una competizione tra un vecchio peso medio rintronato e grottesco, e un intraprendente e ben addestrato peso massimo. Ciò che appare sorprendente, ripercorrendo il periodo delle elezioni, è che McCain, caricandosi sulle spalle il peso di un Partito Repubblicano caduto in disgrazia, di un Presidente in carica fallito e di un’economia vicina all’implosione, ha comunque ottenuto il 46 del “voto popolare” – più di quel 43 per cento cui Bill Cinton vinse nel 1992. Infatti, come sottolineano gli autori di The Obama victory, “è sorprendente che in un’elezione in cui tutti davano per scontata la vittoria democratica, i nostri dati suggeriscono che il senatore dell’Arizona era pari, o leggermente in vantaggio” almeno due volte nel corso della campagna elettorale. La prima volta poco prima del congresso democratico e la seconda al termine di quello repubblicano. Inoltre, in netto contrasto rispetto alle aspettative degli studiosi di politica, c’è stato un “momento McCain” dopo il terzo dibattito, a metà ottobre.
Gli autori sostengono che il focus della campagna sulla scarsità dell’energia nazionale, e sul sostegno di McCain verso le perforazioni off-shore, abbia aiutato i repubblicani a tirare avanti fino al congresso democratico di fine agosto. La ricaduta dei demomocrats dopo il congresso repubblicano della fine di settembre e il successo del discorso della Palin hanno fatto risalire i numeri di McCain per la seconda volta; e l’emergere del fenomeno “Joe The Plumber” – l’idea che l’aumento delle tasse soffochi lo spirito imprenditoriale americano – ha inflitto danni momentanei a Obama, dopo il terzo dibattito. Ciò che suggeriscono i risultati è che la coalizione di centrosinistra, così com’è stata dipinta dalla campagna di Obama, non è ancora un’alleanza stabile su cui i democratici possono fare affidamento. Un’alleanza durevole deve ancora prendere forma. Il risalire nelle preferenze di McCain dopo il terzo dibattito, in particolare, sottolinea l’importanza del discorso relativo alle tasse e tutte le questioni legate alla redistribuzione delle ricchezze, che si è rivelato spesso un terreno infido per i democratici. Ciò non significa che questi ultimi non riusciranno a restare insieme in una maggioranza – in fin dei conti si sono avvantaggiati grazie al voto degli ispanici e a quello crescente dell’elettorato femminile; ma il raggiungimento di questo obiettivo – avvicinarsi a una maggioranza sostenibile – sarà più duro del previsto, rispetto all’estasi post-elettorale di fine 2008.
Un fattore chiave nell’abilità degli autori di produrre un contributo di valore alla comprensione della politica è l’insieme dei sondaggi offerti nel libro. I sondaggi sono costati 2 milioni e mezzo di dollari: una grossa somma di denaro. Il problema per altri ricercatori che volessero provare a scrivere uno studio altrettanto serio e fondato sulla base di dati per future campagne, è che The Obama Victory non solo ha imposto un nuovo standard, ma ha messo insieme un gruppo di cervelli rappresentativo della quasi totalità del mondo accademico e giornalistico – quello digitale o in altre forme.
Se il libro riceverà l’attenzione che merita, questo fatto potrebbe determinare un cambiamento di più grandi dimensioni nel finanziamento di una campagna elettorale. Un’opzione razionale, ma difficile da realizzare, è quella di replicare su scala più grande il “fondo comune” con cui attualmente si pagano gli exit-poll dell’Election Day. I maggiori giornali, i network, i siti web politici, e altri, comprese le istituzioni accademiche e una varietà di attivi interessi politici privati, potrebbero, almeno in teoria, ridurre i costi individuali condividendo le spese dei sondaggi di monitoraggio, in tempo per ottenere aggiornati bilanci sulle “cyber-campagne”, in radio, in televisione, pagando per accedere a un sito web comune dov’è possibile scrivere o commentare, e altre cose del genere. Ogni pubblicazione e istituzione sarebbe libera di fornire la propria interpretazione del materiale ottenuto e anzi l’interpretazione sarebbe proprio ciò che gli inserzionisti tenterebbero di vendere, mentre tutti avrebbero accesso alla consultazione dei dati. A meno che non venga fatto qualcosa in questo senso, i media e i ricercatori con meno finanziamenti, resteranno indietro, fornendo così un’interpretazione sempre meno valida degli sviluppi politici, interpretazione per la quale vi è, chiaramente, un forte interesse.
Le strategie delle moderne campagne presidenziali si sono progressivamente modificate, partendo dalle operazioni carismatiche condotte prevalentemente in tv, a cui si è aggiunto il micro-targeting, per poi passare a ciò che si potrebbe definire “nano-politica”. Per creare una consapevolezza più sofisticata su come vengono eletti i governi, bisogna porre l’accento sulla ricerca empirica e prendere le distanze dagli opinionisti che, velatamente o apertamente, attualmente dominano il giornalismo politico. L’Annenberg National Election Survey, e i suoi analisti, offrono un aiuto a coloro che vogliono comprendere meglio ed essere maggiormente informati sulla democrazia americana. Una migliore comprensione, però, richiederà molto più lavoro di questo tipo e maggiore profondità.
Tratto da The New Republic
Traduzione di Daniela Silva