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Dopo le elezioni regionali, con tre anni di legislatura a disposizione senza altre importanti scadenze elettorali, occorre sviluppare il massimo confronto tra maggioranza e opposizione sul tema delle riforme costituzionali. Ammodernare le nostre istituzioni è un’esigenza imprescindibile per competere nello scenario internazionale. Ma se non si vuole fallire per l’ennesima volta, è necessario fare innanzitutto chiarezza sui contenuti delle riforme. Molti fanno riferimento alla cosiddetta bozza Violante. Ma quel testo non dà risposte adeguate sia per la forma di governo sia per il superamento del bicameralismo perfetto. Vediamo perché.

Forma di governo. L’obiettivo di fondo è certamente la realizzazione di un sistema bipolare maturo, con i necessari pesi e contrappesi, in cui –  come in tutte le democrazie dell’Occidente –  sono gli elettori a scegliere, in modo diretto o indiretto, chi deve governare. L’obiettivo può senz’altro essere perseguito con la forma di governo parlamentare, ma solo a condizione di dare attuazione ai suoi principi basilari. Non solo in Gran Bretagna, ma anche nelle altre grandi democrazie parlamentari, il capo dell’esecutivo dispone del potere di sciogliere (o di proporre e ottenere lo scioglimento) dell’Assemblea politica. Il sistema parlamentare non può funzionare correttamente se non si fonda su due principi inscindibili: la fiducia dell’Assemblea al governo (che include la possibilità da parte della maggioranza di poter cambiare, in via eccezionale, l’esecutivo) e il potere del premier di sciogliere l’Assemblea (in particolare nel caso venga meno la maggioranza). Un imprescindibile potere deterrente per la stabilità dell’esecutivo.  Al riguardo il testo Violante tace in modo assordante.

Compie un timido passo avanti sui tempi di decisione delle Camere; ma è ancora molto lontano dalla Gran Bretagna o dalla Francia dove la parte prevalente dell’agenda parlamentare è decisa formalmente dal governo. Occorre muoversi in questa direzione con una riforma dei regolamenti che assicuri tempi certi della decisione, bilanciata da garanzie di effettiva discussione del merito dei provvedimenti e da significativi poteri di controllo e indirizzo. E’ l’unico modo per valorizzare il ruolo delle Camere ed evitare la cosiddetta “fuga del governo” dal Parlamento”, vale a dire la tendenza dell’esecutivo a decidere fuori da esso, attraverso vari sistemi (non solo decreti legge e fiducie) a cui si ricorre in misura crescente proprio a causa dell’assenza di procedure regolamentari capaci di assicurare decisioni tempestive. Al riguardo, però,  non emerge dal dibattito alcuna larga condivisione; vengono anzi prospettate soluzioni di tipo assemblearista, più vicine al sistema in auge nella cosiddetta prima Repubblica, dominato dalle segreterie dei partiti, che ad un effettivo e moderno sistema parlamentare.

E rimane grande confusione anche sulla legge elettorale dove non si comprende se il Pd intenda seguire l’Udc nel tentativo di sopprimere qualsiasi meccanismo maggioritario per porre fine allo stesso bipolarismo e tornare al vecchio sistema dove i governi venivano fatti e disfatti dai partiti in Parlamento.

Una domanda si pone dunque con forza: le riforme devono assicurare l’affermazione del principio di responsabilità politica (il grande assente del nostro sistema politico-istituzionale) oppure rendere definitivi i limiti del vigente assetto costituzionale, cioè quelli di una sostanziale diarchia o, addirittura, triarchia istituzionale, con grande confusione e ambiguità di funzioni e poteri ?

Se non c’è chiarezza su questo punto, diventa di gran lunga preferibile assumere come modello il sistema presidenziale americano, con tutti i suoi straordinari checks and balances,  in cui il Presidente è sia capo dello Stato che capo dell’esecutivo.

Superamento del bicameralismo perfetto. Anche su questo argomento manca chiarezza e riflessione adeguata. L’improvvida riforma del titolo V (senza contestuale realizzazione di una sede di raccordo tra Stato, Regioni e Autonomie), la conseguente giurisprudenza della Corte costituzionale e, più recentemente, la legge sul federalismo fiscale, hanno fatto divenire il sistema delle Conferenze Stato-Regioni-Autonomie l’effettivo snodo di funzionamento del sistema, snaturandone il ruolo da sede di raccordo amministrativo in organo che assume importantissime decisioni politico-legislative. Oltretutto, esso manca completamente di trasparenza, responsabilità e democraticità. In Germania esiste il Bundesrat (composto da soli 70 membri che rappresentano gli esecutivi dei Lander), ma non esiste il sistema delle Conferenze. Cosa vogliamo fare noi ? Sovrapponiamo al sistema delle Conferenze un pletorico Senato “federale”, né legato dal rapporto fiduciario con il governo né rappresentativo dei governi regionali, come fa il testo Violante ?  Se si deve riformare il bicameralismo perfetto per passare, di fatto, al “tricameralismo  imperfetto” (con tre Camere che funzionano, ciascuna, con logiche diverse) è bene fermarsi in tempo e individuare altre soluzioni che non accrescano la confusione istituzionale.

Riformare la seconda parte della nostra Costituzione è opera molto difficile e complessa (e qui non ho affrontato il nodo della giustizia…). Il nuovo tentativo può avere chance di riuscita solo se il confronto diventa di alto profilo con la massima chiarezza degli obiettivi riformatori.

Occorre molto ottimismo della volontà per superare il pessimismo dell’intelligenza.

Peppino Calderisi è capogruppo Pdl in Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati.

Il Giornale

30/01/2010