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Ieri sera, a “otto e mezzo”, il Ministro Gelmini ha fatto sicuramente un figurone. Niente proclami, nessuna ideologia, molto pragmatismo e, soprattutto, buon senso. E’ questo che ci vuole per la scuola italiana, specialmente se si vuole davvero tirarla fuori dalle secche nelle quali è impantanata da anni.

Il merito, tanto per fare un esempio, pare che stia guadagnando il primo posto nella martoriata scala dei valori del nostro sistema educativo; si sottolinea altresì che lo stipendio degli insegnanti è scandalosamente basso rispetto agli altri paesi europei, lasciando trapelare l’idea di ridurne il numero pur di pagarli in modo un po’ più decente. Complimenti Ministro e tanti auguri per il suo non facile lavoro.

Se mi è consentito un piccolo appunto, vorrei tuttavia richiamare l’attenzione su un aspetto che riguarda la diffusa frustrazione dei nostri insegnanti. Giustamente anche nella trasmissione di ieri sera si è fatto notare come questa dipenda dalla scarsa considerazione sociale di cui essi godono. E il basso stipendio ne è una prova. Dubito tuttavia che riusciremo ad arginare questa piaga aumentando semplicemente gli stipendi. Spero di sbagliarmi, ma spesso sembra che la malattia del nostro corpo docente abbia a che fare soprattutto col fatto che gli insegnanti per primi non credono più nel ruolo che hanno. Si sono come arresi a un andazzo che ha fatto di tutto per svuotare di ogni significato le relazioni educative in quanto tali. E invece ci vorrebbe da parte loro una vera e propria impennata d’orgoglio.

Una mia zia, insegnante di scuola elementare, era solita reagire alle difficoltà del suo mondo, esprimendo ogni volta con un sospiro una sorta di incrollabile certezza: “quei ragazzini e le loro famiglie hanno bisogno di noi”. Ne andava fiera; sapeva di essere mal pagata e di operare in un contesto difficile; ma sapeva anche che il suo lavoro non era come tutti gli altri; ne avvertiva la responsabilità e, soprattutto, il privilegio.

Ecco su che cosa bisognerebbe forse battere un po’ di più. Anche i “ragazzini” e le famiglie di oggi hanno infatti bisogno di uomini colti, capaci di mettersi al servizio degli altri e che sentano il loro ruolo come un motivo di soddisfazione davanti a stessi. Un privilegio, appunto.

(L’Occidentale)