Il segno della modernità è dato dallo sviluppo delle tecnologie che, nate dalla scienza, hanno contribuito a liberare l’umanità dalla fame, dalle malattie, dagli insulti dell’ambiente, avvicinando sempre più i popoli, sia attraverso mezzi di trasporto via via più efficienti, sia attraverso mezzi di comunicazione capaci oggi di connettere l’intero pianeta.
Il ruolo della ricerca scientifica, in una società liberaldemocratica del XXI secolo, si articola su due piani: quello dell’aumento delle conoscenze che porta ad estendere le libertà degli individui e quello del sostegno allo sviluppo di una nuova economia a più alto valore aggiunto, e sostenibile, capace cioè di trovare nuove soluzioni per gli antichi problemi (l’energia, la salute, l’alimentazione), che la crescita demografica ed il degrado ambientale ripropongono in forme nuove, ma che il grande sviluppo delle scienze sperimentali rende oggi affrontabili, non solo singolarmente, ma nella loro complessità.
È per questi motivi che la politica della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica è assai rilevante nei paesi più dinamici in Europa, in America, in Asia, ed in tutti il ruolo del pubblico (Stati e governi locali) risulta centrale, strategico e propulsivo.
Un rapporto curato qualche anno fa dalla Commissione Europea (l’Agenda Saphir) ha ampiamente analizzato il ruolo della ricerca scientifica per la crescita ed ha indicato le politiche di governance da implementare.
Una delle conclusioni del rapporto riguarda l’entità delle risorse, da dedicare, in modo ottimale a questo settore. Viene proposto il 3% del PIL per l’istruzione universitaria e il 3% per la ricerca e sviluppo (sia pubblica che privata), valori già raggiunti in UE da alcuni paesi scandinavi.
Aliquote così consistenti del PIL sono attualmente irraggiungibili per l’Italia, oberata da un debito pubblico altissimo, da una spesa pubblica fuori controllo e generalmente inefficiente, e da una crescita modesta, e infatti attualmente ci si attesta su circa 1% + 1%.
Dato che tutta una serie di indicatori portano a ritenere che il sistema della ricerca pubblica e privata italiana lavori con bassa efficienza, pur se con aree di eccellenza sparse sul territorio a macchia di leopardo, una corretta politica della ricerca e della formazione universitaria, alla ricerca strettamente connessa, deve prima di tutto tendere a ripulire dalle sacche di inefficienza più scandalose ed a creare condizioni di competitività e di premio al merito.
Si pone così il tema della qualificazione della spesa, che deve incentrarsi su meritocrazia e competitività, attraverso meccanismi virtuosi capaci di promuovere la mobilità dell’eccellenza scientifica per singoli ricercatori, istituzioni di ricerca e settori disciplinari.
Non avendo il tempo per una analisi dettagliata, indico per punti quali dovrebbero essere, a mio parere, sia gli interventi per una prima fase di riqualificazione tanto per l’università che per gli enti di ricerca pubblici, sia quelli per una seconda fase di promozione tendente a connettere meglio l’area pubblica con quella privata ed a sostenere l’innovazione tecnologica.
Utilizzerò come sistema paradigmatico quello del Regno Unito, che è andato incontro dagli anni della Thatcher ad oggi ad una profonda riorganizzazione che ha portato la Gran Bretagna ad una posizione di leadership nella nuova economia.
Università
– Abolizione del valore legale del titolo di studio, lasciando agli Atenei una maggiore libertà di organizzazione didattica, oggi mortificata da una pioggia di controlli ministeriali puntigliosi, che però non riescono a garantire qualità
– Creazione di un consistente programma di borse di studio e di prestiti di onore agli studenti, che quindi divengono liberi di rivolgersi all’Università più gradita e non necessariamente a quella sottocasa
– Possibilità per le università, nella loro autonomia, di alzare gradualmente le tasse e di inserire il numero programmato
– Assegnazione del finanziamento pubblico alle Università in modo congruo rispetto ai risultati di una valutazione tempestiva della didattica e della ricerca da parte di un’agenzia di valutazione delle Università, che faccia tesoro dell’esperienza e dei criteri elaborati e validati in Gran Bretagna
– Promozione, attraverso la leva fiscale, delle commesse di ricerca alle Università da parte delle industrie
– Stato giuridico dei docenti: tre livelli (ricercatore, associato, ordinario); con pianta organica, nazionale e di ateneo, piramidale; reclutamento per concorso di idoneità nazionale (per associato e ordinario) e locale (per ricercatore)
– La precarizzazione, oggi presente nella fasi iniziali della carriera universitaria per cui si raggiunge l’agognato livello di ricercatore a 35-40 anni, ha forti ripercussioni anche sulla capacità dei giovani di mettere su famiglia. La situazione peggiorerebbe di molto se anche il livello di ricercatore risultasse precario, come vuole tra alcuni anni la riforma del centro destra che però aveva correttamente colto l’esigenza di inserire nella carriera universitaria elementi di meritocrazia non legata solo ai concorsi iniziali. Invece bisognerebbe da un lato incentivare, a tutti i livelli di carriera, il merito scientifico e didattico, come anche penalizzare le inadempienze fino a contemplare la possibilità, concreta, di messa in mobilità e/o prepensionamento per i casi di accertate gravi inefficienze.
– L’insieme delle norme predette tenderebbe a creare competizione fra Università per l’acquisizione delle risorse finanziarie sia dal pubblico sia dal privato ed indurrebbe ciascuna università a migliorare la propria qualificazione in didattica e ricerca.
Agenzia per il finanziamento della ricerca
Il motore fondamentale per la riqualificazione della ricerca pubblica e privata deve essere dato, come accade in molti paesi, da una unica Agenzia per il finanziamento della ricerca (una Granting Agency, equivalente a
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continua – Research Councils UK o NIH/NSF in USA), che unifichi tutte le linee di finanziamento presenti a livello dei diversi ministeri (MUR, MAP, Salute, Agricoltura, Beni Culturali, ecc.), che si articoli per macrosettori ed in diversi programmi (come in UK) e che riporti direttamente alla Presidenza del Consiglio. Ovviamente è fondamentale garantire professionalità e imparzialità, con un ben disegnato sistema di “Check and balance”.
Questa Agenzia dovrebbe:
– Gestire il budget per la ricerca promuovendo programmi di contratti di ricerca pluriennali e rendendo sempre più qualificata la spesa attraverso valutazioni professionali (ex ante, in itinere ed ex post) e conservando memoria storica delle performance dei ricercatori per le successive valutazioni
– Progettare l’utilizzo dell’incremento di risorse da dedicare al settore, in modo da adeguare rapidamente il sistema Italia ai migliori esempi europei
– Elaborare strategie di sviluppo della ricerca italiana in modo non dirigistico rispetto ai modi con cui raggiungere gli obiettivi strategici
– Rivedere le ripartizioni dei finanziamenti tra grandi aree disciplinari, correggendo le eventuali condizioni di privilegio dettate da ragioni storiche, e convogliando le risorse finanziarie secondo le attuali esigenze della scienza e del paese
– Rendere meno provinciale il sistema Italia finanziando in modo cospicuo la partecipazione di ricercatori italiani a progetti transnazionali europei a geometria variabile (es. la rete ERA-NET), che stanno diventando rilevanti anche per promuovere i nuovi settori interdisciplinari che si stanno affermando come necessari per affrontare le complesse tematiche della scienza moderna.
Inoltre è questa la leva più potente per introdurre nel mondo della ricerca italiana anche una forte capacità di collaborazione, sia nazionale sia transnazionale, superando la atomizzazione dei ricercatori che è una delle cause non marginali del degrado della qualità e della capacità innovativa della nostra ricerca
– Riferire annualmente alla Presidenza del Consiglio ed al Parlamento sul recupero di efficienza del sistema della ricerca italiana e sui successi di innovazione tecnologica maturati.
Enti pubblici di ricerca (CNR, ASI, ENEA, ISS, INFN, INFM, IRCSS, ecc., ecc.)
La riqualificazione della spesa pubblica è generalmente molto difficile in quanto i parametri della valutazione delle performance sono spesso discutibili in un paese che ha fatto del diritto al posto di lavoro nel pubblico (ed allo stipendio) un tabù intoccabile. Nel caso però della ricerca i prodotti sono ben definiti e visibili: pubblicazioni e brevetti. È quindi possibile procedere ad una ristrutturazione che allontani dal posto di lavoro ricercatori che non ricercano e non trovano, ad esempio coloro che per 2 anni consecutivi abbiano una produttività nulla in termini quantitativi e/o qualitativi.
Una stima (ovviamente approssimativa) quantifica intorno al 20% il recupero di risorse finanziarie sul budget degli enti pubblici di ricerca, che potrebbe ricavarsi oggi da una seria ristrutturazione del settore. Questa non trascurabile disponibilità finanziaria dovrebbe essere subito reinvestita nel sostenere assunzioni di giovani e per finanziare con maggiori risorse progetti prioritari di ricerca.
Promozione della ricerca industriale e dell’innovazione tecnologica
Una delle caratteristiche più negativa del sistema Italia è la bassa percentuale, sul totale delle risorse dedicate alla ricerca, che proviene dai privati (industrie, società finanziarie, charities, ecc.).
Per promuovere gli investimenti da parte di questo settore occorrono interventi:
– Sul piano fiscale (detassazione degli utili investiti in ricerca; deducibilità dei contratti di ricerca con enti pubblici; soprattutto detassazione del capital gain ricavato da investimenti high-tech, per favorire gli investimenti da venture capital)
– Sul piano infrastrutturale e normativo: facilitare le interazioni industria/enti di ricerca e soprattutto la creazione di piccole imprese innovative anche attraverso finanziamenti pubblici riservati a PMI high-tech sotto forma di contributi a fondo perduto, come accade in USA ed in UK.
Ricordo a questo proposito che è stato appena approvato dal governo britannico un programma strategico per 1 Miliardo di sterline (circa 1,5 Miliardi di euro) su 3 anni per sviluppare l’innovazione tecnologica che nasce dalla ricerca, a seguito del rapporto sulla politica della scienza “Race to the top” di Lord Sainsbury. Sono questi gli ordini di grandezza degli investimenti necessari per cercare di inserirsi con qualche successo nella competizione tra paesi dell’UE. È patetico pensare che qualcuno nel governo ritenga che tutto si giochi sul numero di seggi al parlamento europeo.
Conclusione
Il sistema della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica necessita nel nostro paese di una significativa riorganizzazione che premi il merito ed introduca forti elementi di competitività, ma anche di collaborazione. Il non averlo fatto in modo più incisivo e completo negli anni scorsi con un governo di centro destra è stata una grande occasione perduta, considerando anche il fatto che un processo di riqualificazione e potenziamento del sistema università/ricerca richiede una decina di anni prima di dare risultati apprezzabili anche sul piano dell’innovazione tecnologica, se si fa riferimento ai tempi dell’esperienza britannica. Ad ogni modo bisogna riconoscere che l’azione del ministro Moratti è stata complessivamente molto, molto più positiva di quanto non sia quella del suo successore.
Su questo tema, così decisivo per il futuro della nostra società, occorre trovare il consenso di tutte le forze riformiste. La componente liberal-democratica dovrebbe farsi carico innanzi tutto di elaborare un articolato piano di azione che agisca contemporaneamente su alcuni, ma cruciali, snodi del sistema università/ricerca/innovazione, perché è ben chiaro che interventi parziali non solo sono inutili, ma possono essere anche controproducenti.
Inoltre occorre iniziare subito a dialogare con giovani, sindacati, opinione pubblica ed altre forze politiche riformiste in modo da cogliere loro istanze positive su questa opera di profonda modernizzazione e nello stesso tempo convincere i dubbiosi che questa è una battaglia per un paese più efficiente e quindi più giusto, come Giavazzi e Ichino hanno iniziato a dire, coraggiosamente, da qualche tempo.
Nel far questo i liberaldemocratici italiani si riscatteranno dalla afasia da cui sono stati colpiti negli anni scorsi, e lavoreranno, insieme ai loro colleghi europei, per un’Europa più prospera, capace di meglio valorizzare i suoi giovani più meritevoli e di dare a tutti i suoi cittadini una migliore qualità di vita.
(Relazione presentata al convegno milanese “Verso la Costituente Liberaldemocratica Europea”, 27 ottobre 2007)
(Tratto da “La Voce Reppublicana”)