Sono sinceramente spiaciuto per il centrosinistra. Sono spiaciuto che ancora una volta si sia persa l’occasione per gettare, tramite una manifestazione seria, le basi per costruire un altrettanto serio dialogo attorno a questa sfibrante questione dei diritti per le coppie di fatto, alle quali ormai sembra che l’Italia abbia deciso di finalizzare ogni tipo di priorità legislativa. Capisco che ci sia da parte di Prodi l’assoluta necessità di fare “qualcosa di sinistra”: dopo aver fatto venire l’acquolina in bocca alla sinistra estrema con oltre 300 pagine di programma di governo e averli lasciati a bocca asciutta per nove mesi, qualche ossicino doveva pur lasciarlo, ai suoi lupi famelici. Ma tutto questo bailamme, anche mediatico, per una questione così marginale nell’attuale scenario politico è davvero inspiegabile. I diritti alle coppie conviventi sono già ampiamente riconosciuti dal codice civile, e nessuno è mai stato obbligato da Ruini (che ormai assieme a Berlusconi è il nuovo “mostro” da combattere) a contrarre matrimonio davanti a un sacerdote. Ad ogni modo, come è logico in democrazia, se una consistente parte di popolazione scende in piazza, è lecito starne ad ascoltare le motivazioni. Purché ce ne siano. E invece abbiamo assistito all’ennesima carnevalata, appoggiata da ministri in carica e bandiere di quasi ogni partito dell’unione: omosessuali che si scambiavano profonde effusioni davanti agli obiettivi dei fotografi, volgari caricature di Benedetto XVI, insulti contro Paola Binetti, inutili appelli alla laicità dello stato, attacchi immotivati all’immancabile Opus Dei e in generale contro la Chiesa (che mai ha chiesto di lesinare diritti per i conviventi) cercando di demolirne e ridicolizzarne le gerarchie, per poi acclamare al grido di “papa subito” Don Franco Barbero, prete di Pinerolo, che dopo Don Vitaliano è divenuto la nuova icona di questi manifestanti per aver molto banalmente sostenuto che la chiesa debba “includere e non escludere” (cosa che fa già da duemila anni) e grazie al solito vecchio ritornello dei vescovi gay.
Avrei invece molto più apprezzato da parte dei manifestanti una dissoluzione del velo di ipocrisia che ricopre questi benedetti “dico”, e una battaglia aperta su quello che è il vero e unico oggetto del contendere: la regolarizzazione civile delle coppie omosessuali, riconoscendo loro pari diritti rispetto alle unioni matrimoniali civili fra uomo e donna. Ma forse, su questo punto sanno di avere a che fare con un’Italia che non si è ancora del tutto rimbambita, e che quindi chiuderebbe loro le porte. E perciò è molto più semplice parlare di “diritti individuali” di “ingerenza della Chiesa” e altre panzane, che portano a manifestare anche un gruppo dei raeliani, che davvero fatico a capire quale nesso abbiano coi “dico”.
Il punto è un altro. Uno striscione sabato recitava “L’Italia è una repubblica fondata sull’amore”.
Ci sto, ma sappiate bene che l’amore è vita. E invece noi stiamo andando sempre di più verso una cultura di morte. Una cultura di morte che non prevede più il dono della propria vita per il fiorire di un progetto, di una missione, di un preciso scopo; sapendo che questo cammino può essere irto di difficoltà e sofferenze, ma che se si affronta davvero amandosi reciprocamente può dare frutti mai pensati. Invece è presa in considerazione solo la soddisfazione dei propri bisogni, delle proprie voglie anche più istintive, contemplando come buono soltanto ciò che porta piacere ed è utile a dimenticare ogni tipo di dolore su questa terra.
Seppur nel pieno rispetto dei sentimenti di ogni singolo individuo, che vita può nascere da due omosessuali?
Dove si può trovare amore nel giudicare “accanimento terapeutico” persino la ventilazione, l’idratazione e la nutrizione di malati come Welby o Nuvoli?
Qual è l’amore che porta a uccidere un bimbo innocente e indifeso alla ventiduesima settimana di gestazione solo perché un medico aveva prospettato una “sospetta” malformazione all’esofago?
Questo non è amore. Stanno cercando di mascherarcelo in tutti i modi (il “bene”, il “giusto”, il “necessario”…) per rendercelo digeribile, ma guai a chi lo confonde con l’amore!
Questa è solo la dittatura dell’ideologia, lo straripamento delle libertà personali dai confini della ragione, la paura della vecchiaia e della malattia, il fastidio davanti a un malato grave, l’impiccio di un bimbo che (forse) ci darà dei problemi.
“Caput imperare, non pedes”, ci insegnavano i latini. E invece ormai ragioniamo molto di più coi piedi che con la testa.
E a questo triste scenario, possiamo solo contrapporre un’opposizione che al momento è in crisi di identità. Dal punto di vista politico trovo improduttivo, inutile (se non per difendere le proprie scelte di gusti sessuali, ma ci sarebbero altri modi) la partecipazione di esponenti del centrodesta al ritardato carnevale di sabato scorso. E dal fronte laico invece è triste constatare che si riduca tutto a piccole beghe da cortile.
So bene che la piazza non è nel dna di un certo tipo di popolazione, e questo è un bene; quantomeno per non ritrovarci tutte “pecore” che allo squillare del campanaccio del pastore portano in massa il gregge dove lui desidera.
Ma credo che sia vitale, in questo momento, far vedere chiaramente a tutti che esiste un’altra Italia: l’Italia che ama la vita. Non “anti-dico”, non “anti-unione”, non “pro-vaticano”…ma soltanto profonda amante della vita, con le sue gioie e i suoi dolori, una vita che vale la pena di essere vissuta con coscienza e ragionevolezza, con un amore vero all’interno del quale ognuno possa prendere le proprie scelte, anche sessuali, ma che non pretenda debbano diventare un diktat per alcuno e vengano vissute all’interno del proprio pudore personale. Un’Italia che non sacrifica la ragione sul fasullo altare delle libertà personali a tutti i costi. Per non trovarsi alla deriva fra qualche anno con una società destrutturata dopo averne destrutturato la famiglia, cellula di partenza; per non trovarsi con i frigoriferi degli ospedali pieni di incolpevoli feti “scomodi” da eliminare; per non fare dello “staccare la spina” una pratica abituale e consueta.
Manifestiamo allora per politiche a sostegno degli omosessuali, ma anche per aiuti concreti all’unico tipo di famiglia possibile basata su un uomo e una donna; manifestiamo per un sostegno psicologico e medico che sia in totale favore della vita del nascituro da fornire alle donne in gravidanza che abbiano problemi o dubbi nel portare avanti la loro gestazione; manifestiamo per un’ alleanza terapeutica tra medico e malato grave che sia in favore della vita e che porti medico e parenti a prendersi in carico le sorti di chi è stato meno fortunato di noi.
Non si può cercare di risolvere tutto con leggi, con normative, con codici.
Serve una cosa sulla quale non è possibile legiferare: l’amore che sgorga dal cuore di ogni uomo, a patto che esso non sia chiuso a doppia mandata e abbia posto disponibile solo per gli affari nostri.
Non stiamo a discutere se la manifestazione debba chiamarsi “family day” o in altro modo, se vi sia il pericolo che una organizzazione abbia più visibilità di un’altra, se si danneggi il governo o la Cei, se una data è più utile di un’altra….
Facciamo sentire al più presto la voce di chi (e sono certo siano molti e molti di più dei manifestanti di Piazza Farnese…) ama davvero la vita, vuole fare della propria vita uno strumento di vero amore ed è disposto ad aprirsi agli altri, e non a chiudersi nella propria roccaforte fatta di ideologie ed egoismi.
Chiudo con le parole di Benedetto XVI all’angelus di domenica scorsa:
Le persone e le società che vivono senza mai mettersi in discussione hanno come unico destino finale la rovina. La conversione, invece, pur non preservando dai problemi e dalle sventure, permette di affrontarli in modo diverso. Fermare l’attenzione sulle precarietà della vita attraverso la conversione è l’unico modo per affrontare certe disgrazie senza scaricare la colpa sulle vittime”.