Il dibattito sull’interruzione volontaria della vita (…chiamiamo le cose con il loro nome, per carità…altro che “buona morte”) non è certo venuto a galla grazie a Terry Schiavo o Piergiorgio Welby. Costoro non sono altro che dei veri e propri Santi, anche senza stare sul calendario, che proprio come Cristo si sono caricati di una pesantissima croce e se la sono portata, o la stanno ancora portando, fino ad una conclusione che ad un certo punto non può che essere attesa come una liberazione. Lo stesso Cristo pregò il Padre di prendere tra le sue mani il suo spirito, chiaro segno di una resa ad una atroce sofferenza che il suo corpo mortale non riusciva più a sostenere.
Ma l’eutanasia non è certo un territorio di discussione solo recente. Forse è divenuto attuale grazie alle nuove tecnologie che la mente umana e lo sviluppo tecnologico sono riuscite a creare. Proprio come sta accadendo con le nuove biotecnologie utili alla creazione della vita in laboratorio, l’essere arbitro della conclusione, oltre che dell’inizio, della vita è per l’uomo “LA tentazione” in assoluto.
Non crucciamoci di questo…c’era da aspettarselo! La nostra umanità intera deve portare il peso di un “peccato originale” che è stato proprio quello di due esseri umani (i primi due apparsi sulla terra!) i quali fin da subito avrebbero voluto sostituirsi a Dio creatore, assaporando i frutti del proibito “albero della vita” che avrebbe permesso loro di “aprire gli occhi e divenire come Dio conoscendo il bene ed il male” (Genesi 3,5)…Che cosa è cambiato da allora? Nulla!
Questa è la verità: l’uomo desidera ardentemente essere padrone unico del suo destino e credendo, grazie all’evoluzione, di essere andato già molto oltre l’homo sapiens non può più accontentarsi di accettare questa finitezza umana, di accettare la presenza di qualcosa di soprannaturale artefice dei nostri destini per una sorta di “disegno intelligente”. Di “intelligente” ci vuole essere solo lui. Altro che pietismo per il dolore altrui, il Cardinale Barragan ricordava che la migliore cura per un malato terminale senza speranza è quella di avere i propri cari pazientemente e amorevolmente vicini a lui, stretti con lui nella preghiera e nella sofferenza fino alla fine. Staccare una spina è molto più comodo, ma conosco mariti che accudiscono da oltre vent’anni mogli immobilizzate in un letto e che non danno segno di vita alcuno. Chi ha più coraggio? Chi stacca la spina implorando pietà per l’altro (…chissà se l’altro potesse parlare…) o chi accetta questa scommessa con la vita?
Certo se da un lato difendo a spada tratta la sacralità della vita, dal suo concepimento alla sua fine naturale, non posso che riconoscere anche i rischi derivanti da un possibile accanimento terapeutico. Ma il problema è che bisogna andare coi piedi di piombo nel legiferare al giorno d’oggi su materie simili. Siamo troppo in bilico su un filo sospeso nel vuoto…basta un piede in fallo, e la frittata è fatta. Mi spiego: chi è contro la libertà di espressione? Nessuno, certo. Esasperiamola, e nascerà il “partito dei pedofili” senza che nessuno batta ciglio. In un mondo dove ogni valore è divenuto negoziabile, dove ogni “capriccio” può essere tramutato in “diritto personale”, chi mi assicura che fra quarant’anni io stesso, malato di alzhaimer, possa subire la “buona morte” da parte di un figlio desideroso “di aiutarmi”? Un figlio che non riconosco più e che quindi mi considera “spacciato” ed inutile nel ruolo di padre, e forse anche di essere umano. Che differenza c’è tra una “Terry Schiavo” che non comunica con il marito ed un ottantenne che non riconosce, e quindi non comunica, con il proprio figlio? Li uccidiamo entrambi? Questo è il problema vero dei nostri giorni. Non l’eutanasia in se stessa, ma il pericolo di una deriva comportamentale creata dalla mentalità di tante, troppe persone che forse hanno perso un po’ il contatto con la nostra vera realtà umana: una realtà caduca, fatta di sofferenze, di naturale deperimento fisico, una realtà finita fatta di “ragione” ma anche di “fede” senza la quale troppi interrogativi non potrebbero essere risolti se non con deprecabili “scorciatoie” che noi stessi, esclusivamente per comodità, ci creiamo. Ma il “bello” dell’uomo è proprio questo, Dio ci ama talmente tanto che ci dona il “libero arbitrio”: meglio tanti errori che tante marionette. Vogliamo allontanarci da lui? Lo possiamo tranquillamente fare. Ne pagheremo le conseguenze e, come un bimbo che ritorna contrito dal padre dopo la marachella, ci riaffideremo ancora una volta alla Sua eterna misericordia.
Concludo con le esemplari parole di Giovanni Paolo II, uno che, spinto dai media di tutto il mondo, avrebbe potuto “professionalmente” staccare la spina molto prima, ma che invece ha tenuto duro abbandonandosi alla volontà del Padre fino a mostrarsi al mondo intero inabile a proferire una sola parola di senso compiuto
“Gesù ha bevuto fino alla feccia il calice dell’amarezza.
Ma da quell’abisso di sofferenza sale un grido che spezza la desolazione:
“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46).
E il senso di abbandono si muta in affidamento alle braccia del Padre;
l’ultimo respiro del morente diviene grido di vittoria.
L’umanità, che si era allontanata nella vertigine dell’autosufficienza,
viene nuovamente accolta dal Padre.”