Il Cardinal Biffi, offrendo al Papa e alla Curia una rigorosa riflessione su un tema sul quale era già intervenuto in più di un’occasione, “L’ammonimento profetico di Vladimir S. Solovev”, ha ripreso il fil rouge della teologia cattolica come ragion critica sia delle eresie intraecclesiali sia della filosofia moderna. Biffi affronta di petto la vera questione del cristianesimo nel moderno: la sua riduzione ad una sfibrata filosofia dei valori, magari con un’oncia di spiritualità presa a prestito da qualche manuale di pia pratica religiosa. Sull’altare dei “valori”, la battaglia della fede è già persa. Solovev, morto nel ‘900, dunque profeta di un secolo intriso di equivoci ed eresie con esiti devastanti, tratteggia la figura dell’anticristo esattamente come una sorta di dispositivo creatore di valori per il mondo; in questa griglia di moralità intramondana e utopismi costruttivistici, galleggia la fede come disposizione all’apertura verso l’altro costi quello che costi, anche a detrimento della verità.
E’ impressionante vedere come la teologia cattolica postconciliare sia stata marchiata a fuoco dalle profezie di Solovev, “profeta inascoltato” ha più volte detto Biffi, e come la stessa idea di cristianesimo sia stata variamente ridotta ora a gnosticismo ora ad immanentismo pragmatistico (come vide bene, negli anni settanta, un grande teologo della scuola di Venegono, come Biffi, don Colombo, e, quindici anni più tardi, padre Sirico); ed è parimenti impressionante constatare come quanto scritto da Solovev in tempi non sospetti sia stato ripetuto e rielaborato, con accenti omogenei, da teologi provenienti da una scuola incarnazionista e ortodossa come quella di Milano, del seminario di Vengono, la scuola di don Giussani, Monsignor Manfredini e altri importanti esponenti del cattolicesimo italiano ed europeo. Qual è il punto dirimente? Che l’avvenimento cristiano non può essere la ruota di scorta delle ideologie contemporanee e non può essere schematicamente inscritto nel codice dell’agire umano, censurando completamente l’origine divina inafferrabile eppure sensibilissima e presente, qui e ora, di Cristo.
Come non esiste un “cristianesimo invisibile” disincarnato, non esiste neppure un cristianesimo immanentista ed eticista, pretesto ultimo per le buone intenzioni degli uomini e dei cristiani. I valori non sono trascurabili nella vita degli uomini, ma non possono essere concepiti come l’alfa e l’omega della vicenda della cristianità e dell’incarnazione come momento di rivelazione del Dio della storia e della vita. L’esito, mediato dalla cultura umana, i valori appunto, non possono mai essere scambiati per l’origine del cristianesimo e della dottrina della Chiesa. Maggiolini scrisse sulla rivista “Communio”, (Per una chiarificazione del concetto di “cristianità”, numero 123, maggio-giugno 1992, p. 114): “Vivente nella storia, il cristiano non può non aver influsso sulla storia, non protendersi a mutare la storia che pure è chiamata a partecipare alla vita in Cristo e in quanto umanità e in quanto cosmo”. E’ lo stesso orizzonte storico-teologico che detta le forme ermeneutiche della teologia di Balthasar, che a più riprese è tornato, anche in un dialogo serrato ed avvincente con don Giussani, sull’impegno del cristiano nel mondo; ma, per questa concezione della teologia e della cristianità, è la fede in Cristo il prius, certo non statico e rigido, non ideologicamente certo di sé, sempre drammaticamente esposto ai punti caldi della vita e alle tragedie storiche, ma, in ogni caso, imprescindibile assunto e fondamento. Il prius di cosa? Della vita personale, della vita storica e della vita associata. Il cerchio si chiude e si chiude a fronte della negatività immanentista e demonica – se vogliamo assumere la dottrina cattolica come spaccato di questa indagine – dunque sradicata dal bene dell’uomo.
La lezione di San Paolo è costantemente sullo sfondo a segnare e seguire le implicazioni più significative dell’esperienza umana, tanto che, anche fra coloro che si definiscono atei e filosofano in una cornice di negazione della fede in Cristo, da Slavoj Zizek a Jean-Luc Nancy, è Paolo a tratteggiare il fil rouge del dissidio fede-azione umana, che strazia la modernità e attraversa ogni riflessione teologica che si rispetti. “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono”, esorta San Paolo in 1Tess 5,21 e, si badi, la prima parte dell’esortazione consta di un momento assai prossimo alla tensione interpretativa presente nella riflessione del Cardinal Biffi, di taglio profetico, prossima a quella di Solovev: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie” (1Tess 5,19-20). La cristianità come civiltà umanistica e religiosa insieme non ha mai disprezzato nulla di ciò che è buono per l’uomo, dalla ricerca scientifica alla filosofia, ma il baricentro è sempre stato Cristo, con il portato ontologico che questa scelta di campo ha sempre comportato. Di qui la drammaticità dell’avvenimento cristiano: “Ti devi decidere, devi scegliere”, esortava Kierkegaard e Pareyson seguiva questa tensione: “Il faut choisir”, è necessario scegliere, decidere, appunto, etimologicamente, tagliare il nodo di Gordio ed attraversare la terra desolata della modernità senza imbarazzo e, nel contempo, senza pruderie e iattanza intellettuale. Chiari emergono i valori da accettare e quelli da rigettare, continua Biffi, ma ancor più chiari e stringenti risultano i criteri oggettivi della fede che, nel Concilio, sono sintetizzati nella Gaudium et spes al n.22, il momento cristologico per eccellenza, il punto di svolta del Concilio.
La rinuncia a questa radicalità teologica e umana che tutto attraversa e tutto riconcilia con l’Origine non originata (Ulrich) è lo scacco postconciliare e il dramma del cattolicesimo contemporaneo. L’anticristo è in mezzo a noi perché attende l’immanenza dell’ideologia e l’adesione incondizionata agli idola fori, perché codifica il pacifismo e l’irenismo pseudoreligioso come precondizioni dell’esercizio della virtù, perché inscrive l’ecumenismo ad arbitro della soddisfazione spiritualistica dell’individuo e dell’azzeramento dei conflitti tra le religioni, tranciando via di netto le differenze, nella fattispecie, diremmo oggi, la Dominus Jesus, che sceglie la via giovannea di Cristo unico ed assoluto Salvatore, ecco questo ingorgo di equivoci postconciliari (ma non solo postconciliari) si situa all’interno della testimonianza intellettualmente raffinata di uno dei più creativi allievi della scuola di Vengono. Lo sparuto gruppuscolo di cristiani ortodossi, cattolici e protestanti, che si ribellano all’anticristo, certi della propria fede in Cristo, incalzano la coscienza di ogni cristiano, pretendendo la verità ultima e definitiva: “Tu ci dai tutto, tranne ciò che ci interessa, Gesù Cristo”.
Biffi, per dirla col padre De Lubac di Catholicisme (1938), “confuta salvando”, salvando il cuore delle aspirazioni umane e, proprio per amore dell’uomo, incalzando, nel medesimo momento, la libertà dell’io ad una più elevata consapevolezza del disegno divino immanente nella storia. Una volta questa raffinata operazione si definiva, anche con un certo trionfalismo che appare certo più attraente rispetto alla sciatteria culturale del cattolicesimo di oggi, aplogetica; ebbene, Biffi sceglie questa strada antica e sempre attuale, ispirata com’è dalle sollecitazioni storiche di volta in volta più impellenti, e ancora una volta rivediamo il padre De Lubac di Catholicisme sullo sfondo: “Ispirandosi a queste cure inverse e complementari, si vede disegnarsi, non certo, una nuova apologetica, ma un rinnovamento nell’apologetica più tradizionale, e l’apologetica, più di ogni altra disciplina, non deve forse conoscere continui rinnovamenti per restare viva?”. Biffi ha letto, imparato e tenta, oggi, ancora una volta, di rispondere a questa domanda; se pensiamo al minor peso della figura dell’anticristo nel celebre saggio di Croce, negli anni Quaranta in piena crisi spirituale, possiamo concludere che anche stavolta la ragion critica cristiana ha superato la ragion critica agnostica: forse perché quest’ultima, priva di fede, appende al chiodo, stancamente, anche la ragione?