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Immaginate che si pubblichi un libro dal titolo “Perché non possiamo essere musulmani”. Immaginate che vi si affermi che l’islam è una religione per «letterali cretini e non adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo», e si spieghi che, poiché «la statistica insegna» (sic) che metà della popolazione mondiale è cretina, non è da stupirsi che ci sia un miliardo di musulmani. Immaginate che si sbeffeggi Maometto come “el libertador” e “el conquistador”. Immaginate tantissime piacevolezze consimili e tirate le somme. Le reazioni a un simile libro, disponibile a pile nelle librerie, farebbero impallidire quelle alle celebri vignette danesi. Il ministro degli interni dovrebbe proteggere con una robusta scorta l’autore, l’esimio professor Piergiorgio Odifreddi, colpito da una fatwa, in attesa che il ministro degli esteri calmi le acque, inviandolo in esilio su un atollo per evitare il taglio dei rifornimenti petroliferi.

Ma non temete. Il libro c’è, ma al posto dei musulmani ci sono i cristiani. Il professor Odifreddi si proclama ateo integrale, è un leader dell’UAAR (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti), assieme a Carlo Flamigni, Margherita Hack, Pietro Omodeo, Sergio Staino ed altri, ma, sebbene consideri la religione roba da minorati mentali, picchia duro soltanto su due religioni: ebraismo e cristianesimo. Anzi, si mostra commosso per i soprusi che le due più malefiche creazioni dell’idiozia umana hanno esercitato nei confronti delle altre religioni. Insomma, l’esimio professore non è un cuor di leone, ma l’espressione del più comune conformismo: quello di chi corre a tirare pugni laddove è certo di non correre rischi, e anzi dove spera di essere incoronato novello Voltaire.

Le finalità del libro sono chiare. In primo luogo, mostrare che l’ebraismo è, in soldoni, il tentativo di stabilire su basi teologiche il diritto a una terra: un disegno perverso che ha condotto alla costituzione di Israele, dal nostro definito in un’intervista uno “stato fascista”. E poi dimostrare che quel tal Gesù era mezzo mago, mezzo imbonitore di ridicole storielle, sulle quali è stato costruito un edificio teologico inconsistente e assurdo e un sistema di potere che ha prodotto soltanto delitti e misfatti. Del resto, è noto da un pezzo che questa è la missione del professor Odifreddi. Ma ora siamo all’ossessione. Qualsiasi cosa gli si chieda, anche che tempo fa, il professore risponde imprecando contro Dio e Gesù. In una recente intervista, gli è stato chiesto cosa pensasse del progetto francese di introdurre il calcolo aritmetico fin dall’asilo e prontamente ha risposto che saper fare 2 + 2 predispone a capire meglio che le tesi secondo cui siamo stati creati da Dio o sotto un cavolo sono entrambe “spiegazioni demenziali”.

Le letture recenti del professor Odifreddi sono il “Diario di Bolivia” ed il manuale “La Guerra di Guerriglia” di Che Guevara, come racconta in un’intervista, «forse l’ultima prima di imbracciare il fucile e andare in montagna»: forse crede di dar prova di humour e non sa che in montagna col fucile ci sta da un pezzo. Almeno fin dal suo “Il matematico impertinente” in cui dichiarava guerra all’era delle tre B, Berlusconi, Benedetto XVI e Bush. Del primo si è disfatto. Liquiderà il secondo con questo libro, e completerà la trilogia con la demolizione del Grande Satana USA (e, come corollario, del Piccolo Satana sionista). Per realizzare il secondo obbiettivo, il nostro non si è risparmiato, almeno in apparenza, vista la mole di citazioni e di disquisizioni filologiche di cui il libro è cosparso. Si direbbe che egli abbia passato anni a studiare l’ebraico e ad approfondire l’esegesi biblica – una via crucis intellettuale, come confessa nauseato. Ma per crederlo bisogna essere ingenui o bendisposti. Non serve neanche grattare in superficie per constatare di quale accozzaglia malamente rabberciata di informazioni di terza mano, probabilmente raccolte sul web, su enciclopedie e dizionari, sia composta la via crucis. È una sequenza di scoperte dell’ombrello (Elohim che è un plurale), di ridicole definizioni in pillola di temi su cui sono stati scritti libri (come il golem), o di elenchi di traduzioni di locuzioni bibliche, la cui diversità viene esibita come prova di non si sa bene quale confusione mentale anziché dell’incapacità del nostro ebraista di dirci qual è quella giusta. E francamente non vale la pena di continuare. Non soltanto perché la qualità del libro non lo merita, ma perché raramente è dato leggere una tale pizza, una vera via crucis di noia, ravvivata soltanto (per chi ama queste cose) da insulti o da osservazioni pecoreccie del tipo: «come simbolo del pene, il serpente sarà pure insinuante e viscido [sic], ma è un po’ moscio: può però facilmente ergersi in un duro bastone, e afflosciarsi in un serpente, anche nelle mani di Mosé».

Potremmo chiudere qui ed anzi chiederci se valeva la pena spendere tante parole, se non fosse che questa vicenda tristanzuola solleva una questione importante. Il professor Odifreddi non è un quidam: egli si è ormai affermato come uno dei principali esponenti della cultura scientifica in Italia. Gli vengono conferiti premi ed onorificenze a mazzi. Di lui si parla, senza tema del ridicolo, non come di un dignitoso ricercatore, ma come di un “vertice mondiale”, che fa avanzare la cultura scientifica con uno “spirito acuto e brillante” e una “cultura di vastità rara” (sito Cicap di Piero Angela ed altri). Egli è il dominus della scienza sui giornali, sulle televisioni e sulle radio e non c’è festival, kermesse, teatro o manifestazione dedicata alla scienza di cui non sia la prima donna. Persino il sindaco di Roma, Walter Veltroni – incurante o ignaro di essere stato trattato da Odifreddi alla stregua di un leccapiedi, uno di coloro che si genuflettono davanti a papi e cardinali – gli ha conferito l’incarico di direttore scientifico del Festival della Matematica di Roma. Insomma, siamo in pieno “odifreddismo”. E qui occorre chiedersi perché e quali sono le conseguenze.

Il fatto è che lo “stile Odifreddi” esprime al meglio la tendenza a ridurre la cultura e la divulgazione scientifica a spettacolo, festa, divertimento. Non c’è bisogno di difendere un’idea noiosa e austera della scienza per dire che non è sensato ridurla a una sagra della porchetta. È una buona idea imbonire i giovani facendo credere che la scienza sia qualcosa che si apprende giocando? Prendiamo il caso del Festival della Matematica. Vi si mette in scena una sfida tra il campione di scacchi Spassky e quindici matematici. Il risultato sarà ovviamente che le quindici “spalle” verranno sonoramente battute. Quale messaggio s’intende così trasmettere? Sfidiamo a trovarne uno dotato di un minimo di senso, salvo il fine in sé di inscenare uno spettacolo circense. E che dire della conferenza-spettacolo di Don Prezzemolo–Dario Fo? O dello show animato, manco a dirlo, da Serena Dandini? O della stantìa riproposizione del film “Morte di un matematico napoletano”, esemplare di una filmografia “matematica” in cui tutto si fa salvo che trasmettere un’idea sia pure ectoplasmatica di questa scienza? Come ha scritto Michele Emmer, «ben vengano le feste di qualsiasi cosa, anche di matematica, purché non pretendano di fornire la via maestra alla comprensione delle cose», mentre il guaio è che «nella glamourizzazione in corso vincono gli scienziati, ma perde la scienza».

Ma c’è un secondo aspetto: l’“odifreddismo” sostituisce metodicamente i contenuti scientifici con contenuti politici e ideologici, con una battaglia laicista, atea, anticlericale, antiamericana, antisionista e quant’altro. Basta seguire la produzione letteraria di Odifreddi: i contenuti scientifici – peraltro sempre trasmessi con una divulgazione di qualità talmente discutibile da rendere le espressioni di lode una manifestazione di umiliante piaggieria – man mano si dileguano per lasciare il posto alla rissa politica.

Le conseguenze si vedono. L’“odifreddismo” provoca soltanto contrapposizioni ideologiche frontali e furenti. Basta dare una scorsa, sul sito InternetBookshop, alla valanga di “recensioni” dei lettori ai libri di Odifreddi. È un mondo spaccato a metà: da un lato, i fans del professore, che proclamano la loro fede atea e postcomunista, arrivando persino a dire di essere certi che il libro è meraviglioso anche se non l’hanno ancora letto; dall’altro, coloro che si sentono beffati nella speranza di leggere di scienza e si vedono invece semplicemente dileggiati nelle loro convinzioni profonde. Un bel trionfo della razionalità, non c’è che dire.

C’è chi difende Odifreddi dicendo che è comunque un bene che si parli di scienza e di matematica. È l’insulsa massima «qu’on en parle, bien ou mal, mais qu’on en parle». Vogliamo davvero far credere che il compito principale della scienza sia dimostrare che la religione è pura demenza? Il risultato sarà che metà dei giovani fuggirà verso altri lidi, e l’altra metà si iscriverà alle facoltà scientifiche credendo che studiare scienza significhi spernacchiare su Gesù e Mosé, gridare “Bush boia” o fare interviste a Hitler. Un bel capolavoro per chi piange da mane a sera sulle misere sorti della scienza in Italia.

Coloro che hanno accettato, per ragioni mediatiche o politiche, Odifreddi come profeta ed esponente della cultura scientifica di questo paese dovrebbero riflettere. Se fossimo davvero – come pretende qualche imbecille – dei “nemici della scienza”, tiferemmo senz’altro “forza Odifreddi”.