Privacy Policy Cookie Policy

 

Passata ormai la “settimana del cilicio”, cioè delle polemiche sul suo utilizzo, devo dire che in fin dei conti c’è da essere più confusi (preoccupati?) che altro. È emersa ancora una volta la vera natura della società odierna, immersa nel relativismo e malata di quella fiacchezza morale che riguarda tutto l’occidente. Ecco perché l’affaire cilicio offre più di qualche punto di riflessione e porta, in ultima analisi, ad amare considerazioni.

Qualche tempo fa un noto programma televisivo mandò in onda un servizio sul mondo del sadomaso, intervistando una “padrona” e il suo “schiavo”: tutto un tripudio di pinze, gogne, frustini, schiaffi e umiliazioni varie. Addirittura durante l’intervista la padrona sputò in faccia al poveretto con grande gioia e godimento di quest’ultimo, che ha confessato alle telecamere di dormire sul pavimento di casa della sua dominatrice. I toni degli intervistatori e del programma erano del tutto neutri, semplicemente si fotografava un ambiente che ai più è ovviamente sconosciuto. Neppure una volta si è sentita la parola perversione, o percepito il minimo dubbio che ci fosse qualcosa che non andasse nella testa di quelle persone: semplicemente, facevano quello che volevano e tanto basta per vietare qualunque giudizio di merito. Grande scandalo invece se qualcuno dichiara di usare il cilicio, spiegando che si tratta di una normale penitenza (mirata quindi a distogliere dal materiale per meglio coltivare la propria spiritualità) e che provoca non più di un fastidio alla gamba (dove solitamente viene applicato). Oscurantismo, pratica becera, umiliante perché finalizzata alla mortificazione corporale, con in più l’aggravante di essere praticata in ambienti cattolici. Che evidentemente si possono criticare e condannare per tutto quello che li riguarda, a differenza dei sadomaso di qualche riga più sopra. Paola Binetti, che ha confessato di farne utilizzo, trova un inaspettato difensore d’ufficio nel deputato Franco Grillini: l’arcano si spiega facilmente, poiché l’esponente dell’arcigay difende la libertà della Binetti di “godere nei modi che lei ritiene più consoni”.

Le parole del diessino sono le più illuminanti per capire di cosa si sta realmente parlando. Svelano che il problema reale non è il cilicio, ma le motivazioni che stanno alla base della scelta di utilizzarlo, condite da un’ignoranza di base del cattolicesimo. Se, infatti, l’utilizzo di tale strumento fosse mirato al proprio egoistico godimento nulla osta, se invece lo scopo è un piccolo sacrificio per qualcosa in cui si crede (ricordate i fioretti di cui ci parlavano da piccoli?) la logica odierna si rifiuta di accettarlo. L’idea della rinuncia per qualcosa di meno immediato e più alto sembra essere sparita dai nostri orizzonti, per fare posto al dominio del desiderio di sé e per sé.

Proprio ragionamenti di questo tipo, ulteriormente sviluppati e ampliati fino alle estreme conseguenze portano, ad esempio, a discutere di Pacs/Dico come se fossero le grandi urgenze del nostro paese. Se l’unica legge è quella del desiderio del singolo, a poco a poco si perdono di vista concetti come bene comune e norma sociale. Differenziare diventa discriminare, proibire significherà intolleranza, presa di posizione sinonimo di integralismo. Quindi, sempre restando all’esempio fornitoci dall’attualità, non esisterà più la famiglia ma le famiglie, tante quante il mio desiderio riuscirà a concepirne (a quando la poligamia?). Uno degli argomenti a favore delle unioni di fatto è che la società si evolve e che si assiste all’emergere di più modelli di convivenza che lo Stato non può rifiutarsi di riconoscere. La legge quindi al servizio del capriccio, non del bene comune: e lo stesso bene comune non viene rifiutato, semplicemente cadono le categorie per poterne dare una definizione. In poche parole è il capovolgimento della giurisprudenza e della politica per come le conosciamo oggi. Non è lo Stato che legifera e regola, per quanto gli è consentito, la società, ma sono le pulsioni di quest’ultima che senza alcun limite dettano le norme della legislazione. Insomma, fallita la rivoluzione proletaria si battono le vie di una rivoluzione antropologica.

Oggi tutto deve essere permesso, l’unico criterio guida del nostro agire deve essere la ricerca smodata del piacere. Non esiste niente altro che possa giustificare le nostre libere scelte, anzi, dimenticati i doveri rimangono solo i diritti svuotati del loro significato, e identificati in una qualunque voglia personale. Nella “società del divertimento” di cui parla Peter Hanhe nell’omonimo libro non possono certo trovare posto parole come sacrificio e dovere. E, fa notare l’autore, anche il lavoro perde di significato: solo una pausa tra un divertimento ed un altro, o tutt’al più un modo per autorealizzarsi. Come biasimare quindi chi non vuole fare figli? Dove si trova il tempo per crescerli (meglio:mantenerli), soprattutto se non tolleriamo qualunque taglio al nostro tempo libero? E poi quante spese comportano…

Ecco cosa sta dietro la polemica su quella cordicella di “supplizio”, cordicella che gente senz’altro rozza ed oscurantista come un Paolo VI non disdegnava di utilizzare. Grande sfortuna per lui non avere un Grillini che lo redarguisse sul suo corretto utilizzo e su tante altre questioni. Nessun dubbio però sul fatto che chi sta dalla parte di Paolo VI e dell’identità occidentale lascerà senz’altro liberi tutti gli altri di scegliere i pontefici laici che più li aggradano. Sperando che almeno questa di libertà ci venga concessa, e che corrisponda ad un grado standard di godimento accettabile.