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I regimi radicali del mondo – Iran, Siria e Corea del Nord in testa, insieme alle formazioni estremiste che ne ricevono il sostegno – seguono una strategia di rottura con il codice di comportamento internazionale che sta dando ottimi risultati. L’incapacità dell’Occidente di far fronte a tale approccio, e persino di comprenderlo, è la questione cruciale del Medio Oriente e della politica internazionale degli ultimi decenni. I criteri alla base della vita della comunità internazionale possono essere così riepilogati:
– gli Stati non aggrediscono e non cercano sistematicamente di sovvertire l’ordine costituito degli Stati vicini (ad esempio con il terrorismo) perché consapevoli che potranno incorrere in delle sanzioni;
– i governi cercano di trovare una soluzione ai conflitti, specie se li stanno perdendo;
– gli Stati più potenti, a protezione dei propri interessi, ricorrono alla minaccia dell’uso della forza o alle sanzioni contro gli Stati nemici più deboli;
– gli Stati più deboli evitano di entrare in conflitto con gli Stati più forti nel timore del costo della sconfitta;
– i governi cercano di soddisfare i bisogni dei cittadini per non perdere il loro consenso ed essere riconfermati alle elezioni.

In Occidente, i politici, i diplomatici, gli accademici e i giornalisti si aspettano che gli altri Stati rispettino i suddetti criteri. Quando non lo fanno, spesso interpretano il loro comportamento – per ignoranza o malafede – come se fosse conforme al proprio. Tale metodo può essere chiamato “garanzia di moderazione” perché scoraggia i regimi a comportarsi in maniera avventurosa e mette nelle condizioni di non nuocere chi viola le regole. Da questo punto di vista, la deposizione di Saddam Hussein in Iraq, per quanto controversa, può essere considerata una normale applicazione delle regole della politica internazionale. Un altro esempio di “garanzia di moderazione” è l’equilibrio delle potenze, che in molti casi ha evitato alla conflittualità di sfociare in un vero e proprio scontro armato, come tra Usa e Urss, Grecia e Turchia e India e Pakistan.

A partire dal 1950, però, gli ultra nazionalisti arabi e i regimi islamisti hanno semplicemente gettato via questo codice di comportamento. I paesi meno estremisti, come Arabia Saudita e Giordania, hanno sempre giudicato poco prudente questa politica e hanno messo in guardia i vicini oltranzisti da una reazione violenta dell’Occidente: “Pensate che vi lasceranno sponsorizzare il terrorismo, provocare guerre, rovesciare lo shah in Iran e distruggerne gli interessi ovunque nel mondo?” Ma sorprendentemente i radicali hanno proseguito con la loro strategia e gli importanti successi ottenuti hanno spinto i movimenti di opposizione rivoluzionari a seguirne l’esempio e i paesi cosiddetti moderati ad accentuare la propaganda antioccidentale e ad ignorare gli interessi di Europa e Stati Uniti.

Uno degli elementi centrali di questa strategia è che aumenta in coloro che l’abbracciano la percezione della propria forza e nell’Occidente la percezione della sua debolezza. I radicali hanno molti vantaggi dalla loro parte: ricercano il conflitto e sono pazienti; non si fanno scrupoli morali (cioè non hanno problemi nel compiere stragi) e accettano la sofferenza (o meglio costringono la popolazione alla sofferenza, perché i dittatori non hanno mai problemi di sussistenza). Trattandosi di regimi dittatoriali, l’opinione pubblica non ha alcun valore e viene anzi sfruttata per i loro scopi attraverso la demagogia e il controllo della scuola e dei mezzi di comunicazione.

Al contrario, l’Occidente vuole la pace, è impaziente nella ricerca delle soluzioni e non vuole subire perdite. Trattandosi di democrazie, l’opinione pubblica è frammentata e quindi sensibile alla propaganda estremista. Quali sono, dunque, le regole seguite dai paesi e dalle formazioni radicali:
– l’indifferenza nei confronti dell’equilibrio delle forze. Che importa se il nemico è più forte? Che possono fare, attaccarci? E se pure ci attaccano, lasciamo che la nostra gente soffra per far sentire l’Occidente colpevole;
– l’uso della demagogia all’interno per incoraggiare la pratica del martirio e lanciare campagne di promozione della propria causa all’estero;
– non arrendersi mai anche di fronte alla certezza della sconfitta; mai fare concessioni importanti perché tenere il conflitto aperto può portare in futuro alla conseguimento dell’intera posta in palio. Dimostrare di essere pronti a distruggere tutto e continuare a combattere sempre al fine di scoraggiare il nemico.
– ingannare l’Occidente con la propaganda. Far credere ai governi e alla popolazione che se gli verrà concesso quel che chiedono deporranno le armi. Non mantenere le promesse fatte in cambio di concessioni, perchè l’Occidente non muoverà un dito per costringerli a rispettare gli impegni presi e dimenticherà tutto.
– trattare periodicamente per il raggiungimento di un compromesso, senza però giungere a un accordo definitivo. I leader occidentali hanno fretta di trovare un’intesa per evitare il confronto diretto, fare passi avanti nella risoluzione del conflitto o raccogliere gloria personale.

Così, negli anni ’50 e ’60, il dittatore egiziano Gamal Abdel Nasser disse che se “all’Occidente non piace il nostro modo di comportarci, gli faremo bere l’acqua del Nilo”. Negli anni ’70 e ’80, il dittatore iraniano l’ayatollah Ruhollah Khomeini disse che l’Occidente non può fare un bel niente. Yasir Arafat è stato un terrorista per 30 anni, mentre da Europa e Stati Uniti veniva finanziato e corteggiato per ottenerne la collaborazione. Saddam Hussein, negli anni ’90, disse che non avrebbe mai rispettato quanto la comunità internazionale gli aveva prescritto neppure di fronte a ulteriori sanzioni. Oggi, il pericolo proviene dal programma nucleare iraniano e dalla Siria che sostiene il terrorismo nei paesi vicini.

Ci sono paesi, in particolare India, Israele, Corea del Sud e Turchia, che per sopravvivere sono costretti a rispondere alla minaccia terroristica con uguale durezza, mantenendo allo stesso tempo il supporto dell’opinione pubblica. Al contrario, l’Occidente ha maggiori difficoltà nel combattere il terrorismo, a causa della debolezza dell’Europa e dei suoi intellettuali (la quinta colonna dell’estremismo islamico), della sua priorità per gli elevati standard di benessere e della sua incapacità di sopportare gli spargimenti di sangue. Ciononostante, saranno ancora una volta l’Occidente e il mondo democratico a vincere, grazie proprio al codice di comportamento di cui abbiamo parlato all’inizio. Gli estremisti costringono l’Occidente a combattere sul piano dell’aggressività, ma la superiorità economica e strategica conta. Il problema è che l’aggressività, la superarma radicale, prolunga indefinitamente il conflitto e rende più difficile ottenere la vittoria.