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SENATO DELLA REPUBBLICA

      ———– XV LEGISLATURA ———–

    N. 1252    
DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori QUAGLIARIELLO, ASCIUTTI, ALBERTI CASELLATI, AMATO, CANTONI, MAURO e SACCONI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 17 GENNAIO 2007

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Ordinamento del sistema universitario nazionale. Delega al Governo per l’abolizione del valore legale del diploma di laurea

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Onorevoli Senatori. –
1. Università e competitività dell’Italia
    Nel nostro paese, da ormai troppo tempo, vi è un generale senso di insoddisfazione per come il sistema accademico nazionale e le singole istituzioni universitarie sono governate. Un’insoddisfazione che deriva anche dal modo in cui, dal 1989 ad oggi, sono state realizzate le politiche dell’università, e in particolare quelle sull’autonomia.

    Troppo spesso il carattere pubblico dell’istituzione universitaria, che dovrebbe essere al servizio dell’interesse nazionale, dell’interesse degli studenti e delle famiglie, è stato confuso (attraverso un’operazione di vera e propria manipolazione ideologica) con la natura statale e burocratica delle strutture universitarie. Troppo spesso la missione autentica del sistema di formazione superiore, che coniuga al suo interno didattica e ricerca scientifica, è stata derubricata in tutela di baronati locali e di corporazioni intoccabili. Le sfide che l’università è chiamata ad affrontare in questi anni e in quelli a venire ormai le impongono di aprirsi al mondo esterno, di diventare più agile e competitiva, di adattarsi rapidamente ai mutamenti della società, senza per questo smarrire la sua missione iniziale.
    La qualità della formazione universitaria è una delle funzioni decisive della competitività dei sistemi economici nazionali, come del resto riconosciuto dall’Agenda di Lisbona, che punta a rendere entro il 2010 l’Europa l’area più competitiva del pianeta. In questa prospettiva, la stessa Unione europea chiede ai governi nazionali un’inversione di rotta, ponendo tra gli obiettivi prioritari del processo di integrazione, da qui al traguardo del 2010, l’armonizzazione dei sistemi di istruzione e la creazione di un’area comune per la formazione superiore, che faciliti la mobilità dei membri della comunità accademica sul territorio dell’Unione.
    A pochi anni dalla scadenza abbiamo di fronte lo scenario sconfortante di istituzioni sottofinanziate, antiquate e superburocratizzate, che stanno penalizzando le generazioni di oggi e rischiano di rovinare le generazioni future; istituzioni che producono pochi laureati e spesso con competenze sorpassate, la cui formazione personale non trova corrispondenza con le esigenze del mondo del lavoro. Il modello da perseguire deve essere in grado di coniugare competitività, alto livello nella qualità degli studi, flessibilità e attenzione alle esigenze del mercato. Si impone perciò un radicale ripensamento. L’indispensabile contributo che l’università deve fornire all’interesse della nazione, la sua funzione sociale, deve essere perseguito attraverso la via della concorrenza, che garantisca ai migliori di emergere, indipendentemente dalla loro condizione economica, e agli atenei italiani di reggere il confronto sul mercato della formazione culturale che, anch’esso, si è globalizzato.
    In Italia ogni tentativo di riforma è stato boicottato da un sistema nel quale ad avere la meglio sono stati interessi corporativi e antiquati ideologismi. Continua ad essere completamente assente dall’agenda politica di questo Governo un dibattito strategico sul futuro dell’università; si tenta invano di dare risposte parziali e unidirezionali a problemi sistemici. Mentre è giunta l’ora di cambiare rotta.

2. I principi ispiratori di un’università di qualità
    È dunque necessario un ripensamento complessivo dell’università. Essa deve ispirarsi ad alcuni principi imprescindibili, se si vuole realizzare un’università di qualità:
        – il riconoscimento dell’autonomia dell’attività di insegnamento e della libertà di ricerca non può significare la feudalizzazione del sistema e tanto meno il consolidamento di logiche corporative autoreferenziali.

        – la libera scelta del percorso formativo da parte degli studenti deve essere coniugata con la necessaria consapevolezza delle esigenze del sistema economico e delle possibilità occupazionali del mondo del lavoro. Occorre sviluppare la necessaria attenzione alle esigenze del sistema economico e del mercato del lavoro, per non creare uno stuolo di eccellenti laureati disoccupati;
        – il diritto allo studio deve perdere ogni connotazione di carattere assistenziale per diventare un efficace meccanismo di promozione dell’eccellenza e di una sana competizione fra gli studenti, influenzata il meno possibile dalle diverse condizioni economiche di partenza;
        – i soggetti che svolgono le funzioni proprie dell’università – offerta formativa e ricerca scientifica – devono essere posti in grado di competere su un piano di parità. Lo Stato deve garantire un’adeguata attività di valutazione dell’operato delle istituzioni universitarie secondo criteri oggettivi di efficacia ed efficienza.

    Vanno, infine, garantite trasparenza e meritocrazia nel sistema di arruolamento della docenza, due principi troppo spesso sacrificati alle logiche del potere accademico e/o di potentati locali.

3. Concorrenza al ribasso o concorrenza per la qualità?
    Per garantire un sistema che valorizzi e faccia propri questi principi, che sono alla base di un’università di qualità, è necessario intervenire su alcuni snodi decisivi. Col sistema attuale, in cui tutti i diplomi sono uguali tra loro e ciò che premia è quindi la facilità con cui acquisirli, si è creato un meccanismo di concorrenza al ribasso, piuttosto che di eccellenza, in cui non contano i meriti, non contano le competenze acquisite, ma a contare è solo l’uguaglianza dei risultati. L’individuo così scompare di fronte al numero indistinto. E la sua libertà di scelta è dettata solo da motivazioni logistiche e contingenti e non da un vero e proprio investimento per il futuro.

    L’unico modo per spezzare questo meccanismo, per avviare una virtuosa spirale di competizione per la qualità è l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Il disegno di legge che segue la prevede come obiettivo di medio termine, da realizzare entro trentasei mesi dalla data della sua entrata in vigore.
    Questo ambizioso obiettivo potrebbe però diventare velleitario se non si inserisse in un sistema già rinnovato e consolidato, orientato ad una competizione di qualità. Proprio per questo sono stati messi in preventivo almeno tre anni durante i quali attuare una riforma graduale del sistema. Tre anni in cui preparare le università a correre con un altro passo, all’interno di un sistema che, liberatosi del valore legale del titolo, le obbliga ad adattarsi alla competizione, istituendo i corsi migliori, che garantiscano il più possibile uno sbocco lavorativo; ad assumere professori più preparati, più attenti alle dinamiche sociali, più attaccati alla missione che devono svolgere; a dotarsi di strutture amministrative più efficienti, economicamente sostenibili.

4. La valutazione
    Non vi è dubbio che una competizione virtuosa nell’offerta della formazione universitaria debba necessariamente basarsi, in particolar modo sino a che il diploma di laurea manterrà valore legale, su un efficiente sistema di valutazione della qualità. Parlare di valutazione significa cambiare la prospettiva con cui fino ad oggi è stata intesa l’università; significa restituire agli atenei la loro responsabilità istituzionale, mettendo in gioco le loro reali capacità.

    Il presente disegno di legge intende offrire un quadro normativo di riferimento in grado di avviare il processo di modernizzazione del sistema universitario italiano, innanzi tutto prevedendo un rigoroso sistema di valutazione dell’attività delle singole università, quindi realizzando nel concreto e appieno quella autonomia (finanziaria, didattica e gestionale) rimasta per anni solo sulla carta.
    Una valutazione della qualità deve essere compiuta sin dalla fase di avvio dell’attività delle università. È pertanto previsto che ogni istituto universitario debba essere accreditato dal Ministero sulla base di alcuni parametri di carattere oggettivo: le esigenze del territorio in cui operano o dovranno operare le università (per evitare che vi sia un’inutile concentrazione di strutture già sovrabbondanti o, al contrario, la nascita di altrettanto insignificanti cattedrali nel deserto), le capacità di autofinanziamento (incentivando così gli atenei a creare rapporti quanto più stretti con le istituzioni locali e con il mondo dell’imprenditoria privata), l’adeguatezza dei corsi di laurea rispetto agli obiettivi formativi, la composizione del corpo docente nonché l’idoneità tecnica delle strutture universitarie.
    L’attività di valutazione deve inoltre riguardare la qualità dell’attività delle università accreditate, verificando il livello raggiunto dai singoli atenei dal punto di vista della didattica e della ricerca, del grado di specializzazione e di eccellenza. A tal fine occorre che sia tenuto nell’adeguata considerazione il rapporto che ciascun ateneo è in grado di sviluppare con il sistema produttivo e col mercato del lavoro, che in parole povere significa tenere sotto controllo le reali possibilità occupazionali dei giovani laureati, la rilevanza internazionale degli atenei e dei progetti di ricerca, l’adeguatezza organizzativa delle strutture, nonché la qualità dei servizi.
    Tale complessa attività di valutazione dovrebbe condurre, sulla base di criteri oggettivi predeterminati, ad una ripartizione delle università per fasce di merito, anche al fine della erogazione dei finanziamenti pubblici. In tal modo anche nel nostro paese prenderebbe piede una reale competizione tra università, mettendo definitivamente in soffitta il totem dell’uguaglianza, formale e sostanziale, fra tutte gli atenei.

5. L’autonomia didattica e di ricerca
    Se è vero che per legge le università godono di autonomia funzionale, didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, che espletano attraverso statuti e regolamenti, nei fatti tutta questa autonomia sembra essere solo lettera morta. Come se non bastasse, una malintesa accezione dell’autonomia sta conducendo il sistema verso esiti paradossali, per i quali la competizione fra università si esercita per lo più nella definizione fantasiosa di corsi di laurea e di piani di studio.

    Secondo il presente disegno di legge, spetta al Governo la fissazione dei criteri per l’apertura di nuovi corsi di laurea, nonché l’individuazione degli esami fondamentali di ciascun corso. Ogni ateneo sarà, invece, autonomo nella definizione dell’ordinamento dei corsi di studio universitari per quanto attiene alla suddivisione delle attività didattiche di base, specialistiche, di perfezionamento scientifico, di alta formazione permanente e ricorrente; alla fissazione dei requisiti di ammissione ai corsi; alla definizione di strumenti per garantire l’informazione e l’orientamento nonché la mobilità degli studenti. Spetta sempre alle università, nell’ambito dell’attività di ricerca, garantire l’autonomia nella determinazione e realizzazione dei progetti di ricerca.

6. L’autonomia gestionale
    In un contesto di libera competizione fra le strutture universitarie assume importanza decisiva il riconoscimento di una piena autonomia gestionale, all’interno di un quadro minimale di regole, dirette essenzialmente ad evitare che un’eccessiva rappresentanza delle corporazioni interne ostacoli la capacità delle università di rispondere agli stimoli esterni. A tal fine è necessario eliminare vincoli troppo restrittivi, per concedere alle università autonomia reale e piena responsabilità. Si devono perciò spezzare le logiche dell’autogoverno fondato sul principio della rappresentanza democratico-corporativa e adottare meccanismi di governance più snelli e agili, più imprenditoriali, in grado di far fronte alle nuove sfide dell’università: gestire i grandi numeri legati alla domanda di istruzione crescente (domanda/offerta), riqualificarsi sul piano della formazione e della ricerca (qualità), internazionalizzarsi (competizione). A tal fine il disegno di legge definisce gli organi di governo dell’università e fissa i parametri di riferimento entro cui ogni statuto deve orientarsi per regolamentare funzioni e competenze; stabilisce inoltre una gerarchia degli organi di governo, che corrisponde ad una differenziazione tra le competenze di natura culturale e scientifica e quelle amministrative.

7. Parità fra pubblico e privato
    Un tassello fondamentale per il funzionamento di un sistema universitario aperto e concorrenziale è la parità delle condizioni finanziarie delle strutture pubbliche e private che erogano servizi di formazione universitaria. Occorre superare l’erronea convinzione che la natura pubblica di un servizio (nella fattispecie la formazione superiore) presupponga la natura statale dei soggetti erogatori. L’attuale assetto vede la dominanza delle università statali, lasciando alle strutture private spazi residuali normalmente utilizzati per la creazione di aree di eccellenza ma anche di privilegio sociale. Secondo un classico paradigma di eterogenesi dei fini, l’approccio statalista-egualitario, che caratterizza il nostro sistema universitario, si traduce in un formidabile strumento di tutela dell’ordine sociale costituito, riservando solo agli studenti provenienti dalle classi sociali più agiate la possibilità di accedere ai servizi universitari più qualificati.

    Nel disegno di legge la parità fra pubblico e privato nel settore universitario viene perseguita attraverso due meccanismi. Da un lato si prevede che i finanziamenti pubblici per l’attività didattica siano ripartiti non in funzione della natura pubblica o privata dell’università bensì in funzione di alcuni parametri di qualità del servizio (tra gli altri, il numero degli iscritti e i criteri di ammissione degli studenti; il tempo di primo impiego dei neolaureati e l’efficacia occupazionale dei titoli; la rilevanza internazionale degli atenei e l’adeguatezza quantitativa e qualitativa del personale e delle strutture).
    Oltre a prevedere l’accesso paritario delle università private ai finanziamenti pubblici per le attività didattiche, si interviene anche sull’autonomia universitaria nella determinazione delle rette di iscrizione a carico degli studenti. A tal fine si prevede che ciascuna università fissi le rette di iscrizione all’interno dei valori minimo e massimo stabiliti con decreto del Ministro dell’università e della ricerca di intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze. L’obiettivo è quello di consentire a tutti gli studenti l’iscrizione a quelle università private che accedano ai finanziamenti pubblici per le attività didattiche. Naturalmente, nel rispetto di una visione liberale dell’organizzazione sociale, si prevede comunque la possibilità per le università che non ricevano finanziamenti pubblici di fissare liberamente le rette di iscrizione degli studenti.
    È inoltre prevista la possibilità di ridurre le rette di iscrizione per alcuni corsi di laurea, al fine di promuovere la formazione di laureati in settori ritenuti particolarmente strategici per lo sviluppo del sistema economico del Paese.
    Il disegno di legge prevede altresì alcuni interventi diretti ad incentivare l’erogazione di finanziamenti privati alle attività universitarie, prevedendo in particolare da un lato un regime di fiscalità agevolata e dall’altro un coinvolgimento attivo dei soggetti finanziatori nelle attività di governo delle università.

8. Autonomia universitaria e non autogoverno corporativo
    Il sistema delineato nel disegno di legge si caratterizza per il riconoscimento di un’ampia autonomia universitaria, da esercitarsi all’interno di un quadro di regole chiare e di precise imputazioni di funzioni fra i diversi soggetti coinvolti. In questa prospettiva, appare del tutto controindicata la creazione di organismi fintamente indipendenti, di autorithies o agenzie che rischiano unicamente di offuscare il riparto di responsabilità. È pertanto assolutamente opportuno che le funzioni di indirizzo generale del sistema universitario appartengano alla sfera della politica e siano quindi esercitate dal Governo tramite il Ministro dell’università e della ricerca. Spetta al Ministro svolgere le funzioni di accreditamento e di valutazione delle politiche di istruzione superiore nazionali e delle performance universitarie (nella didattica e nella ricerca), sulla base di parametri predeterminati.

    Per evitare che si producano fenomeni di scollamento tra la decisione politica (che è opportuno rimanga tale) e la realtà universitaria si prevede l’istituzione di un’Alta commissione per la qualità del sistema universitario, una sorta di comitato di garanzia, scelto secondo criteri di eccellenza dal Governo, dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) e dalla Conferenza dei presidenti delle regioni. Tale Alta commissione svolge funzioni di consulenza al Ministro nell’esercizio dei suoi delicati compiti istituzionali, esprimendo pareri sulle procedure di accreditamento, di valutazione e di ripartizione dei fondi. L’Alta commissione, inoltre, verifica lo stato del sistema universitario, esercitando funzioni di studio, analisi e proposta in tutte quelle materie che attengono alla qualità della formazione e della ricerca universitaria. A tal fine si prevede che l’Alta commissione presenti annualmente al Governo una relazione sulla qualità del sistema universitario.

9. Il diritto allo studio, la selezione e la meritocrazia
    Il diritto alla libera scelta del proprio corso di studi, principio cardine di un sistema formativo liberale, richiede alcuni interventi in grado di garantirne l’effettività. Un reale diritto allo studio presuppone, evidentemente, meccanismi diretti a orientare la scelta degli studenti verso gli sbocchi che offrono maggiori potenzialità professionali, ad assicurare un adeguato livello culturale di quanti si iscrivono all’università e a garantire agli studenti meritevoli e meno abbienti il sostentamento durante il corso degli studi universitari. L’assenza di tali meccanismi è alla base dell’attuale paradosso italiano che vede da un canto uno stato di cronico sovraffollamento di alcune facoltà e dall’altro un numero di giovani laureati esiguo se confrontato con quello dei nostri competitori stranieri. Questa situazione, in fin dei conti, determina un preoccupante abbassamento del livello complessivo della formazione universitaria italiana, fino al punto da derubricare il diritto allo studio nel suo esatto contrario, ovvero nell’impossibilità (sostanziale) di ricevere una formazione superiore adeguata ed utile per l’inserimento nel mondo del lavoro.

    Per queste ragioni ogni ateneo deve essere in grado di valutare le attitudini e le conoscenze degli studenti all’ingresso dei vari livelli della formazione universitaria. E, per raggiungere questo obiettivo, è necessario predisporre un meccanismo che condizioni l’iscrizione alla verifica di requisiti minimi di idoneità culturale, alla disponibilità di risorse adeguate da parte degli atenei, oltre che alle reali esigenze del mercato del lavoro e del sistema produttivo. Ciò consentirebbe di selezionare senza discriminare, seguendo un criterio di valutazione rigorosamente oggettivo.
    Questo tipo di selezione non può però precludere agli studenti la possibilità di sostenere contemporaneamente le prove di accesso in diverse università. Per questo è necessario differenziare le date dei test di ammissione in modo da incentivare e consentire la scelta fra le università in cui si è superata la selezione.
    Occorre introdurre un sistema di borse di studio e di prestiti d’onore, che possano essere utilizzati in tutte le università, dando finalmente attuazione all’articolo 34 della Costituzione. L’intento di lungo periodo è quello di raggiungere gradualmente la trasformazione del finanziamento pubblico alle università in finanziamento del diritto allo studio. Messo a regime un simile sistema, le università non dovrebbero più ricevere dallo Stato alcun finanziamento ordinario per la didattica, che al contrario sarebbe finanziata interamente con le tasse d’iscrizione degli studenti, per una parte a carico delle famiglie e degli studenti e per un’altra coperte finanziariamente dallo Stato.
    Le borse di studio, la cui entità può arrivare a coprire l’intero costo degli studi (iscrizione e mantenimento), devono essere destinate agli studenti migliori ma privi di mezzi. I prestiti rappresentano invece il meccanismo utilizzabile dalla grande maggioranza degli studenti meritevoli che abbiano comunque un reddito familiare insufficiente a sostenere l’intero costo della propria istruzione (incluso il mantenimento): il tetto del prestito potrà variare a seconda dei costi. Chi ha beneficiato del prestito dovrà restituirlo raggiunta una certa soglia di reddito personale. Se tale reddito non dovesse essere raggiunto entro trent’anni dall’erogazione del beneficio, si provvederebbe alla completa cancellazione del debito.
    Questa tipologia di finanziamento permette alle università di incrementare il proprio finanziamento complessivo, con una contrazione della spesa a carico dello Stato e senza gravare sulla fiscalità generale. Permette, inoltre, di migliorare l’equità sociale nella distribuzione dei costi dell’università, potenziando il diritto allo studio e rimuovendo tutti gli ostacoli finanziari (compreso il costo del mantenimento) per gli studenti meritevoli. In questo modo gli studenti, grazie ad un mercato dell’istruzione libero e concorrenziale, potrebbero scegliere l’università migliore, favorendo un’autentica competizione tra gli atenei.

10. La trasparenza degli incarichi di docenza
    Dal lato della docenza occorre ripristinare, con gradualità e senza modificare lo status giuridico dei docenti di ruolo, il diritto di ciascuna facoltà di poter liberamente scegliere i propri docenti tra quanti sono abilitati. Ciò consentirà di eliminare progressivamente il meccanismo degli attuali concorsi, restituendo alle università la responsabilità della scelta del proprio corpo di insegnanti che, in regime di concorrenza, verrà selezionato il più possibile in base al merito e alle specifiche esigenze dell’ateneo.

    L’idoneità alla docenza, conseguita per singole discipline scientifiche, si ottiene a livello nazionale sulla base della valutazione dei titoli scientifici dei candidati e delle attitudini alla didattica. Qualora si tratti di soggetti di altissima qualificazione e di chiara fama scientifica o professionale, può essere conferita anche senza prove.
    Le commissioni preposte alla selezione sono costituite da docenti di ruolo nelle università italiane, abilitati in quella disciplina specifica. I componenti della commissione – incaricati per 4 anni e non rinnovabili nel loro ruolo – sono nominati attraverso il sorteggio fra coloro che sono stati eletti in una votazione di ambito nazionale su base uninominale. Il numero degli eletti tra i quali verrà effettuato il sorteggio sarà di tre volte superiore il numero di commissari da nominare.
    Le commissioni, così istituite a livello nazionale stileranno almeno una volta all’anno un elenco di candidati idonei alla docenza (con il dettaglio della valutazione dei titoli) da cui le facoltà possono liberamente attingere per le chiamate. Ad ulteriore rafforzamento della trasparenza delle procedure concorsuali, si prevede che le idoneità alla docenza debbano essere approvate dalle commissioni di concorso con una maggioranza di due terzi dei componenti.
    Gli idonei chiamati alla docenza sottoscrivono contratti individuali con le università, le quali possono definire meccanismi retributivi premiali per i docenti che si siano dimostrati più efficaci nella didattica o nella ricerca. In tal modo, i criteri del merito e della concorrenza, oltre a governare il rapporto tra diversi atenei, potranno valere anche all’interno di ogni singola università per stimolarne la crescita e il miglioramento.
    È ormai poco più di un luogo comune il concetto per il quale nessun Paese possa immaginare un futuro di sviluppo materiale e civile senza puntare su un sistema d’istruzione superiore aperto e competitivo. E la circostanza per la quale nessun Paese economicamente sviluppato possa sopravvivere a due lustri di università scadente rappresenta, purtroppo, l’altra faccia della stessa verità. Negli ultimi cinque anni negli atenei qualcosa si è mosso. Si è trattato però solo di un inizio cui va dato seguito senza più perdere del tempo prezioso.

  DISEGNO DI LEGGE Art. 1. (Finalità)

    1. Il sistema universitario nazionale assicura l’alta formazione del capitale umano e lo sviluppo delle attività di ricerca scientifica.

    2. Il sistema è organizzato nel rispetto dei seguenti princìpi:

        a) riconoscimento della libertà e dell’autonomia nell’attività di insegnamento e di ricerca;

        b) competizione su un piano di parità fra i diversi soggetti nella definizione dell’offerta formativa e nello sviluppo delle attività di ricerca;
        c) piena equiparazione tra strutture pubbliche e strutture private accreditate;
        d) orientamento dell’offerta formativa anche in considerazione delle esigenze del sistema produttivo e del mercato del lavoro;
        e) finanziamento degli oneri attraverso i trasferimenti a carico del bilancio dello Stato;
        f) commisurazione del livello dei finanziamenti pubblici sulla base dei livelli raggiunti da ciascuna università nelle attività didattiche e di ricerca;
        g) agevolazione delle erogazioni liberali in favore delle università da parte dei soggetti pubblici e privati;
        h) tutela del diritto allo studio, con esclusivo riferimento agli studenti meritevoli e sprovvisti di adeguati mezzi finanziari.

Art. 2. (Autonomia delle università)

    1. Le università sono dotate di personalità giuridica e hanno capacità di diritto pubblico e di diritto privato. Hanno autonomia funzionale, didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile. Si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti, in attuazione dell’articolo 33 della Costituzione.

    2. Le università sono accreditate sulla base delle norme della presente legge nonché della verifica periodica della qualità del servizio offerto e dell’adeguatezza dell’organizzazione assicurata.

Art. 3.

(Alta commissione per la qualità del sistema universitario)

    1. Le funzioni di indirizzo generale sul governo del sistema universitario sono esercitate dal Governo per il tramite del Ministro dell’università e della ricerca, di seguito denominato «Ministro».

    2. Il Ministro si avvale nell’esercizio delle proprie funzioni del supporto dell’Alta commissione per la qualità del sistema universitario, di seguito denominata «Alta commissione».
    3. L’Alta commissione è composta da sette membri nominati dal Presidente del Consiglio dei ministri fra professori universitari di prima fascia, di ruolo da almeno dieci anni. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro, designa due dei componenti e il presidente. Degli altri componenti, due sono designati dalla Conferenza dei rettori delle università italiana e due dalla Conferenza dei presidenti delle regioni.
    4. L’Alta commissione dura in carica quattro anni.
    5. L’Alta commissione opera avvalendosi di un contingente di trenta unità di personale di ruolo presso il Ministero dell’università e della ricerca ovvero presso università statali e non statali, collocate in posizione di distacco se dipendenti di pubbliche amministrazioni. Nell’ambito del suddetto contingente di personale il presidente dell’Alta commissione nomina il segretario della medesima, scelto fra coloro che abbiano svolto per almeno cinque anni l’incarico di direttore amministrativo di università.
    6. L’Alta commissione esprime pareri sugli schemi di decreto ministeriale in materia di procedure di accreditamento, valutazione e ripartizione dei fondi adottati dal Ministro ai sensi della presente legge.
    7. All’Alta commissione spetta la funzione di verifica sullo stato del sistema universitario. A tal fine l’Alta commissione richiede dati ed informazioni alle università e, ove necessario, può disporre accertamenti di carattere amministrativo.
    8. L’Alta commissione esercita altresì funzione di studio, analisi e proposta sulle questioni della qualità della formazione e della ricerca universitaria. A tal fine l’Alta commissione presenta annualmente al Governo una relazione sulla qualità del sistema universitario.
    9. I membri dell’Alta commissione sono collocati fuori ruolo e, per la durata del mandato, non possono assumere altri incarichi direttivi in organi o istituti di ricerca, né assumere funzioni di commissario nei concorsi di abilitazione alla docenza.
    10. Con decreto del Ministro sono determinate le indennità spettanti al presidente ed ai componenti dell’Alta commissione.

Art. 4. (Accreditamento)

    1. L’istituzione di università, l’apertura di nuove sedi universitarie, l’istituzione di nuovi corsi di laurea è subordinata all’accreditamento secondo le disposizioni della presente legge.

    2. L’accreditamento è disposto dal Ministro.
    3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sono dettati i criteri per l’accreditamento con particolare riferimento ai seguenti parametri:

        a) esigenze del territorio interessato anche in relazione al numero di università già esistenti;

        b) capacità di autofinanziamento;
        c) adeguatezza dei corsi di laurea rispetto agli obiettivi formativi;
        d) composizione del corpo docente;
        e) idoneità tecnica delle strutture universitarie.

    4. Con il decreto di cui al comma 3 sono altresì disciplinati il numero e la tipologia degli esami fondamentali di ciascun corso di laurea.

Art. 5. (Valutazione)

    1. La valutazione dell’attività delle università è diretta a verificare:

        a) la qualità della didattica;

        b) la qualità della ricerca;
        c) il grado di specializzazione raggiunto dalle singole università.

    2. La valutazione deve considerare in particolare i seguenti parametri:
        a) il rapporto tra laureati e occupati;

        b) la rilevanza internazionale degli atenei e dei progetti di ricerca;
        c) l’adeguatezza organizzativa dell’ateneo, con riferimento, fra l’altro, al rapporto tra docenti e studenti;
        d) la presenza all’interno del corpo docente di professori di chiara fama e di rilevanza internazionale;
        e) il livello quantitativo e qualitativo delle strutture e dei servizi.

    3. Il Ministero dell’università e della ricerca, con il supporto dell’Alta commissione di cui all’articolo 3 esercita la funzione di valutazione periodica delle università ai sensi della presente legge.

    4. Sulla base delle attività di valutazione compiute le università sono suddivise, con cadenza triennale, in tre fasce di merito.
    5. Con decreto del Ministro sono predeterminati, una volta ogni tre anni, in relazione ai parametri di cui al comma 2, criteri oggettivi di valutazione sulla base dei quali verrà compiuta l’attività di valutazione dei singoli atenei.

Art. 6.

(Autonomia finanziaria delle università)

    1. Le università sono dotate di autonomia finanziaria. Il finanziamento universitario è assicurato da:

        a) le rette di iscrizione degli studenti;

        b) i trasferimenti pubblici;
        c) i finanziamenti privati.

Art. 7. (Rette di iscrizione)

    1. In ottemperanza ai principi di autonomia statutaria, le università fissano le rette di iscrizione degli studenti all’interno del valore minimo e del valore massimo stabilito con decreto del Ministro di intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze. Con il medesimo decreto può anche essere determinata la modulazione delle rette di iscrizione in relazione alle fasce di reddito degli studenti.

    2. Ogni università può stabilire altresì la riduzione delle rette di iscrizione a corsi di laurea considerati strategici sulla base delle indicazioni formulate dal Ministro. Con la legge finanziaria sono stanziate le risorse necessarie per compensare gli oneri sostenuti dalle università per il riconoscimento delle suddette agevolazioni.
    3. Le università possono, in deroga al tetto massimo della retta di iscrizione, stabilire forme di partecipazione degli studenti al costo di attività extracurriculari alle quali gli studenti partecipano facoltativamente.
    4. Le università che non fruiscono dei finanziamenti pubblici per le attività didattiche possono determinare le rette di iscrizione in misura anche superiore ai tetti fissati dal decreto di cui al comma 1.

Art. 8.

(Finanziamento privato delle università)

    1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato su proposta del Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è disciplinato il trattamento tributario dei finanziamenti privati, prevedendo in particolare:

        a) un regime fiscalmente agevolato per le erogazioni liberali alle università da parte di coloro che sono soggetti all’imposta sul reddito delle società;

        b) il riconoscimento di un credito di imposta pari al 50 per cento dell’importo delle commesse di ricerca ad università e istituti pubblici di ricerca, da parte delle piccole e medie imprese;
        c) il riconoscimento di un credito d’imposta pari al 50 per cento dell’investimento sostenuto dalle imprese per finanziare dottorati di ricerca sulla base di convenzioni tra imprese e università.

Art. 9.

(Finanziamento pubblico delle università)

    1. I fondi destinati al finanziamento pubblico delle università sono suddivisi in una quota destinata al finanziamento dell’attività didattica e in una quota, non inferiore al 20 per cento dell’ammontare complessivo, destinata al finanziamento dell’attività di ricerca.

    2. I fondi relativi al finanziamento dell’attività didattica sono erogati, secondo criteri definiti con decreto del Ministro, sulla base delle fasce di merito di cui all’articolo 5, comma 4, e con particolare riferimento a:

        a) il numero degli iscritti;

        b) i criteri di ammissione degli studenti;
        c) il numero di studenti provenienti da altre regioni;
        d) il rapporto tra iscritti e laureati;
        e) il rapporto tra iscritti e docenti;
        f) i criteri di reclutamento dei docenti e dei ricercatori;
        g) il numero di docenti e ricercatori di nazionalità straniera;
        h) la percentuale di studenti laureati che abbiano trovato entro i primi due anni dal diploma un’occupazione coerente con il corso di studi, fatta eccezione degli studenti che frequentano facoltà che necessitano dopo il diploma di una specializzazione;
        i) la consistenza della dotazione infrastrutturale e tecnica destinata all’attività didattica.

    3. I fondi relativi al finanziamento dell’attività di ricerca sono erogati, secondo criteri definiti con decreto del Ministro, sulla base delle fasce di merito di cui all’articolo 5, comma 4, e con particolare riferimento a:
        a) sviluppo di centri di eccellenza nell’attività di ricerca nei singoli settori delle diverse discipline;

        b) sviluppo delle attività di ricerca nei settori di particolare rilevanza economica e sociale;
        c) capacità di attrazione di finanziamenti privati su specifici progetti di ricerca;
        d) potenziamento delle attività di ricerca nell’ambito delle discipline teoriche, umanistiche o comunque non immediatamente suscettibili di sviluppo economico;
        e) articolazione territoriale equilibrata dei centri di ricerca di eccellenza delle diverse discipline.

Art. 10. (Autonomia)

    1. Spetta a ciascun ateneo fissare, sulla base dei criteri generali stabiliti ai sensi dell’articolo 2, l’ordinamento dei corsi di studio.

    2. Spetta inoltre a ciascun ateneo:

        a) l’individuazione delle attività didattiche di base, specialistiche, di perfezionamento scientifico, di alta formazione permanente e ricorrente;

        b) la fissazione dei requisiti di ammissione;
        c) la definizione di strumenti per l’orientamento agli studi;
        d) l’introduzione di strumenti per favorire la mobilità degli studenti;
        e) l’informazione sull’ordinamento degli studi.

    3. Le università, nell’ambito dell’attività di ricerca, garantiscono l’autonomia delle strutture preposte dai loro statuti alla determinazione e alla realizzazione dei progetti di ricerca.

Art. 11. (Governo delle università)

    1. Le università disciplinano, nell’ambito della loro autonomia statutaria, la struttura e i compiti dei propri organi di governo.

    2. Sono organi delle università:         a) il rettore;

        b) il consiglio d’amministrazione;
        c) il senato accademico, composto dal rettore, dai presidi di facoltà e dai direttori dei dipartimenti;
        d) il direttore generale.

    3. Il rettore è scelto fra i professori ordinari, con elezione diretta, dal corpo docente, con la partecipazione di una rappresentanza degli studenti e del personale tecnico amministrativo.

    4. Il consiglio d’amministrazione è composto da un numero di membri non inferiore a cinque e non superiore a undici, eletti dal corpo docente. Lo statuto dell’università può prevedere che fino al 50 per cento dei consiglieri sia designato dai soggetti finanziatori pubblici e privati, o rappresentanti di essi.
    5. Il direttore generale è nominato dal consiglio d’amministrazione all’interno di una terna di candidati designati dal rettore.
    6. Il rettore ed il senato accademico esercitano le funzioni di indirizzo didattico, scientifico e culturale dell’università. Il direttore generale ed il consiglio d’amministrazione esercitano, sulla base degli indirizzi del rettore, le funzioni di amministrazione e gestione. Gli statuti di ciascuna università disciplinano, in attuazione della presente legge, la durata degli organi, i requisiti professionali del direttore generale e dei membri del consiglio d’amministrazione, nonché le concrete modalità di esercizio delle suddette funzioni.

Art. 12.

(Diritto allo studio e ammissione
degli studenti)

    1. L’accesso all’università è libero. Le università, sulla base dei criteri fissati con decreto del Ministro, possono prevedere con riferimento alle facoltà in cui non è già stabilito dalla legge, di limitare l’iscrizione ad alcune facoltà al fine di:

        a) verificare, attraverso procedure standardizzate, il possesso di requisiti culturali minimi di idoneità degli studenti;

        b) contenere il numero delle iscrizioni nelle facoltà già congestionate;
        c) commisurare le iscrizioni alle risorse disponibili.

    2. Al fine di consentire agli studenti di sostenere le prove di accesso in diverse università, il Ministro determina il calendario delle prove di ammissione.

    3. Per rendere effettivo il diritto allo studio, in attuazione dell’articolo 34 della Costituzione, lo Stato eroga borse di studio e prestiti d’onore ai sensi della presente legge.
    4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza dei presidenti delle regioni, sono dettati i criteri per l’attribuzione da parte di ciascuna università di borse di studio e di prestiti d’onore.
    5. Con la legge finanziaria sono quantificate annualmente le risorse necessarie al finanziamento delle borse di studio e dei prestiti d’onore.
    6. Le borse di studio ed i prestiti d’onore sono destinati agli studenti meritevoli con un reddito familiare insufficiente a sostenere l’intero costo dell’istruzione.
    7. I beneficiari del prestito hanno l’obbligo di restituzione una volta raggiunto un livello di reddito adeguato, determinato con decreto del Ministro di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
    8. Qualora il beneficiario non raggiunga il livello minimo di reddito entro trenta anni dall’erogazione del beneficio, si provvede alla cancellazione del debito.

Art. 13.

(Status giuridico dei docenti e accesso
alla docenza)

    1. L’idoneità alla docenza, di prima e di seconda fascia, è conseguita per singoli raggruppamenti scientifici, a livello nazionale, sulla base della valutazione dei titoli scientifici dei candidati e delle attitudini alla didattica. Qualora si tratti di soggetti di altissima qualificazione e di chiara fama scientifica o professionale, può essere conferita anche senza prove.

    2. Le commissioni nazionali preposte alla valutazione dell’idoneità sono costituite, per ogni raggruppamento scientifico, da non più di sette commissari, scelti tra docenti di ruolo di prima fascia nelle università italiane.
    3. I componenti di ciascuna commissione sono incaricati per 4 anni non rinnovabili e sono nominati mediante estrazione a sorte fra coloro che risultino designati, in misura pari a tre volte il numero dei commissari da nominare, dal corpo dei docenti di ruolo, attraverso un sistema di voto nazionale su base uninominale.
    4. Le commissioni approvano, almeno una volta l’anno e con una maggioranza dei due terzi dei componenti, un elenco di candidati idonei alla docenza, determinando anche il relativo punteggio di idoneità.
    5. Alle prove di idoneità non ci si può presentare per più di tre volte per ciascuna fascia, con un intervallo almeno biennale.
    6. L’idoneità alla docenza rimane valida per cinque anni. Qualora il soggetto dichiarato idoneo non abbia ricevuto alcun incarico di docenza nei cinque anni, l’idoneità può essere rinnovata sulla base di una valutazione della produzione scientifica nel frattempo prodotta.
    7. Le università conferiscono, sulla base delle previsioni dei rispettivi statuti, gli incarichi di ruolo di docenza, di prima e di seconda fascia a docenti compresi nella lista di idonei del corrispondente raggruppamento scientifico.

Art. 14.

(Trattamento economico dei docenti)

    1. Il trattamento economico dei docenti universitari, determinato secondo la disciplina vigente, può essere integrato dal contratto individuale in relazione al conseguimento di precisi obiettivi nell’attività didattica e di ricerca.

    2. Ogni ateneo, nell’ambito della propria autonomia statutaria, prevede meccanismi di differenziazione della componente individuale della retribuzione dei docenti, sulla base di criteri di merito.
    3. Il contratto individuale può in particolare prevedere un riconoscimento economico ai docenti che partecipino a specifici progetti didattici o di ricerca che ricevano finanziamenti da soggetti privati.

Art. 15.

(Abolizione del valore legale dei diplomi)

    1. Il Governo è delegato ad adottare, entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a disciplinare alcuni aspetti dell’ordinamento universitario.

    2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

        a) abrogazione delle disposizioni di legge in vigore che conferiscono valore legale al diploma di laurea e a tutti i diplomi universitari;

        b) disciplina della libertà di istituire nuove università;
        c) previsione, per la materia di cui alla lettera b), dell’esenzione dalle procedure di accreditamento di cui alla presente legge per coloro che non intendano accedere ai finanziamenti pubblici dell’attività universitaria;
        d) adozione delle necessarie disposizioni di coordinamento.

    3. Gli schemi di decreto sono trasmessi alle Camere, per l’espressione del parere da parte delle competenti commissioni permanenti, entro quarantacinque giorni dalla trasmissione.

Art. 16. (Relazione al Parlamento)

    1. Il Governo trasmette annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della presente legge.