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Il convegno sulle relazioni tra Stati Uniti e Italia, promosso dalla Fondazione Magna Carta, giunge alla quarta edizione. Anche quest’anno opinion leaders americani e italiani si incontrano per cercare di discutere degli aspetti più salienti del legame tra le due sponde dell’Atlantico, in riferimento alle scelte di politica estera che i governi dei nostri due paesi hanno intrapreso nell’ambito delle relazioni bilaterali e rispetto alle rispettive politiche nelle aree geografiche critiche del mondo. Quest’anno le novità non si limitano alla location dell’incontro, che da Lucca si sposta a Roma. Quest’anno, inoltre, la responsabilità dell’organizzazione dell’evento è condivisa con l’American Enterprise Institute. E questo è per noi il coronamento di una collaborazione importante e un segno di buon auspicio. La nostra Fondazione assume così, ancora più forte, un esempio da emulare.

Come si è detto, sono trascorsi quattro anni dalla prima conferenza sulle relazioni transatlantiche. Nel 2003 esprimemmo la convinzione che le criticità di quel particolare momento storico – il terrorismo internazionale; l’inaugurarsi di un nuovo tipo di guerra differente da quello novecentesco; l’avvio di una sfida epocale in Medio Oriente che avrebbe implicato l’impegno in un inedito processo di democratizzazione – non fossero congiunturali. Esse, tutte insieme, giungevano a descrivere una nuova stagione delle relazioni internazionali. Eravamo altrettanto convinti che, invece, congiunturali dovessero ritenersi i rapporti tra America e Europa, che allora toccarono uno dei punti più bassi a partire dal secondo dopo-guerra.

A quattr’anni di distanza, entrambe le nostre convinzioni trovano conferma. I problemi di allora, infatti, descrivono ancora oggi lo sfondo delle relazioni internazionali. E può definirsi “congiunturale”, piuttosto, lo stato dei rapporti tra America e Europa. Oggi, infatti, da un lato l’Amministrazione americana in Medio Oriente sembra essere in grado di resistere alla pressione per imporre il ritorno ad una politica di “contenimento” auspicata dai Democratici al Congresso, sull’onda della loro vittoria alle elezioni di medio periodo dello scorso novembre. Dall’altro lato l’Europa appare distante anni luce da quella che, quattr’anni fa, sotto l’impulso della coppia Chirac-Schröder, inaugurò una fase di competizione interna al mondo occidentale, con l’ambizione di rappresentare un contrappeso alla potenza americana. D’allora a oggi si deve infatti constatare il fallimento del trattato, che ha rappresentato un duro colpo per il progetto europeo e per le rinnovate ambizioni di leadership nutrite dall’asse franco-tedesco. E quel che più conta, va evidenziato come il cambiamento ai vertici di governo nei due Paesi – la Germania con l’ascesa al cancellierato di Angela Merkel e la Francia con la nuova presidenza di Nicolas Sarkozy – prospetta una nuova fase di distensione nei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. Non tutti i problemi sono risolti – si pensi alla vertenza su come affrontare il tema del surriscaldamento del pianeta – ma essi non hanno più la portata strategica di qualche anno fa.

L’Europa, insomma, sembra abbia infine compreso. Di fronte alle rinnovate ambizioni da superpotenza della Russia, che si palesano nella ricerca di un’egemonia energetica che deve essere, questa si, contenuta; al cospetto dell’allargamento delle reti terroristiche internazionali che si avvalgono di strumenti sempre più complessi per minacciare l’Occidente, l’idea che la collaborazione transatlantica in materia di difesa e sicurezza risulti imprescindibile e, per questo, debba essere rilanciata, non sembra più in dubbio.

Questo quadro rende ancora più stridente con la realtà l’attuale linea di politica estera italiana. Essa appare porsi chiaramente controtendenza, sintonizzata su un tempo che si è concluso. La circostanza dipende senz’altro dalle difficoltà interne alla coalizione nella quale giocano un ruolo decisivo forze d’ispirazione apertamente anti-occidentale. Ma anche a voler analizzare gli atti politici delle componenti più moderate, va sottolineata una volontà di competizione per linee interne con gli Stati Uniti che non sembra aver scontato fino in fondo la portata dei problemi epocali di fronte ai quali ci pone questa stagione politica e come essa imponga nuove linee d’interpretazione.

Noi, con questo convegno, vorremmo contribuire ad affermare tale consapevolezza. Anche perché siamo convinti che le relazioni con gli Stati Uniti rappresentino una risorsa d’inestimabile significato di tutta la nostra storia repubblicana, che bisogna contribuire a preservare indipendentemente dalle contingenze politiche interne. E proprio rivolgendo uno sguardo all’evoluzione dei rapporti transatlantici nei due mandati della Presidenza di George W. Bush, si coglie meglio il senso del cambiamento epocale a cui Stati Uniti ed Europa hanno dovuto trovare delle risposte, comunque non scontate. E, a due anni di distanza dalle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, con alle spalle uno “strappo” ormai in gran parte ricucito, si deve fare il possibile affinché la fase più turbolenta delle nostre relazioni si tramuti in consapevolezza condivisa, che potrà facilitare il futuro. A prescindere da chi sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti.

Gaetano Quagliariello
Presidente della Fondazione Magna Carta