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 Il ministro della Salute, Livia Turco aveva a portata di mano un’ottima occasione per far fare un passo avanti al dibattito sull’aborto in questo paese e l’ha miseramente sprecata. Per una volta era in sintonia con le posizioni della Chiesa in tema di interruzione di gravidanza, si era trovata al suo fianco niente meno che il cardinal Ruini, poteva compiere e un piccolo capolavoro diplomatico su uno dei confini più armati dello scontro tra laici e cattolici e si è fatta sfuggire tutto per un riflesso condizionato.

Alla Summer School di Magna Carta, l’ex presidente della Conferenza Episcopale doveva rispondere a una domanda di Gaetano Quagliariello che suonava così: “Non crede, Eminenza, che invece di dividerci tra abortisti e anti-abortisti, pro o contro la legge 194, non ci si possa piuttosto accordarsi per riscrivere i principi guida di quella legge?”. Ruini ha scelto con grande cura le parole della sua risposta: “Non posso che essere d’accordo: quella legge c’è, sarebbe meglio che non ci fosse, però c’è e non ci sono le condizioni culturali e politiche per abrogarla. D’altra parte è  una legge che ha più di 30 anni e che risente delle grandi trasformazioni del processo medico-scientifico; una interpretazione che la aggiorni a questi progressi, che la migliori e non la peggiori, è non solo lecita ma anche doverosa.”

E’ vero che molti giornali hanno titolato con la consueta (e anche obbligata) semplificazione scrivendo cose come: “Ruini: modifichiamo la 194” o “Cambiamo la 194”. Ma un ministro ha molti modi per assicurarsi della testualità di ciò che dice un interlocutore e in questo caso sarebbe bastato riferirsi alle agenzie di stampa o sentire la voce del Cardinale a Radio Radicale.

Invece Livia Turco si è accontentata della semplificazione e ha risposto con il solito monito: “la 194 non si tocca: sarò ferma a dire no alle modifiche”. E’ quello che ci si aspetta dal ministro diessino quando parla Ruini o qualsiasi altro esponente della Chiesa e la Turco non ha voluto deludere i suoi fan o irritare le frange più sensibili della coalizioni cui appartiene. Molto più semplice fare la sua parte commedia, quella che sa a memoria, e ripetere: la 194 non si tocca.

Peccato non si sia accorta che Ruini questa volta parlava dandole ragione. Appena pochi giorni prima, il 29 agosto,  il ministro aveva confidato al Corriere della Sera una sua speranza: “Non mi dispiacerebbe caratterizzare il mio ministero con un atto di indirizzo che attualizzi la legge 194”. La Turco parla di una legge saggia ma da aggiornare e spiega che ci vogliono  nuove linee guida per stabilire nuovi limiti all’aborto terapeutico e ai tempi dell’intervento.

Dopo le parole di Ruini, incredibilmente simili alle sue, il ministro Turco si è come paralizzata. Sulle sue speranze, anche sincere, ha prevalso il riflesso pavloviano del rifiuto: questo pretende il suo status di ministro, la sua storia politica, il condizionamento della coalizione cui appartiene, il politically correct femminile e di sinistra. Il 29 agosto, quando il campo era sgombro dall’imbarazzante “ingerenza” ruiniana, Livia Turco poteva parlare e sperare liberamente; una settimana dopo le cose cambiano. Invece di accogliere al suo fianco un inatteso e influente alleato, il ministro gela le sue stesse speranze e perde una concreta occasione politica. Preferisce il copione consunto della contrapposizione, proprio quando Ruini aveva scelto quello dell’incontro e della collaborazione.

C’è un condizionamento laicista fortissimo che porta un ministro come la Turco a perdere un alleato piuttosto che passare per “amica del Vaticano”. E non servono neppur le messe in guardia dei Radicali o dei Verdi, che con la velocità del fulmine avevano invitato la Turco a non cadere nella “trappola” di Ruini. Il ministro aveva già fatto tutto da sola. La forza di questo meccanismo è tale che se Ruini dicesse: “la Turco è una donna molto intelligente”, lei chiamerebbe l’Ansa per replicare: “Ruini sbaglia: sono stupidissima”. Per poi, forse, pentirsene quando è troppo tardi.

(Intervento pubblicato su “L’Occidentale” del 5 settembre 2007)