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La riforma dell’università deve iniziare dalle scuole elementari altrimenti si rischia l’ennesimo buco nell’acqua. In sintesi il pensiero di Giorgio Israel, professore ordinario presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Roma “La Sapienza” che spiega a LiberoMercato quanto pesi sui corsi universitari la crisi delle scuole medie superiori e delle scuole elementari.

L’università come può colmare le lacune lasciate dall’iter delle scuole superiori?

Si tratta di un grave problema. Per di più peggiorato con la riforma del 3+2- perché in tre anni è più difficile colmare i vuoti e recuperare le lacune che l’iter delle scuole inferiori e medie superiori lasciano su ciascun studente.

Su quali facoltà pesano di più?

Su tutte. Io insegno matematica e certo nella mia facoltà noto gravi problemi e gravi lacune dal punto di vista algebrico. Ma il vero problema non è questo. E’ un altro.

Quale?

Un tempo si diceva che chi proveniva dal liceo classico era avvantaggiato anche in facoltà scientifiche, perché portava con sé un bagaglio culturale adattabile a ogni situazione. Oggi quello che manca è proprio questo bagaglio culturale. Le giovani matricole mancano di alcune basi sintattiche e grammaticali e più in generale non sanno scrivere. Alcuni hanno difficoltà a tenere letteralmente in mano la penna perché quando erano alle elementari nessuno ha insegnato loro le basi. Il classico sistema delle aste. Non solo la geografia e la storia non viene più insegnata col sistema disciplinare ma metodologico. Guai far imparare a memoria i nomi dei fiumi o delle catene montuose. Adesso i maestri insegnano ai bambini i concetti spazio temporali. Insegnano loro che cosa è il mare, il deserto, o una montagna. Ma tutto rimane sospeso e manca di nozioni pratiche. In quinta elementari si fanno ricerche del tipo “l’impatto dell’antropizzazione sull’ambiente” senza aver dato alcuna disciplina di fondo.

Sembra di capire che i problemi dell’università partano dalle scuole elementari. Che cosa suggerisce di fare per riformare gli atenei?

Ciò che si nota con apprensione che le ultime riforme universitarie sia la “Berlinguer” che la “Moratti” hanno elementi in comune. Si tratta dei consulenti, dei pedagogisti. Agli inizi degli anni ’80 alcuni pedagogisti si sono impossessati dei vertici intellettuali del sistema “scuola” e da allora sono ancora lì a dettare consigli o imporre opinioni. Questi professori hanno scardinato i vecchi sistemi disciplinari creando una vera e propria scuola di classe. Col tremendo risultato che oggi può accedere a una formazione concorrenziale con l’estero solo chi può permettersi di pagare di tasca propria gli studi dei figli.

Insomma, siamo i fronte a un problema politico…

Direi di sì. I pedagogisti di cui ho parlato sopra non sono soltanto di sinistra (sebbene in maggioranza lo siano), c’è ne è anche qualcuno di destra. Ma è un problema di formazioni politiche che all’inizio degli anni ’70 hanno fatto delle scelte completamente fallimentari a cui negli anni scorsi nemmeno i governi di centro destra hanno saputo porre rimedio.

Solo in Italia si è verificata questa deriva scolastica?

No. Anche in Francia, per fare un esempio vicino. Sono convinto che l’intervento annunciato da Sarkozy sarà più forte di qualunque azione sia mai stata pensata in Italia. Sono convinto che solo una trasformazione radicale nella direzione del sistema disciplinare possa riformare la scuola. Alla fine pure l’università.

Quindi ha fatto bene Fioroni a parlare di nuovo dell’insegnamento delle tabellone?

Certo che ha fatto bene. Purtroppo è un intervento sporadico e così non serve a nulla.

 

(LiberoMercato, 29 settembre 2007)