Un musulmano andaluso del XII secolo, famoso nella storia della religione, nel misticismo e nella narrativa, che espresse con vivacità letteraria e chiarezza didattica la teoria secondo la quale tutta la conoscenza può essere acquisita applicando la ragione all’esperienza.
Ibn Tufayl è ammirato da tutti quei mistici e filosofi ai quali piace trarre insegnamento dai loro predecessori e che non nutrono troppi pregiudizi verso le idee espresse per la prima volta in arabo. Gli storici della letteratura lo considerano come il precursore di Daniel Defoe, Rudyard Kipling e di tutti gli altri autori che scrissero in merito a un essere umano solitario. Non sono interessato al misticismo, non desidero diventare un asceta, nessun filosofo moderno, storico della letteratura, mi considererà un collega, e non parlo arabo. Tutto ciò che condivido con Ibn Tufayl è la città natale e probabilmente il sentore di essere un fervente sofista “uno a cui piacerebbe diventare più saggio”. Ma la mia professione, di biologo e ingegnere, aggiunge un originale punto di vista ai commentari della sua opera.
L’autore
Ibn Tufayl è Abentofail in spagnolo, Abubacer in latino e più estesamente Abu Bakr Muhammad ibn Abd al-Malik ibn Muhammad ibn Tufayl al-Qaisi al-Andalusi. Egli nacque non molto prima del 1110, a Wadi-Ash, l’odierna Guadix, una città dell’Andalusia chiamata Acci ai tempi dei Romani, dei Cartaginesi e degli Iberici. L’ambiente naturale probabilmente non è molto cambiato, ed è quello di una stretta e irrigata valle incassata in un altopiano, oggi brullo, allora boscoso, nella parte settentrionale della Sierra Nevada. La città, a solo una trentina di miglia da Granata, ubicata sui lati opposti delle aspre montagne, è stata e continua ad essere un centro servizi per agricoltori e allevatori di bestiame del distretto circostante, ma ai tempi di Ibn Tufayl l’arabo era la lingua culturale e l’Islam la religione dominante. Il potere politico era nelle mani dei Berberi fondamentalisti del Nord-Africa, i Morabitun (Almoravidi, “quelli del convento fortificato”), che intorno alla metà del XII secolo furono rimpiazzati dai Muwahhidun (gli Almohadi, “gli unitariani”). Costoro disprezzavano gli Andalusi giacché li consideravano deboli, effeminati, lussuriosi e inclini ai piaceri, ma erano ammaliati dalla loro cultura. La transizione tra i due poteri marcò l’iniziò di un periodo di tumulti, e Guadix fu una città indipendente dal 1151 al 1152. Il vescovato di Guadix si considerava il più antico della Spagna, essendo stato costituito oltre sei secoli prima dell’arrivo dei musulmani, ma le sue chiese furono chiuse e i cristiani espulsi poiché considerati potenziali alleati dei Re cristiani del Nord, che espugnarono Toledo prima della nascita di Ibn Tufayl – e Saragozza e Lisbona durante la sua vita. Il Re castigliano Alfonso VII attraversò la regione di Guadix per conquistare l’Almería e mantenerla per una decina di anni con l’aiuto di Catalani e Genovesi.
Ibn Tufayl ricevette un’eccellente educazione e fece una brillante carriera come medico e segretario del governatore almohade di Granata, di uno dei figli del sultano e per finire, intorno al 1163, dello stesso sultano Abu Yaqub Yusuf. Ibn Tuafyl fu il medico personale del sultano fino al 1182, quando egli gli raccomandò in sua vece Ibn Rushd (Averroè), e rimase visir fino alla sua morte sopraggiunta nel 1185 a Marrakech, la capitale del Regno, poco tempo dopo la morte del sultano, avvenuta nel 1184.
Ibn Tufayl fece parte di un brillante gruppo di musulmani falasifa, le cui radici si collocavano nella filosofia greca, tradotta in arabo in Oriente. Costoro condividevano una certa ammirazione per Aristotele e nutrivano degli interessi enciclopedici, che includevano la pratica della medicina. Un problema di cruciale importanza per essi e per i filosofi cristiani che vennero dopo di loro era costituito dall’epistemologia, come acquisire la conoscenza, che all’epoca implicava la concordanza tra ragione e rivelazione, un compito pericoloso questo, se l’eresia e persino il disinteresse verso la religione potevano essere puniti con la morte.
Il libro
Solo uno dei testi scritti da Ibn Tufayl su diversi argomenti è arrivato fino a noi. I suoi contenuti riecheggiano nelle opere di Ibn Rushd ed è possibile che lo stesso valga per le altre idee di Ibn Tufayl in merito all’astronomia e alla medicina. Il libro in oggetto è un trattato filosofico, camuffato da romanzo, dal titolo Risala Hayy ibn Yaqzan fi asrar al-hikmat al-masriqiyya (“Il Figlio Vivente del Vigilante”). La prima traduzione latina, pubblicata a Oxford nel 1671, cambiò il titolo in “Il Filosofo Autodidatta”, ed essa è servita da modello per altre traduzioni nelle lingue europee.
Questo libro è una meravigliosa sorpresa. Marcelino Menéndez y Pelayo, il grande storico spagnolo delle idee scrisse: “Nessuna altra opera della letteratura araba è così originale e curiosa. Ancor di più: sono pochi i concetti dell’ingegno umano da considerarsi così sintetici e profondi. Si tratta, per così dire, di una fantasia psicologica, di un discorso sul metodo sviluppato in una forma poetica”. “È difficile superare il coraggio di pensiero e l’audacia speculativa mostrati dall’autore”. L’idea che la conoscenza dovesse essere acquisita attraverso l’osservazione, la sperimentazione e il pensiero non era nuova, ma mai prima di allora era stata espressa con tale chiarezza e vigore.
La trama può essere così riassunta: un bambino è l’unico essere umano ad abitare su un’isola equatoriale. Man mano che egli cresce, scruta il suo ambiente e sviluppa la conoscenza in base alle sue osservazioni ed esperienze. In tal modo, egli acquisisce, non solo le nozioni tecnologiche e le scienze naturali, ma altresì la filosofia e la teologia. Perciò nessuna autorità era a lui necessaria sia che si trattasse degli insegnamenti dei vecchi filosofi o delle rivelazioni contenute nei testi sacri.
Come se si trattasse di un moderno testo scientifico, una Prefazione statuisce il suo intento nonché descrive e muove delle critiche alle precedenti pubblicazioni pertinenti, redatte in arabo, che erano le sue fonti. Egli menziona quattro precursori, tre di essi dell’Asia Occidentale: Abu Nasr Muhammad Al Farabi (Alfarabi), un turco che visse la maggior parte della sua vita in Iraq e in Siria nel X secolo; Abu Ali Ibn Sina (Avicenna) e Abu Hamid Muhammad al Ghazali (Algazel), due persiani vissuti nell’XI secolo. La sua unica fonte autoctona fu Abu Bakr Ibn al-Sayg Ibn Bajjah (Avempace), nato a Saragozza e vissuto a Granata e in altre città limitrofe, quando Ibn Tufayl era un ragazzo, ma i due non si conobbero mai.
Si dovrebbe fare un salto di diverse centinaia di anni nella storia della letteratura per uguagliare l’incipit del romanzo, avviando un dibattito su come Hayy si trovi da solo sull’isola. Possono i bambini auto-generarsi? Oppure egli era il figlio clandestino di una principessa? Detto questo, la storia segue una strada molto battuta, rappresentata, ad esempio, nel mito della fondazione di Roma. Il bambino è allevato da una gazzella che aveva appena perso il suo cucciolo e diventa un uomo capace, totalmente isolato dagli altri uomini e dalla cultura umana. Il problema è: come può egli auto-svilupparsi?
Scienza e tecnologia
Il testo diventa poi un trattato che riassume in un solo uomo la storia della scienza e della tecnologia fino allo stato delle conoscenze dell’epoca. Gli insegnanti faranno rilevare immediatamente alcune delle difficoltà che verranno riscontrate nello sviluppo di questa proposta didattica, ma questo non era un problema di particolare importanza per l’autore e le branche della scienza non erano all’epoca così intensamente interdipendenti come lo sono oggi.
Il principale metodo di ricerca è l’osservazione e il ragionamento. Hayy applica due forme di ragionamento. Una è quella del ragionamento astratto, probabilmente del tipo che io utilizzo per riempire le caselle di un sudoku o per risolvere un’equazione algebrica. L’altra è quella del pensiero analogico, come il considerare un atomo alla stregua di un sistema solare in miniatura, da testare in prima approssimazione. Parecchi naturalisti sviluppano le loro ipotesi come analogie visuali, anche quando il soggetto non è correlato alla visione. L’analogia, come ogni tipo di estrapolazione, è ovviamente molto pericolosa, ma un lettore moderno del libro si convincerà facilmente che perfino una mente intelligente può cadere in errore. Sayy non verifica due volte le sue conclusioni. Ibn Tufayl è ben lungi da Rudolf Carnap e dalla visione evolutiva che le conclusioni diventano sempre più attendibili, a partire dal momento che si accumulano le prove a loro favore e i dubbi si affievoliscono.
L’ordine della ricerca è inaspettato. Ibn Tufayl sembra essere ben versato nelle dissezioni e Hayy inizia col dissezionare la carcassa della gazzella che lo ha allattato, e poi quelle di altri animali. Egli deduce che il principio della vita risiede nel cuore, esso vivifica tutti gli organi sensoriali e motori, e abbandona il corpo al momento della morte. Questa conclusione potrebbe non essere supportata da un moderno conducente di autoveicoli, che sa che un’automobile potrebbe avere un guasto senza perdere alcun pezzo, ma solo a causa del malfunzionamento di una parte essenziale.
Hayy interviene sulla natura circostante per scopi pratici. Alcune delle sue scoperte si basano sulla imitazione degli animali e dei vegetali; altre avvengono per puro caso. I controlli non vengono menzionati, ma devono esistere sotto forma di insuccessi nel conseguire gli obiettivi desiderati. Hayy sviluppa tutto da solo, perlomeno rudimentali versioni di progressi tecnici come: la costruzione di utensili, di dimore e di armi, la confezione di indumenti, l’accensione del fuoco, la cottura dei cibi e l’addomesticare gli animali. Una grave difficoltà consiste nel fatto che su nessuna isola esistono antenati selvatici di tutti gli animali domestici: dalle galline ai cavalli e ai falchi, e di tutte le piante utili: dalla Stipa tenacissima alla canapa e agli alberi di melo. Se l’autore è a conoscenza della difficoltà, egli potrebbe non volere imporre questa limitazione a un libro che non pretende di essere realistico.
Nel romanzo non viene affrontato il dibattito in merito all’interrogativo se la conoscenza preceda e induca alle applicazioni pratiche o se segua e dipenda da esse, ma per Hayy la scienza più speculativa fa seguito alle applicazioni pratiche ed è intellettualmente indipendente da esse.
Il sentiero della conoscenza procede dal particolare al generale, dalla concretizzazione all’astrazione, dal caso alla sostanza. In tal modo, egli mette insieme innumerevoli animali presi singolarmente per arrivare al concetto delle specie animali; la procedura è essenzialmente quella della tassonomia quantitativa moderna, basata sul riconoscimento di gruppi di individui che sono più simili gli uni agli altri rispetto a quanto lo siano gli individui di altri gruppi. Egli non menziona le barriere riproduttive come criterio per la definizione delle specie, sebbene esse fossero ben note agli allevatori di bestiame da migliaia di anni. La stessa procedura è applicata alle piante e generalizzata a raggruppare ogni specie animale e di vegetali in quelle entità rispettivamente più ampie che i nostri libri chiamano regno animale e vegetale.
Poi, egli osserva che vegetali e animali hanno in comune due funzioni fondamentali: la nutrizione e la crescita, che permettono di riconoscere che essi sono una cosa sola. Perfino caratteristiche che sembrano maggiormente contraddistinguere gli animali come la sensitività, la percezione e il movimento, sono presenti nel mondo vegetale in misura limitata. Egli menziona, in particolar modo, il volgersi di alcune specie di fiori in direzione della luce, oggi definito fototropismo.
Oggetti viventi e non viventi hanno in comune la “corporeità”, occupando un posto nello spazio tridimensionale. Essi possono cambiare temperatura, forma, colore ed altre caratteristiche. Il loro aspetto può subire delle trasformazioni fino al punto che un solido viene trasformato in cenere, in fiamma e fumo per effetto del fuoco. Queste osservazioni conducono al concetto di un gruppo appartenente a un ordine superiore di cui fanno parte tutti gli oggetti, indipendentemente dalle loro caratteristiche peculiari. Tutti questi hanno la tendenza a muoversi verso l’alto o verso il basso. Egli non può dire molto in merito alla natura di tutti gli oggetti. La corporeità è spiegata relativamente bene dalla fisica e dalla chimica moderna, ma la gravità, una debole forza che agisce ad una certa distanza tra tutti i tipi di oggetti, è ancora un mistero profondo. Ma noi conosciamo la differenza che spiega la tendenza delle pietre a cadere e quella dell’aria, se viene a trovarsi nell’acqua, o del fumo presente nell’aria a muoversi verso l’alto.
Egli avanza delle proposte specifiche, tratte dal pensiero di Aristotele, riguardo all’anima vegetativa che offre nutrizione e crescita a tutti gli esseri viventi e all’anima sensitiva, responsabile delle capacità peculiari degli animali. Sebbene queste proposte, a primo acchito, sembrino astratte e vaghe, esse possono essere compatibili, in una certa misura, con la biologia moderna, e in particolar modo con il DNA, latore della “informazione genetica”. Per Ibn Tuafyl, un’anima, vegetativa o sensitiva che sia, è un oggetto che occupa uno spazio, e la sua attività consiste nel dare una “forma” alle sostanze amorfe che entrano nella composizione del suo latore. Il DNA è altresì un oggetto dotato di forma e composizione definite, e il vettore dell’informazione di cui necessitano i vegetali e gli animali per acquisire la loro forma durante lo sviluppo e stabilire le capacità nel corso della loro esistenza. Va notato che traiamo la “informazione genetica” dalla parola utilizzata da Aristotele e dai suoi discepoli: “μορφή” (“morphe”) in greco e “forma” in latino. Le anime, considerate in base al pensiero di Ibn Tufayl o alla moderna informazione genetica, hanno qualcosa in comune, in virtù delle caratteristiche generali, e qualcosa di diverso, a seconda delle specie. Naturalmente, nessuno avrebbe potuto pensare che ogni animale e vegetale è costituito da una vasta popolazione di esseri viventi coordinati, le cellule, ognuna dotata di una propria “anima”.
Se messo di fronte a un problema che può essere studiato sotto diversi punti di vista, Hayy sceglie quello più semplice. Così, egli mostra particolare attenzione verso l’acqua, che considera il più semplice dei quattro elementi. I cambiamenti operati da una certa quantità di acqua, non solo nella forma, ma nella sua conversione in solido o in vapore, aiutano Ibn Tufayl a chiarire i concetti di forma e sostanza. La raccomandazione di concentrarsi su ciò che oggi è chiamato “un semplice sistema modello” si è rivelata di particolare utilità quando nel XX secolo furono avviate le ricerche sui virus per lo studio sulla riproduzione e l’ereditarietà. Ma la procreazione degli animali non attira l’interesse di Hayy, sebbene sia stata una delle tematiche maggiormente approfondite da Aristotele in veste di zoologo ed uno degli argomenti centrali per Averroè, che scrisse perfino un trattato sulla fecondazione e il seme.
Hayy è considerato un essere molto intelligente, e il testo contiene parecchi esempi di brillanti argomentazioni, che non sono sempre impeccabili. Egli congettura, con acute osservazioni, che l’Universo deve essere sferico. Non so che forma abbia l’Universo, ma so che lui non lo sapeva. Hayy arguisce che i corpi infiniti non esistono, traendo questa conclusione da un dibattito in merito all’interrogativo se un insieme infinito può essere più grande o più piccolo rispetto a un altro insieme infinito. Ammiro il fatto che egli abbia cercato di risolvere questo difficile problema, che doveva attendere altri sette secoli per trovare una soluzione.
Filosofia e misticismo
Circa a metà del libro e della vita di Hayy, questo ultimo re-indirizza i suoi interessi dal mondo fisico, che può essere compreso attraverso i sensi e la ragione, al “mondo intelligibile”. Hayy riscopre le argomentazioni di Aristotele riguardo al Creatore e all’Essere Primo fino ad arrivare a Colui la cui Esistenza è la Sua Essenza. Hayy si dichiara in possesso di una anima immateriale ed eterna che gli permette di comprendere l’Ente Supremo, e ciò lo rende superiore rispetto agli animali e ai vegetali, ma si ritiene qualitativamente inferiore rispetto ai corpi celesti, che comprendono l’Ente Supremo senza essere dotati di una anima corruttibile e animale.
La decisione di Hayy di emulare le sfere celesti come meglio poteva lo rende un asceta sulla via del misticismo. Egli non può rinunciare del tutto al cibo, poiché difende il principio dell’auto-conservazione, ma mangia il meno possibile, solo quando si sente debole e in ottemperanza di regole che ne fanno un precursore dell’etica ecologica, giacché sceglie di consumare del cibo, tenendo a mente la preservazione degli animali e dei vegetali e in particolar modo delle specie più rare. Hayy emula i movimenti circolari dei corpi celesti nel cielo volteggiando intorno alla sua capanna o all’isola, fino a perdere i sensi. Poi egli decide di rinunciare per quanto possibile al suo corpo e ai sensi, e di concentrarsi sull’unico pensiero dell’Ente Supremo, senza mangiare, muoversi o aprire gli occhi per giorni e giorni.
Con un lungo e intenso sforzo, Hayy finisce per arrivare ad annullarsi nella gioia e nella felicità della visione estatica dell’Ente Supremo. Ibn Tufayl rimane senza parole e si sente costretto a raggiungere le estasi mistiche più che può e finché può.
Il processo è così completato. Ogni passo è plausibile. Non abbiamo motivo di mettere in dubbio l’onestà di Hayy, che è quella di Ibn Tufayl. I mistici di innumerevoli culture, paesi, epoche storiche e credi religiosi descrivono le loro esperienze in simili modi. Sono al corrente che più di uno scienziato molto capace e di successo dedica gran parte del proprio tempo alle esperienze mistiche.
Naturalmente, il lettore è libero di considerare fallaci alcuni degli argomenti e di reputare gratuite le loro conclusioni. Pur ammettendo che le estasi mistiche siano delle esperienze reali, può darsi che il lettore le abbia attribuite a un cattivo funzionamento del cervello e non all’unione con Dio.
Religione
Quando Hayy compì 50 anni, Asal, un uomo profondamente religioso proveniente da un’isola vicina, si ritira in eremitaggio sull’isola di Hayy. Il loro incontro è un’esperienza importantissima. Asal insegna a Hayy a parlare. Quando i due uomini confrontano le loro conoscenze, emerge che Hayy è giunto alle stesse verità che sono state apprese dalla rivelazione, ma Hayy ha raggiunto un livello più avanzato rispetto al mistico Asal.
Con l’aiuto di una nave andata alla deriva, i due andarono a predicare su un’isola abitata, ma avendo avuto poco successo tornarono alla loro vita di eremiti, una volta convintisi che la maggior parte della gente non era interessata alla conoscenza o alla trascendenza. Da ciò trassero la conclusione che non era necessario praticare una religione che avesse l’utilità di fornire coesione alla società.
Le due culture
È un luogo comune parlare delle tre culture che si presume abbiano vissuto e cooperato amichevolmente nella Spagna medievale. Credo che questo concetto sia sopravvalutato. Non vi furono triadi di lingue, gruppi sociali o entità politiche. Quanto alla religione, la maggior parte degli abitanti del mondo, oggi e allora, considererebbe il Giudaismo, il Cristianesimo e l’Islam come una successione strettamente correlata di Coloro che credono ai Testi Sacri, ogni rivelazione che aggiunge relativamente poco alla dimensione di quella precedente. Il Vecchio Testamento di Coloro che credono ai Testi Sacri.1 contiene circa il 64 percento del totale dei testi rivelati delle tre religioni; il Nuovo Testamento di Coloro che credono ai Testi Sacri.2 contribuisce per il 20 percento; e il Corano di Coloro che credono ai Testi Sacri.3 solo per il 16 percento. Le statistiche in merito alle adesioni sono sempre state molto scarne, ma Coloro che credono ai Testi Sacri.1 hanno sempre detenuto una piccola quota del mercato, ed oggi essi rappresentano meno dell’1 percento di Coloro che credono ai Testi Sacri, mentre gli altri costituiscono blocchi delle stesse dimensioni. Il vero gruppo alternativo è composto dai Non-Credenti dei Testi Sacri e dagli Scettici, e Ibn Tufayl offre alcuni squarci interessanti sulla loro situazione dell’epoca.
Ibn Tufayl ci racconta che “i pochi, solitari uomini che cercano la verità con la sola forza della ragione comunicano, ma lo fanno tramite le allegorie, poiché l’Islam e la legge proibiscono questo studio e mettono in guardia contro di esso”. Questa asserzione mette in dubbio la sua strenua e reiterata accettazione della religione, che altrimenti sembrerebbe sincera. Il libro, sebbene pregno di pie espressioni e coronato dall’accordo tra ragione e rivelazione, causò a Ibn Tufayl delle gravi difficoltà, che avrebbero messo in crisi altri uomini dotati di poco carattere e dalle connessioni più deboli. E se il suo stesso pensiero, o quello di qualcun altro, giungerebbe a contraddire la verità religiosa? Ibn Tufayl elude questo interrogativo, ma raccomanda vivamente di pensare con il proprio cervello, dicendo al lettore: “scopri per te stesso ciò che io ho scoperto, in modo che tu non debba legare la tua conoscenza alla mia”.
Il prologo al libro contiene delle importanti citazioni tratte dai filosofi precedenti. Egli asserisce che per Al Farabi la felicità umana va ritrovata solo in questa vita e in questo mondo, e tutto quello che si dice di diverso da ciò è vaneggiamento e superstizioni da vecchi saggi, e che la profezia è un prodotto naturale dell’immaginazione e pertanto è inferiore alla filosofia. Ibn Tufayl dichiara subito dopo che queste opinioni sono erronee e socialmente perverse, poiché esse collocano i buoni e i cattivi allo stesso livello, dal momento che sia gli uni che gli altri procederebbero verso il nulla. Ciò mi fa tornare in mente un’espressione legata alla mia giovinezza: “le canaglie asseriscono che la religione è l’oppio dei popoli” da parte degli scrittori che hanno provato a far censurare i concetti vietati. Ibn Tufayl sostiene che per comprendere i filosofi bisogna essere molto consapevoli e attenti alle allusioni più sottili.
Ibn Tufayl rileva che Al Ghazali si contraddice da un libro all’altro, ma poi, riferendosi al filosofo, egli sostiene che le opinioni sono di tre specie: quella espressa per adattarsi alle convinzioni correnti; l’opinione espressa, replicando a una domanda posta da chi cerca consiglio; e per finire, quella tenuta per sé ed espressa solo a coloro con cui condividiamo il medesimo punto di vista. Perfino Hayy pone la sopravivenza prima delle altre attività. Al Ghazali incoraggia l’autonomia di pensiero quando scrive: “Anche se le mie parole non servissero ad altro che a suscitare dubbi sulle convinzioni ereditate, sarebbe già abbastanza; poiché chi non dubita nonricerca; chi non ricerca non vede; e chi non vede rimane nella cecità e nella perplessità”. Lo stesso tipo di comportamento è caldeggiato ancor più apertamente da Ibn Tufayl.
Il Rinascimento appoggiato da Ibn Tufayl e dai suoi amici filosofi fallì ovunque. A Toledo, l’Inquisizione fu attiva fino al 1834. È interessante paragonare Il Figlio Vivente del Vigilante (Il Filosofo Autodidatta) con El Criticón di Baltasar Gracián. Entrambe le opere iniziano con un uomo cresciuto da solo su un’isola deserta. Ma Gracián non ha creduto in lui lasciandolo apprendere da solo: una tempesta porta sull’isola un uomo colto, che insegna all’uomo rozzo tutto ciò che c’era da sapere, inclusa la religione, e lo accompagna in un arguto e pessimistico tour della civiltà. È poco probabile che Gracián conoscesse l’antecedente libro di Ibn Tufayl, che non era stato ancora tradotto e pubblicato in nessuna lingua quando El Criticón apparve nel XVII secolo.
Come oggi, ai tempi dei medievali falasifa vi erano due culture. La principale questione non stava nell’identificarsi in un Credente dei Testi Sacri.1, 2 o 3, ed oggi 4, piuttosto consisteva nel vedere se si era liberi di lasciarsi guidare esclusivamente dalla ragione e quanto i Non-Credenti dei Testi Sacri e gli Scettici dovessero dissimulare per prosperare o solo per sopravvivere.
Note. La traslitterazione dei nomi in arabo è caotica. Ho utilizzato la forma che appare con maggior frequenza in una semplice ricerca su Google, sebbene ciò implichi combinare forme latinizzate con vari tipi di trascrizioni alfabetiche.
Le citazioni riguardanti Ibn Tufayl sono tratte dalla traduzione in spagnolo curata da Ángel González Palencia, inizialmente edita a Madrid nel 1934, ripubblicata diverse volte e disponibile in Internet. Sono grato ai commentari pubblicati, più di tutto a quelli redatti da Miguel Cruz Hernández e da Marcelino Menéndez Pelayo.