Privacy Policy Cookie Policy

 

Un diffuso stereotipo di alcuni predica­tori della emancipazione ‘laica’ della società moderna da ogni retaggio di storia e di vita religiosa vorrebbe leggere la vicen­da del rapporto tra Chiesa, scienze e tec­nologie attraverso la sola chiave etico-po­­litica: la prima è inquadrata come «conser­vatrice per natura» e «moralistica per mis­sione », mentre le seconde sono presentate come «progressiste per statuto» e «libere e liberanti per vocazione». Così, mentre la Chiesa, con le sue distinzioni normative tra il bene e il male, il lecito e l’illecito, conti­nuerebbe a frenare il cammino dell’uma­nità verso un futuro migliore per qualità e durata della vita e aperto a nuove e impre­vedibili opzioni individuali e sociali, le tec­noscienze consegnerebbero finalmente nelle mani dell’uomo il suo destino, ren­dendo la sua ragione e la sua libertà misu­ra di tutte le cose e artefice di un «corag­gioso mondo nuovo», la civiltà della scien­za e delle sue macchine.
Benedetto XVI ha affrontato questa critica in un testo incisivo e persuasivo per la ra­gionevolezza delle sue argomentazioni – l’enciclica Spe salvi –, confrontandosi con essa attraverso l’evidenza della fede e l’e­sperienza della vita cristiana che non pos­sono venire ridotte a un codice morale di re­staurazione dei costumi o a regole di ordi­namento della vita sociale e politica. Il cri­stianesimo ha ben altro respiro. L’avveni­mento di Cristo contiene in sé una certez­za per il futuro (così definiva San Tomma­so la speranza), a partire dalla quale, «e sem­plicemente perché essa c’è, noi siamo re­denti » (§ 1), condotti verso una meta certa e grande, capace non solo di corrisponde­re alle evidenze e alle esigenze del cuore dell’uomo, ma anche, inverandole, di su­perare ogni prevedibile desiderio o attesa. I ‘no’ del Papa alla egemonia culturale e sociale delle scienze e delle tecnologie, che vorrebbe imprigionare la speranza dell’uo­mo entro il vicolo cieco della ragione illu­ministica (questa ‘speranza è fallace’, § 25), nascono da un ‘sì’ all’orizzonte dell’eter­nità, il solo degno della sete di vita dell’uo­mo, cui lo spalanca una ragione aperta al­la realtà tutta, fino a sfiorare i lembi del Mi­stero buono da cui tutto proviene e che tut­to sostiene.
«La scienza può contribuire molto all’u­manizzazione del mondo e dell’umanità. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo» (§ 25) perché, da sola, non «ri­sponde alla domanda più importante per noi: che dobbiamo fare? Come dobbia­mo vivere? – scriveva Max Weber –. E il fat­to che non vi risponda è assolutamente in­contestabile ». Nelle parole di Benedetto X­VI riecheggia la ragione che fu già di Hus­serl, quando ricordava che «nella miseria della nostra vita […] questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di princi­pio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del de­stino; i problemi del senso e del non sen­so dell’esistenza umana nel suo com­plesso ». Una speranza senza soggetto è u­na povera speranza, un dramma anoni­mo, senza protagonista.
Il Papa ha teso la mano agli uomini di scien­za, ha spalancato loro la porta del suo cuo­re di padre, pensoso e attento per il destino di tutti gli uomini, capace di ascoltare le lo­ro domande e le loro attese. Raccogliendo la sfida che fu già di Wittgenstein («noi sen­tiamo che se pure tutte le possibili doman­de della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati»), Benedetto XVI ricorda che «nella gran parte degli uomini – così possiamo supporre – rimane presente nel più profondo della loro essenza un’ultima apertura interiore per la verità, per l’amo­re, per Dio» (§ 46). In virtù di quest’ultima apertura «noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente fa­ticoso » (§ 1), gravati dalla responsabilità che il potere tecnoscientifico ci consegna, ma lietamente certi che «non è la scienza che redime l’uomo.
L’uomo viene redento me­diante l’amore» (§ 25). Lo aveva già intuito un secolo fa Giuseppe Moscati, illustre me­dico e santo napoletano, quando ripeteva ai suoi allievi: «Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo».

(da “Avvenire”)