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Benedetto XVI mostra come la perdita di fiducia sia una tentazione pressoché incessante dell´uomo, essendovi stati in modo ricorrente nella storia segni lampanti non soltanto di un progresso senza fine, ma anche di una mancanza di avvenire, di un´assenza di certezze nel domani. A causa di questa costante contraddizione, una riflessione sulla speranza ha coinvolto di continuo tutte le culture, nelle diverse epoche della storia.
A questa sofferente carenza di felicità ha risposto, però, in modo efficace l´azione umana e la fede cristiana.
Gli uomini hanno conosciuto e praticato con il Cristianesimo una nuova dimensione della speranza, una nuova fiducia, che si è espressa attraverso la promessa di un domani eterno, il quale ha potuto attuarsi nei comportamenti effettivi, ed essere pensato e vissuto potenzialmente da tutti. A tale traguardo, cui non poteva arrivare il cosmico materialismo precedente, l´uomo è pervenuto prima con la ragione e, poi, pienamente con la fede cristiana. Quest´ultima, infatti, «non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire, ma sono ancora assenti; essa ci dà qualcosa», ci offre, già oggi, una novità. Il significato ultimo della fede cristiana è, in definitiva, che essa porta inscindibilmente con sé la speranza in un futuro reale di felicità e in un avvenire pieno di salvezza: imprevedibile, certamente, ma garantito e assicurato dall´Altro in Persona.
Benedetto XVI presenta così l´aspetto rivoluzionario del Cristianesimo, spiegandone l´origine religiosa e sviluppandone i motivi umani di desiderabilità.
Ora, se tutto questo è vero, perché oggi non si trova più così facilmente una fiducia piena di speranza nel mondo? Le ragioni sono molteplici, e il Papa non si sottrae ad un´analisi profonda dei diversi trascorsi dell´umanità nella storia recente. All´inizio della modernità, grazie ai nuovi impulsi della scienza, è nata una nuova speranza nel futuro, ottenuta da una progressiva certezza nei risultati pratici dell´attività umana. Malgrado ciò, però, la fiducia assoluta nelle capacità pratiche di realizzare «un perfetto regno umano» è andata, talvolta, chiudendosi nell´esclusivo raggiungimento di obiettivi materialistici.
Benedetto XVI propone, in questo senso, un serrato confronto con alcuni sviluppi filosofici di rilievo nella cultura del Novecento, i quali si sono tradotti tanto spesso in una perdita di libertà e di umanità. Certamente, al fondo di questi tentativi utopici c´è una giustificata fiducia nel progresso, anche se esso può sempre tradire, però, le sue promesse di felicità. Questo rischio deriva dal fatto che uno sviluppo autentico del mondo non può fare a meno di un´adeguata «crescita morale dell´umanità». Tutto ciò dà occasione al Papa di indicare una nuova prospettiva di speranza. Essa può nascere oggi se sappiamo rispondere alla domanda relativa a che cosa poter sperare veramente. Sì, perché mentre il progresso materiale procede sempre accumulando risultati, quello morale, fondandosi sulla libertà, deve continuamente avere un nuovo inizio dentro ogni essere umano. Tradursi in comportamenti comunitari efficaci, non potendo essere quantificato e misurato dai risultati esterni, ottenuti individualmente. Un progresso umano, cioè, essendo progresso nella libertà, non può essere procurato «dal di fuori», ma deve reclamare un coinvolgimento volontario e partecipe della singola individualità personale con la sua corrispondenza attiva al bene comune. E´ questa la ragione per cui che il progresso umano è uno sviluppo mai concluso. Perché all´uomo è lasciata aperta la possibilità di sperare e di credere nel suo futuro. O anche di tradirlo. Un progresso assoluto eliminerebbe la libertà personale, e con essa la speranza che gli uomini ripongono normalmente nell´avvenire.
Secondo Benedetto XVI, l´uomo può, quindi, trovare di nuovo un´autentica fonte di speranza anche nel presente, purché rivolga tutto se stesso verso un bene realmente adeguato al suo bisogno. Cioè, alla sua natura. Questo bene, però, non può esaurirsi nel tempo, perché la nostra vita presente è incapace di soddisfare il desiderio di eternità che abbiamo dentro, e che viene ricercato strenuamente da tutti. E´ importante comprendere, allora, come acquisire di nuovo questa speranza, come divenire capaci di agire con impegno, sorretti, cioè, da una fiducia autenticamente umana in un esito positivo, felice, della storia. La fede viene incontro a questa necessità naturale, proprio perché permette all´uomo di conquistare un “plusvalore”, di acquisire una speranza. Non mediante ciò che è stato fatto. Non attraverso i risultati che sono stati conseguiti. Ma grazie al dono della speranza che cerchiamo instancabilmente di raggiungere nelle situazioni di tutti i giorni.
Il Papa considera, in questo senso, come non esista qualcosa di paragonabile alla speranza, proprio perché si tratta di un atteggiamento che non si commisura dentro un calcolo, ma dentro la dedizione completa che ci rivolgono altri. Noi riusciamo a stare bene nella vita, solo quando esiste nel nostro animo la felicità che deriva dalla consapevolezza di vivere grazie al nostro prossimo.
Il Papa esprime così, al di là delle molteplici negazioni di senso offerte dalla cultura contemporanea, il senso autentico della speranza come un dono inatteso che non possiamo produrre da soli, ma che possiamo solo ricevere dall´Altro.

(da “La Repubblica”)