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La I° Commissione del Senato ha rinviato a dopo l’Epifania – che tutte le feste si porta via -, il voto sulla fatidica “bozza Bianco”. Si è così guadagnato un lasso di tempo per cercare di dissipare equivoci e, se possibile, giungere a una proposta che possa raccogliere più consensi di quelli che il testo in discussione è riuscito a riunire. Per questo, però, è necessario giocare a carte scoperte, mettendo da parte furbizie, retropensieri e tatticismi.

Ogni discorso onesto in tema di riforma elettorale deve partire dal referendum pendente, che è il vero convitato di pietra di questo dibattito perché, senza di esso, tutto sarebbe bloccato. Penso sia giunta l’ora di dire la verità: i cittadini che hanno sottoscritto per la consultazione popolare, al digiuno di ogni tecnicismo da addetti ai lavori, lo hanno fatto nella speranza di un sistema più semplice, con meno partiti e con alleanze più salde. Rispondere a tale iniziativa da parte del Parlamento con un sistema elettorale puro – sebbene corretto da una soglia di sbarramento del 5% – significherebbe prendere in giro quei cittadini. Anche se l’effetto giuridico sarebbe quello di evitare la consultazione.

Ciò significa che il Parlamento si deve fermare? Non lo crediamo affatto. Anche perché il risultato del referendum darebbe vita a un bipartitismo rigido con un premio di maggioranza che, in alcuni casi, potrebbe divenire eccessivo anche per il più convinto maggioritarista. Il Parlamento, invece, ha gli strumenti per interpretare in maniera più ponderata ed equilibrata quel che attraverso il referendum si richiede in modo obbligatoriamente radicale, in quanto la natura solo abrogativa dello strumento impone ai proponenti vincoli non aggirabili. A tal fine, bisognerebbe muovere verso un sistema che semplifichi le modalità di votazione (una scheda, un turno, un voto), scoraggi la nascita di una forza centrista che grazie alla propria rendita di posizione tolga agli elettori il potere di scegliere il governo, preveda implicitamente ma con sufficiente chiarezza il formarsi di alleanze basate sulla condivisione di programmi e posizioni, senza assegnare ad alcuno poteri di veto né rafforzare logiche ricattatorie.

La “bozza Bianco” va in questa direzione? E’ una soluzione di compromesso che a stento potrà assicurare il risultato che abbiamo auspicato. A dirlo non siamo noi ma il professor D’Alimonte (Il Sole 24 Ore, 13 dicembre) il quale, innanzitutto a causa delle circoscrizioni troppo grandi, è convinto che il risultato finale della “bozza Bianco” sarebbe troppo proporzionale e, quindi, che l’indicazione proveniente dagli elettori porrebbe un vincolo troppo lasco alle forze politiche.

Se questa è la preoccupazione anche di Fini (lettera a Bondi e Cicchitto, Libero 18 dicembre) essa, dunque, è condivisibile. Ma affinché da questa condivisione scaturisca una rinnovata collaborazione dev’essere chiaro anche il resto: quella legittima preoccupazione non la si supera introducendo dosi più alte di proporzionalismo come avverrebbe col voto disgiunto e, ancor di più, con le proposte del collegio unico nazionale e del quoziente. Per evitare che i dubbi di D’Alimonte divengano certezze bisogna andare in senso opposto. Oppure, come ci propongono all’unisono Vassallo e Panebianco (Corriere della Sera, 17 dicembre), cambiare la base della discussione.

Noi di Forza Italia a questa ipotesi non siamo contrari ma poniamo due condizioni pregiudiziali. La prima è che ogni nuova proposta vada chiaramente nel senso del referendum, invece di contraddirlo apertamente. La seconda è che essa a priori abbia superato i problemi politici che stanno complicando la discussione in I Commissione. La stima che abbiamo nei loro confronti ci obbliga di dire chiaramente a Vassallo e Panebianco che la ragione per la quale la riforma rischia d’arenarsi è l’impossibilità per il Pd di votare solo con la destra (e in questo caso il problema non si risolve se al Pdl si aggiungono An o Udc) contro tutti i suoi alleati, assumendosi così da solo la responsabilità di una eventuale caduta del governo Prodi. E’ una difficoltà comprensibile ma che va risolta prioritariamente, per impedire che le proposte si consumino come cerini e, alla fine, siano i più responsabili a scottarsi le dita.

Vogliamo, infine, far chiarezza su un ultimo aspetto. Se abbiamo ben interpretato il grido di allarme lanciato dal professor Vassallo (Corriere della Sera del 17 dicembre), c’è chi, nell’ombra, sta premendo sulla Corte Costituzionale affinché i quesiti referendari vengano bocciati. Si realizzerebbe così la profezia del professor Vaccarella e verrebbe scritta una delle pagine più nere della storia delle nostre istituzioni. Fino a prova contraria noi nutriamo fiducia nell’indipendenza dei giudici. Ma sappiamo anche che politicamente il modo più efficace per contrastare certe pressioni è fare tutto il possibile, e fino in fondo, affinché il Parlamento recepisca con una propria riforma gli stimoli che il referendum ha voluto fornire.

(da “Libero“)