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«Il futuro sarà come sono le scuole oggi» diceva il Premio Nobel (1937) per la medicina Albert Szent-Györgyi. Speriamo avesse torto, altrimenti siamo nei guai. Indagini e statistiche, rimbalzate sui giornali in questi mesi, testimoniano il crollo verticale della qualità dell’insegnamento nel nostro Paese. Per questo motivo, appare scontato che l’istruzione debba essere la prima questione alla quale il prossimo governo dovrà mettere mano.

La Fondazione Magna Carta, in collaborazione con la rivista “L’Ircocervo” e con la Free Foundation, pubblica nei prossimi giorni un documento (redatto, fra gli altri, da Giorgio Israel, Giovanni Orsina e Sergio Belardinelli) dal titolo “Governare per… l’istruzione e la ricerca scientifica”. Un documento che potrebbe (dovrebbe!) essere il punto di partenza per il prossimo esecutivo. Nel dossier si trovano proposte semplici ma efficaci. Siamo pronti a scommettere che incontreranno il consenso dei docenti e delle famiglie. Anche se  faranno infuriare le palle al piede dell’istruzione italiana, cioè l’onnipotente burocrazia ministeriale e i sindacati.

Lo dico per esperienza limitata ma diretta,  da ex insegnante: queste pagine mettono il dito nella ferita e individuano una cura credibile.

In estrema  sintesi, vanno più o meno azzerate le  riforme che si sono susseguite senza tregua dagli anni Novanta fino a oggi. Hanno avuto un impatto disastroso, inutile nascondersi dietro a un dito.

Per farsi un’idea della crisi, si può leggere il libro, appena uscito, di Giorgio Israel, uno degli estensori di “Governare per”. Si intitola “Chi sono i nemici della scienza?”, lo pubblica Lindau, ed è tragicamente bello.

La prima parte del volume mostra le origini e le cause dello sfascio.   La tesi è lineare, gli esempi devastanti. Spesso  il lettore non  sa se mettersi a ridere o piangere. Vediamo la tesi. La burocrazia ministeriale, saldamente in mano alla sinistra, ha decretato che la scuola italiana dovesse essere meno “autoritaria” e più “egualitaria”. Che fare, si sarebbe chiesto Lenin?

I guru (si fa per dire) della pedagogia hanno smantellato i vecchi programmi fondati sui contenuti. Troppo “impositivi”. Infatti, secondo loro, la scuola  deve essere «un insieme di processi di auto-apprendimento». L’istruzione pubblica non deve abbandonare nessuno;  ogni alunno va incoraggiato a sviluppare le proprie «competenze». Con i suoi tempi e nel rispetto della sua personalità.

Traduzione: il docente non deve “imporre” lo studio dell’ortografia e della grammatica. Deve piuttosto fare in modo che l’allievo sviluppi la consapevolezza dell’esistenza delle regole. Risultato di questa astruseria da intellettualoidi: i ragazzi all’università scrivono “stà” con l’accento (errore ricorrente, a dire il vero, anche nelle Indicazioni del ministero della Pubblica istruzione).

Rubo un paio di esempi  a Israel. La storia, per tradizione consolidata, è narrazione e interpretazione di eventi. Si direbbe ragionevole. No. Per i maghi della didattica  è una visione superata. I bambini devono prima di tutto affrontare un problema sul quale si sono spaccati la testa generazioni di filosofi: l’irreversibilità del tempo.

E la geografia? Il mappamondo l’hanno messo in cantina. Meglio chiedere all’allievo di descrivere il panorama fuori dalla finestra, così che capisca i concetti di “vicino / lontano” e “dentro / fuori”.

C’è di peggio. Questa impostazione all’apparenza “democratica” nasconde la  fregatura. Lo Stato invade lo spazio della famiglia, e pretende di impartire insegnamenti etici. (Come racconta Israel nell’intervista qui a fianco, ci sono perfino i “corsi  di affettività”).

Inoltre, in nome della tolleranza, dell’integrazione etc etc., molte materie, dietro a una neutralità di facciata, celano una visione fortemente ideologica. «Nelle scuole medie – scrive Israel – ci si può trovare di fronte a libri di testo in cui il globo terrestre non è suddiviso in continenti o in Stati, bensì in regioni definite in modo del tutto arbitrarie». Ecco il Medio Oriente trasformarsi in una fantomatica  «area islamica». Peccato che in tale «area» siano inclusi lo Stato d’Israele e Paesi come il Libano in cui vivono consistenti  comunità cristiane. Conclusione di Israel: «L’approccio astratto serve a veicolare la truffa ideologica». Una postilla: non è possibile integrare gli immigrati, se la scuola rinuncia a insegnare i valori che sono alla base della nostra convivenza in nome di un multiculturalismo che puzza di demagogia.

Poi c’è l’insegnante, al quale sono stati sottratti tutti gli strumenti  per mantenere l’ordine e la disciplina. Ad esempio, il voto in condotta e gli esami di riparazione. Temi sui quali Fioroni ha tentato di intervenire, sia pure in modo parziale e pasticciato.

Questa è solo una parte del problema. Al quale lo studio di Magna Carta / L’Ircocervo / Free Foundation dà risposte chiare. Fra gli interventi più urgenti, il  ripristino dei programmi fondati sul contenuto; il ripristino  dell’autorità del docente; la reintroduzione degli esami di riparazione; una maggior attenzione agli istituti professionali (della cui esistenza il ministero non deve essere al corrente, almeno a giudicare dai temi di maturità, calibrati per i licei); l’apertura al libero mercato.

L’ultima questione riguarda anche l’università. Per scardinare il sistema attuale, non c’è che una soluzione: abolire il valore legale del titolo di studio, il tanto agognato “pezzo di carta” timbrato dallo Stato.  È questa la via maestra per garantire la libertà di educazione e la parità giuridica e finanziaria fra gli istituti. Le proposte, come si vede, non mancano. Adesso i politici  battano un colpo.  

(da Libero)