Il palazzo di Magna Carta in Via dei Lucchesi, due passi dalla romana Fontana di Trevi, è in linea coi valori conservatori di cui la Fondazione si proclama tutrice. L’antico cortile è disseminato di grotte artificiali con sileni. Un nobile scalone sovrastato da blasoni si inerpica nel cuore dell’edificio. Sentendomi in forma salgo a piedi. Meta, l’appartamento di Magna Carta al terzo piano.
Al primo piano cominciano le palpitazioni. Prendo fiato alla finestra e vedo la cupola di San Pietro. L’extrasistole giunge al quinto tornante. Alzo gli occhi e, da un punto luce, vedo il Quirinale. Mi dico: «Mandrilli questi di Magna Carta! Si sono trovati una sede a misura. Da un lato, hanno l’emblema dei preti, dall’altro, il simbolo repubblicano. Il che coincide con l’essenza del loro think tank che è laico ma attento ai valori cattolici», e ansimando arrivo alla porta del think tank. A questo punto, prima di suonare, chiedo venia ai lettori – in nessun modo obbligati a sapere cosa sia un think tank – per non averlo spiegato.
Conoscete la storia dei carabinieri che vanno in coppia perché uno scrive e l’altro legge? Altrettanto accade con i partiti politici che, capaci solo di bla bla, devono avere al fianco qualcuno che gli presti il cervello. Questo qualcuno sono, appunto, i think tank («serbatoi di idee»), alla buona «pensatoi».
Gruppi di intellettuali saputelli, ma senza potere, che si coalizzano per offrire soluzioni ai partiti, potenti ma inetti a trovarle per conto proprio. Versione moderna dei consiglieri del re. In Usa, i think tank esistono da tre quarti di secolo. Con Bush, è venuto in auge l’American enterprise institute che gli ha suggerito la politica estera. Nato nel 1943 «per difendere i principi di libertà e del capitalismo democratico», l’Aei è, per i suoi critici, un covo di neoconservatori ed è alla base della decisione dei repubblicani di reagire all’11 settembre con la guerra preventiva in Afghanistan e Irak.
In Italia i «pensatoi» sono proliferati dopo il crollo del Muro e Mani pulite. Spariti i partitoni di salda ideologia e in grado di elaborare da sé le strategie, sono rimaste larve col gusto del potere ma zero idee. Così, sono spuntati intellettuali vari con l’uzzolo della politica. Si sono raggruppati in base all’orientamento in Fondazioni, producendo libri, riviste, giornali on line. Ci sono «pensatoi» di destra e di sinistra, legati a un politico di peso – come Italianieuropei di Max D’Alema -, oppure no.
Iniziamo un viaggio nei think tank con Magna Carta che rivolge le sue attenzioni al Pdl. In seguito, ci intrufoleremo anche in altri.
Suono e mi apre una fanciullina, Claudia Passa, la pr del think tank. Giornalista per vocazione, mi guiderà standomi accanto come un’ombra. Quello che sto per riferirvi me l’ha raccontato lei strada facendo. E la strada è lunga perché l’appartamento è sterminato. Quattrocento metri quadri, una quindicina di stanze grandi come tre. La Sala delle riunioni è un campo da tennis e funge anche da biblioteca. Tutta roba fatta in casa. Pareti zeppe di libri scritti dai 105 membri del Comitato scientifico, in massima parte professori di fede liberale, ma anche firme note come Fiamma Nirenstein, Magdi Allam, Oscar Giannino. Le pubblicazioni sono inviate ai parlamentari con la speranza che almeno le scorrano. Gli opuscoli vanno dalle 20 alle 80 pagine, a misura dell’onorevole medio la cui concentrazione è pari a quella di una marmotta in letargo. Molti sono firmati da Marcello Pera, l’ex presidente Fi del Senato, e da Gaetano Quagliariello, senatore di Fi, il gatto e la volpe di Magna Carta. Entrambi cattedratici, uno epistemologo a Pisa, l’altro storico alla Luiss, hanno fondato il think tank nel 2003. Pera oggi è fuori avendo scelto, dopo la sconfitta della Cdl nel 2006, un’orgogliosa solitudine. È rimasto il quarantasettenne Quagliariello che è il presidente e il motore della Fondazione.
Claudia mi introduce come prima tappa nella redazione dell’Occidentale, il quotidiano telematico di Magna Carta. In una stanza c’è il direttore Giancarlo Loquenzi, nell’altra cinque cronisti, età media 30 anni. Gran parte del materiale che va in rete è però prodotto da esterni. Cittadini che in un primo momento hanno inviato dei commenti al blog e che poi, previa selezione dei migliori, sono stati giornalistizzati. Loquenzi si fa un punto d’onore di compensare con «dané» ciascun contributo.
L’Occidentale è nato un anno fa sull’abbrivio dell’Uovo di giornata, rubrichetta satirica sull’attualità che compariva quotidianamente nel sito Internet di Magna Carta. Loquenzi è un quarantenne con un aplomb da direttore del Corsera. Giornalista di lungo corso nonostante l’età, proviene da Liberal la rivista di Ferdinando Adornato e con Pera è stato capufficio stampa del Senato. È patito dei ristoranti a cinque forchette ai quali deve la soffice rotondità delle sue forme. Tiene in vista la foto in cui stringe la mano a Condoleezza Rice e dice sognante: «Sono innamorato di tutto ciò che è americano».
Caporedattore è Cristiana Vivenzio, poco più che trentenne, detta «la mamma» per una duplice caratteristica. È mamma di due gemelle che, lavorando dieci ore al giorno, vede troppo poco e riversa perciò sulla redazione gli empiti materni.
Oltre al giornale, che è già un bell’impegno, la Fondazione ha quattro appuntamenti l’anno che richiedono titanici sforzi organizzativi. In primavera c’è la «Lettura annuale», dotta prolusione affidata a un personaggio internazionale. L’hanno tenuta, tra gli altri, l’islamista Bernard Lewis sulla guerra in Irak e l’ambasciatore israeliano all’Onu, Dore Gold, sulla sicurezza di Israele. In giugno, c’è il convegno «Relazioni Transatlantiche» sui rapporti Ue-Usa. In settembre, si svolge la «Summer School» al Grand Hotel Villa Tuscolana di Frascati, settimana di studi per 50 ambosessi, laureandi o dottorandi. Di giorno, sbornie di dibattiti politici con ospiti di grido come il cardinale Ruini. La sera inciuccate di vini locali. L’ultimo appuntamento, il più mesto, gli «Incontri di Norcia» tra credenti e non credenti. Si svolgono in novembre, il che dà un indubitabile vantaggio ai credenti perché, a ridosso del Giorno dei morti, anche gli atei fanno un pensierino all’aldilà.
«L’insieme ci costa 600mila euro l’anno», dice Beppe Lanzilotta, 35 anni, segretario generale della Fondazione, che accoglie me e la mia guida col look del venerdì. Jeans e barbetta incolta, per reazione ai ghingheri cui è costretto il resto della settimana.
I soldi vengono dai soci fondatori. Giganti come Finmeccanica, Mediaset, British American Tobacco, ma anche la romagnola Olimpia Splendid, che produce condizionatori d’aria. L’appoggio delle aziende a Magna Carta è fondato sulla speranza che le idee liberali, penetrando nella politica, modernizzino lo Stato e lo facciano lavorare meglio. «Si affidano a una battaglia ideale per ottenere un risultato concreto», dice Beppe.
Pugliese, ex tatarelliano di An, Beppe si è convertito al liberalismo con Quagliariello, suo professore alla Luiss. A lui spetta il coordinamento della baracca. Lavora tante di quelle ore da far sospettare che ogni tanto piazzi al suo posto il fratello, che è suo gemello. Si riserva però il privilegio di essere ritardatario cronico. Il che fa dire a Quagliariello che Magna Carta ha due fusi orari: quello di Roma e quello di New York, arretrato di sei ore, che è il fuso di Beppe.
La sola persona che riesca a imporgli puntualità è l’imponente Roberta La Cava, direttrice della Didattica alla Luiss, oggi in pensione. L’autorevole signora ha la funzione di cane pastore. È lei che pungola il Comitato scientifico a produrre nei quattro settori in cui è diviso: Riforma dello Stato, Ricerca e formazione, Welfare e mercato, Politica estera. Ora, sotto elezioni, il Comitato è messo al torchio. Ha già dato al Pdl materiale per la riforma del Parlamento, l’economia e cose così. Collaborano nell’opera di pungolamento Salvatore Rebecchini, omonimo dell’avo sindaco di Roma nel dopoguerra, Raimondo Cubeddu, detto il Ricucci di Magna Carta perché ha una microscopica casetta a Lucca e una ancora più piccola in Sardegna, i costituzionalisti Giuseppe De Vergottini, Nicola Zanon, Giovanni Pitruzzella.
Assiduo di Via dei Lucchesi è anche il direttore generale, Sergio Corbello. Piemontese, 57 anni, spirito burlone, è lui che ha trovato per Magna Carta l’appartamento che vi ho descritto e dal quale mi appresto a uscire. Sulla soglia incontro il presidente Quagliariello. «Chi glielo fa fare?», gli chiedo. «Non gioco a tennis e la politica ha bisogno di chi elabori il pensiero con l’occhio al futuro». «E quei ciocchi di deputati le danno retta?». «Tirerò le somme nel 2018». «Ci sarò. Stesso giorno». Esco e stavolta prendo l’ascensore.
(da Il Giornale)