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Solo qualche mese fa, alla luce dei risultati elettorali, più di qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo. Dopo due anni nei quali i temi cosiddetti “eticamente sensibili” sono stati chicchi di grandine scagliati sul dibattito politico, sembrava finalmente giunta la quiete dopo la tempesta: almeno per un po’ si sarebbe potuto evitare di occuparsi di quella sfida antropologica che aveva segnato in profondità il periodo del governo Prodi, portandone in superficie ancor più le contraddizioni.

Si trattava di un’illusione. Il caso di Eluana Englaro giunge a farcelo definitivamente comprendere. I temi che hanno a che fare col corpo, con la vita e con la morte, rappresentano ormai una frontiera ineludibile dello spazio pubblico. E a chi ha l’ambizione di governarlo non è consentito arretrare di fronte ad essa. Per quanto possa apparire difficile e addirittura fastidioso l’approccio a certi temi; per quanto persino dolorosa possa essere la loro considerazione.

Certo, non si deve mai perdere la congnizione dei sentimenti e delle emozioni che tale tematica mobilita e, per questo, servono capacità d’ascolto e comprensione. Ma è necessaria anche la consapevolezza di quanto grande sia la posta in gioco. Non si deve dare neppure l’impressione di voler imporre la propria ragione e tantomeno giudicare scelte che nascono comunque con sofferenza. Ma non è nemmeno possiblie confinare tali scelte in un ambito meramente privato negando l’incidenza nello spazio pubblico che esse hanno, con sempre più forza.

La sentenza della Cassazione da cui è scaturito il decreto della Corte d’Appello di Milano che autorizza il padre di Eluana a sospendere idratazione e alimentazione aiuta assai bene a comprenderlo. Essa fa definitivamente venir meno l’illusione che possa resistere una zona grigia nella quale situazioni limite possano consumarsi nel confronto e nel colloquio tra medico e paziente e, laddove questo non è possibile, comunque all’interno della famiglia. Il pronunciamento della Suprema Corte, infatti, è di quelli che segnano inevitabilmente e in profondità la convivenza civile di una società. Fissa che cosa  debba intendersi per dichiarazione anticipata di volontà. E di più: stabilisce cosa debba considerarsi cura e cosa no, sancendo che in determinate circostanze l’assicurazione da parte di un medico di funzioni vitali come l’idratazione e l’alimentazione possa configurarsi come un illecito stabilendo una deriva verso pratiche etaunasiche difficilmente negabile.

Sono temi sui quali non solo nelle aule parlamentari ma tra gli esperti e persino nella coscienza civile del Paese si sta discutendo in profondità. Sarebbe grave che la decisione venga assunta attraverso una sentenza, per quanto autorevole essa sia. Se questo dovesse avvenire, e su basi giuridiche quantomeno incerte, l’ordine giudiziario esproprierebbe il Parlamento in una fase decisiva della sua azione dettandogli una traccia che sarebbe poi difficile contraddire. Non solo. A chi non è d’accordo con la giurisprudenza dettata dalla Cassazione in occasione del caso Englaro non resterebbe che puntare su altre sentenze che magari, in virtù di una diversa composizione del collegio giudicante, arrivino a differenti conclusioni.

Non sarebbe una soluzione all’altezza del problema che abbiamo davanti. Ancor meno sarebbe un modo per evitare che la legge giunga a irrigidire ciò che per sua natura è fluido e non vuol farsi irreggimentare, come il confine tra la vita e la morte. Sarebbe solo un’omissione di fronte a una responsabilità che si avverte troppo grande e dunque, infine, un atto di codardia.

Rivendicare al Parlamento il diritto e la necessità di giungere ad una legge organica e complessiva su questa materia non è un atto di arroganza; è una scelta che nasce dalla considerazione empirica di come certi fenomeni epocali  stiano cambiando sotto i nostri occhi, e come si possa governarli salvaguardando al contempo la dignità delle persone e della nostra convivenza civile. Non è un atto di ostruzionismo. E’, al contrario, un mettersi responsabilmente in gioco sapendo quanto sia difficile giungere in questi campi ad un risultato positivo. Ma anche quanto possa essere grave il non riuscirci.

(L’Occidentale)