Sono talmente d’accordo con la diagnosi di Gaetano Quagliariello che non riesco a trattenermi dall’entrare nel merito e prendere posizione. Non c’è dubbio che su tutto grava la questione antropologica e le diverse posizioni che vengono assunte su di essa e la questione connessa della modernità, o meglio degli esiti della postmodernità. Dice bene Quagliariello: c’è chi ritiene che la secolarizzazione sia inevitabile e che si possa puntare su questa tendenza per risolvere i conflitti: con una buona dose di pragmatismo si spera di contenere e controllare gli estremismi, di far subire all’islam la stesso processo di annacquamento che sta subendo il cristianesimo, di governare i problemi dell’immigrazione, di contenere entro binari di “ragionevolezza” le tendenze estreme della tecnoscienza. Questo pragmatismo mi sembra così poco realistico da suscitare la domanda di chi possa seriamente credere a una prospettiva simile.
Gli estremismi dilagano in ogni angolo e immaginare che il mondo stia complessivamente tendendo verso la secolarizzazione è talmente contrario ai fatti da chiedersi su cosa possa poggiare una simile convinzione: davvero qualcuno può credere seriamente che milioni di uomini infatuati di ideali millenaristici e pronti a dare la vita pur di distruggere l’occidente e la sua corruzione siano sulla via della secolarizzazione? Tanto varrebbe chiedersi come mai la “secolarizzazione” dell’Impero Romano non abbia contagiato le orde di barbari che lo assediavano inducendole a una mite tregua. Siamo di fronte a un mondo convinto che l’occidente sia la fonte di una lebbra – proprio quella della secolarizzazione! – che deve essere estirpata ad ogni costo. L’uso della tecnologia da parte dell’integralismo iraniano non ha nulla a che fare con l’idea che se ne ha in occidente e che è entrata nella nostra ideologia: per l’islam tale uso è meramente strumentale e non si accompagna all’accettazione di una visione scientifica del mondo, anzi viene considerato un male nefasto l’onnipresenza di una visione di questo genere e l’annacquamento del cristianesimo è considerato come il paradigma di ciò che va combattuto.
La sequenza di smacchi penosi cui è andata incontro la strategia di “appeasement” di Obama è la prova dell’impraticabilità di questa via pragmatica. Non funziona. La sua miseria è rappresentata plasticamente da chi la rappresenta: vecchi esponenti di un “realismo” fallimentare di qualche decennio fa come Brzezinsky, James Baker, Kissinger. Dovrebbe riflettere chi si è messo sulla scia di un tentativo che ha già mietuto in poco più di un mese un numero impressionante di insuccessi e sta dissestando equilibri già di per sé precari. Questo per quanto riguarda la politica estera. E si potrebbe continuare su altre tematiche. Ma qui mi fermo. Perché mi rendo conto che, più che entrare nel merito, occorrerebbe definire i binari di una discussione che non c’è.
Difatti questo è il nodo serio che contraddistingue quello che Quagliariello definisce un “dibattito politico-culturale” e che invece, purtroppo, non si vede. Forse l’unica eccezione è rappresentata dalla questione bioetica, in quanto qui il dibattito è stato suscitato da temi molto concreti: la vicenda di Eluana Englaro e la legge sul testamento biologico. Ma anche in questo caso si è trattato esclusivamente di uno scambio di battute polemiche – tra il presidente Fini e chi si è opposto alle sue prese di posizione – e di un dibattito parlamentare che, per quanto importante, non si è tradotto in un autentico dibattito culturale, etico, scientifico. Il dibattito c’è anche stato, in parte, ma confinato ad alcuni organi di stampa senza che ne sia stato coinvolto se non molto marginalmente il nuovo partito.
Quanto al resto, il dibattito non è esistito e non esiste. Non si è visto un vero dibattito sui temi di politica estera o sull’immigrazione, sui rapporti con l’islam. Neppure si è sviluppato un dibattito approfondito sui temi dell’economia e sul modo di vedere i problemi del capitalismo contemporaneo, sebbene esso sia stato messo sul tappeto da un libro del ministro del Tesoro.
C’è poi il tema dell’istruzione e dell’educazione che ritengo di importanza centrale per una società che creda ancora nel proprio futuro. Ebbene, qui si avanti a tentoni oscillando tra posizioni diverse quasi si trattasse di questioni tecniche e non di scelte culturali cruciali che gravitano attorno alla questione antropologica. Qui, poi, si scorge un problema serio del mondo cattolico, il quale se sulle questioni bioetiche appare attraversato da differenze che non toccano tuttavia le scelte morali di fondo, sulla questione educativa è in preda a una confusione totale in cui convivono (si fa per dire) posizioni tecnocratiche accanto a ubriacature di stampo sessantottino, in piena incoerenza con qualsiasi visione etica che possa lontanamente assomigliare a una posizione spiritualista per non dire religiosa.
Come intendiamo formare i nostri figli? Semplicemente non se ne parla.
A mio avviso le sfide che abbiamo di fronte sono talmente gravi e serie che discutere su cosa vogliamo fare della nostra società è la vera urgenza. E non soltanto per individuare “punti di tenuta” – su questa espressione troppo riduttiva dissento da Quagliariello – ma per individuare i fondamenti di un umanesimo per il nuovo millennio. Questa è l’unica posizione realista e concreta. Altrimenti si andrà poi e comunque tutti a casa. Credo che nessuno aspiri ad avere una nuova Democrazia Cristiana degli anni ottanta entro cui convivano nella confusione cattocomunismo e atlantismo.
Il vero punto quindi non è che vi sia il dibattito, bensì che inizi quel dibattito vero che finora non c’è stato, con la consapevolezza che la cultura non è quella cosa che sta a sinistra e che i problemi non si risolvono chiedendo a quella cucina di confezionare le soluzioni. Difatti, questo è stato ancora l’atteggiamento di subordinazione culturale del primo anno del governo di centro-destra e che ha finora contribuito a bloccare un dibattito politico-culturale propriamente detto. In fondo, il centro-destra non crede davvero di avere forze intellettuali, e questo è uno dei suoi principali problemi.