Adriana Poli Bortone fonda “Io sud”; Gianfranco Miccichè parla sempre più spesso del “partito del sud” e raccoglie disponibilità anche a sinistra; da ultimo alcuni parlamentari del centro-destra hanno fondato una nuova fondazione intitolandola “Polo sud”. Perché tanto movimento intorno al meridione? E il PdL, che di tutto questo aggregarsi è il convitato di pietra, come reagisce?
Il mezzogiorno rappresenta la parte del Paese più inquieta, quella che storicamente, nell’ultimo quindicennio, ha assegnato la vittoria alle elezioni legislative a questa o a quella coalizione. Infatti, mentre al nord vi è ormai una stabile prevalenza elettorale del centro-destra attraversata da una competizione interna tra PdL e Lega, e mentre al centro l’egemonia della sinistra è stata appena scalfita ma non messa in dubbio, al sud vige la regola del “pendolo”. Questa consiste nel fatto che l’elettorato meridionale, atavicamente insoddisfatto, vota prevalentemente contro il governo in carica, sia a livello nazionale che a livello regionale, condannandolo alla sconfitta.
Questo trend è stato parzialmente smentito alle ultime europee con annesse amministrative, in cui il governo è stato chiaramente premiato dagli elettori. Anche se una parte di essi – e in modo più evidente al secondo turno delle elezioni amministrative – ha preferito disertare le urne.
Il fatto è che votare a sinistra nel Mezzogiorno è davvero arduo. La sua stagione di governo è stata fallimentare, sia dal punto di vista politico sia sotto l’aspetto morale. In Abruzzo l’esperienza è finita in anticipo per le note vicende giudiziarie che hanno interessato il presidente Del Turco e la sua giunta. In Campania Bassolino e la Rosa Russo Jervolino sono divenuti simbolo di mal governo. In Basilicata, dove pure il consenso regge, non mancano certo le rogne giudiziarie. E in Calabria la situazione di dissesto di alcuni settori – in particolare della sanità – sta assumendo proporzioni apocalittiche.
Questa situazione mette meno pressione al PdL, ma allo stesso tempo fa sì che chiunque voglia provare una strada nuova o più semplicemente acquisire una propria forza in un partito ancora acerbo di regolamentazione e di auto-regolamentazione, trovi al sud terreno fertile. E allora, ecco spuntare una lista, un’associazione, l’ipotesi di un nuovo partito che faccia da pendant alla Lega, con la scusa di dover riequilibrare una coalizione troppo squilibrata verso una parte del Paese.
Ma in tal modo, senza neppure accorgersene, si stanno correndo due rischi: quello di frammentare la questione meridionale in una serie di piccole questioni locali, smarrendone la dimensione nazionale; e quello di sottrarre al PdL la ragione più importante della sua attuale forza politica.
Il sud, infatti, non ha – o almeno non ha ancora – né una classe dirigente né una proposta unificante in grado di dar vita a una vicenda politica come quella della Lega Nord. Esso, inoltre, oggi più che mai è il problema della nazione tutta intera. Perché se l’Italia, all’uscita da questa incredibile crisi globale, vorrà evitare un destino da crescita bassa, è proprio sulla parte del Paese che presenta più margini di sviluppo che dovrà puntare.
In questo contesto, il PdL deve considerarsi più che mai il partito della nazione. Deve farlo perché è il suo destino storico, visto che il suo progenitore più importante – Forza Italia – nacque per unificare due spezzoni di elettorato collocati in parti diverse del Paese, che non comunicavano tra loro (quello dei leghisti al nord e quello dei missini al sud). Deve farlo perché lo scontro tra quanti pur rendendosi conto della globalizzazione restano con la nazione, e quanti ne prescindono sposando una anti-italianità programmatica, sta diventando una delle principali ragioni di frattura dell’attuale momento politico. E deve farlo, infine, perché se consente alla frammentazione di proseguire, ne va della sua stessa centralità politica. La nascita di un partito del sud, paradossalmente, sarebbe il più grande aiuto che la Lega potrebbe ricevere nella competizione interna alle forze dell’attuale maggioranza.
Per tutte queste ragioni, il PdL non dovrebbe assistere inerte al movimentismo meridionale, trincerandosi in una impermeabile superiorità. E’ giunta l’ora di dimostrare di possedere una classe dirigente in grado di essere credibile non solo come alternativa di breve periodo allo sfascio prodotto dalla sinistra; di fare proposte concrete per il mezzogiorno; di coniugarle con il programma di governo della nazione.
Per tutte queste ragioni, con Sandro Bondi e Mara Carfagna stiamo pensando da tempo di partire da un seminario dal titolo che è tutto un programma: “Il sud, la classe dirigente e il futuro del PdL”. Lo svolgimento di questo programma sta diventando urgente. Dovremo sbrigarci.