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I.  Le regole per l’acquisto della cittadinanza rappresentano il nucleo fondamentale della legislazione di uno Stato nazionale

La disciplina della cittadinanza, che stabilisce la condizione giuridica di un soggetto in un determinato Stato, ed in particolare la concessione della cittadinanza allo straniero, è materia molto delicata in quanto attiene al nucleo fondamentale della legislazione nazionale, riguardando, in particolare, l’identità politico-giuridica del cittadino, le modalità della sua partecipazione alla vita politica, l’insieme dei suoi diritti e dei doveri. Con l’acquisizione della cittadinanza, un individuo diviene parte integrante di una comunità nazionale e, con l’esercizio del diritto di voto, concorre al processo democratico di assunzione delle decisioni politiche.

Attraverso le regole sull’acquisto della cittadinanza si definiscono, quindi, i criteri per entrare a far parte a pieno titolo di una comunità statale: si tratta di una questione che non può essere affrontata in modo strumentale nel tentativo di risolvere problemi di altra natura. Occorre, invece, avere la consapevolezza che la materia in questione implica conseguenze profonde e di lungo periodo nell’evoluzione della società; sarebbe, pertanto, opportuno evitare di apportare riforme motivate da ragioni contingenti o di mera tattica politica.

II.  La cittadinanza è un patto e non un diritto

Lo status di cittadino, rispetto a quello di straniero stabilmente e regolarmente soggiornante sul territorio nazionale, comporta unicamente il riconoscimento dei diritti elettorali ed il diritto di entrare e circolare liberamente sul territorio dello Stato. Tutti i restanti diritti civili e sociali sono sostanzialmente indifferenti rispetto allo status di cittadino.

Si tratta di un ambito che non ha nulla a che vedere con i «diritti universali dell’uomo» e, quindi, non può essere affrontato in termini di diritto naturale o di jus gentium.  Occorre piuttosto che la materia sia disciplinata sulla base di un’adeguata valutazione dell’interesse della Nazione.

La cittadinanza esiste in quanto esistono le nazioni, e le regole che disciplinano la concessione della cittadinanza, quindi, devono essere definite considerando l’interesse nazionale.

L’acquisto della cittadinanza andrebbe disciplinato sulla base di un’idea consapevole e condivisa della comunità nazionale e di una sua auspicabile evoluzione.

III.  Le problematiche della cittadinanza sono del tutto autonome rispetto a quelle dell’immigrazione

Il tema della cittadinanza viene molto spesso impropriamente affiancato a problematiche che riguardano la disciplina dei flussi migratori. In particolare, l’insoddisfacente integrazione di molti immigrati ha spinto taluni a ritenere che una modifica della disciplina sulla cittadinanza potrebbe favorire un più rapido processo di integrazione degli stranieri presenti in Italia.

In realtà si tratta i due problemi distanti e distinti. Se la disciplina della concessione della cittadinanza riguarda la fissazione delle regole di base per consentire allo straniero di entrare a far parte della comunità nazionale italiana, quella dell’immigrazione riguarda la fissazione delle norme in base alle quali un cittadino straniero può regolarmente soggiornare in Italia.

I due fenomeni sono, in primo luogo, diversi dal punto di vista quantitativo. Ad oggi risiedono stabilmente sul territorio dello Stato oltre 400 mila stranieri, mentre la concessione della cittadinanza riguarda ogni anno poche decine di migliaia di individui. Non è immaginabile né auspicabile che, per quanto estensive, nuove regole sull’acquisto della cittadinanza possano consentire ad un numero significativo di stranieri, con permesso di soggiorno, di diventare cittadini italiani.

Paradossalmente, l’idea di affrontare il fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria attraverso l’allargamento dei criteri per la concessione della cittadinanza, tradisce una concezione di stampo nazionalistico e nega quell’ideale di società multirazziale propria del pensiero «politicamente corretto».

In realtà, in questa fase storica, l’emigrazione temporanea per motivi economici e senza implicazioni di cittadinanza è la regola della mobilità internazionale, non l’eccezione.

I flussi migratori in atto non possono certo essere regolati estendendo i confini della cittadinanza. Occorre semmai governare il fenomeno favorendo la mobilità internazionale degli immigrati, con visti temporanei di lavoro e accordi con i paesi di provenienza.

Snaturare i caratteri di un istituto come la cittadinanza potrebbe avere pericolose conseguenze. Una nazione cresce ed evolve sulla base di radici etno-culturali, e potrebbe cessare di essere democratica nel momento in cui si intaccassero i vincoli stessi che garantiscono l’unità della nazione, e la sua struttura sociale, e quando venisse meno il senso di reciproca appartenenza storica.

Inoltre, introdurre meccanismi diretti a stabilire un rapporto automatico o semi automatico di trasformazione del flusso migratorio in allargamento della comunità dei cittadini rischia di determinare fenomeni di rigetto e di chiusura nei confronti dei medesimi immigrati. Come dimostra lo studio di paesi interessati da massicci flussi migratori, proprio la netta distinzione fra i meccanismi di accoglienza di lavoratori provenienti dall’estero e meccanismi di acquisto della cittadinanza è condizione che favorisce la buona convivenza sociale.

IV.  La cittadinanza non serve per favorire l’integrazione ma, al contrario, presuppone l’avvenuta integrazione

La disciplina della concessione della cittadinanza, riguardando la fissazione delle regole (padronanza della lingua, conoscenze dei fondamenti istituzionali e giuridici, fedina penale pulita, lavoro regolare) in base alla quale uno straniero può diventare cittadino italiano, si colloca alla fine di un lento e progressivo percorso di integrazione. Una democrazia per funzionare ha bisogno di lealismo civico, di quelle virtù civiche che non discendono semplicemente dalla formale concessione di un diritto di cittadinanza, ma esigono l’identificazione con una comunità. La cittadinanza presuppone il senso di appartenenza ad una comunità.

Le virtù civiche non sono innate, ma devono essere raggiunte attraverso un processo formativo fondato su radici storiche e matrici etno-culturali comuni. In caso di presenza di più ethnos, perché avvenga la sintesi che produce le migliori virtù civiche, è necessario che il nuovo ethnos riconosca quello preesistente.

Il riconoscimento del diritto di cittadinanza non può pertanto essere immaginato come strumento per favorire l’integrazione dei lavoratori extracomunitari presenti in Italia, ma, al contrario, si pone come momento finale di un processo di reale e compiuta integrazione.

V.  Le proposte sulla cittadinanza breve scontano una concezione novecentesca del fenomeno migratorio

L’idea di accelerare la concessione dello status di cittadino per favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri presenti in Italia appare figlia di una concezione novecentesca dell’immigrazione. Una stagione nella quale l’immigrazione in un paese lontano da quello di origine, coincideva nella stragrande maggioranza dei casi con l’interruzione definitiva dei legami con il paese di provenienza.

Oggi, grazie alle nuove tecnologie ed ai mutamenti sociologici che hanno interessato i paesi di origine degli immigrati, il fenomeno migratorio è estremamente più mobile. La maggiore facilità dei trasporti, dei sistemi di comunicazione e dei trasferimenti finanziari, consentono all’immigrato di essere normalmente inserito nel proprio contesto d’origine in modo assai più stabile e continuativo di quanto accadeva un secolo fa. Non solo. Il consolidamento dell’Unione europea e l’abbattimento delle barriere fra i singoli paesi dell’Unione ha fatto sì che oggi gran parte degli immigrati extracomunitari sia estremamente mobile nell’ambito del territorio dell’Europa comunitaria.

VI.  La disciplina della cittadinanza è strettamente legata alla peculiari caratteristiche storiche dei diversi paesi

Molto spesso, a sostegno delle proposte a favore della cittadinanza breve, si citano i casi di importanti paesi europei, quali la Francia ed il Regno Unito. In realtà si tratta di un confronto fuorviante. In primo luogo occorre ricordare come questi paesi siano interessa da importanti processi di riforma. In Gran Bretagna, ad esempio, la riforma approvata nel luglio di quest’anno, restringe in modo significativo i margini della concessione della cittadinanza, e soprattutto introduce un modello assai interessante che punta a valorizzare il profilo qualitativo della presenza dello straniero sul territorio dello Stato. Sintomatico è anche il caso Francese nel quale il ministero competente in materia ha assunto la denominazione di Ministero per l’immigrazione e l’identità nazionale.

Ma in ogni caso occorre considerare il particolare sviluppo storico di quelle nazioni. In Francia e in Gran Bretagna la legislazione in materia di cittadinanza è storicamente collegata al loro statuto di ex potenze coloniali. Statuto che in quei paesi poneva rilevanti problemi di integrazione dei cittadini provenienti dalle ex colonie.

Una conferma di ciò può essere ricavata dal caso spagnolo. In Spagna, infatti, ad una disciplina generalmente rigorosa per l’acquisto della cittadinanza (è richiesta la residenza da almeno 10 anni) corrisponde un forte alleggerimento dei requisiti nel caso di individui provenienti dalle ex colonie (è sufficiente essere residenti da 2 anni).

Ancora più fuorviante è il riferimento agli Stati Uniti, paese che, sin dalla sua origine ma anche nelle successive fasi di sviluppo, è stato costruito dagli immigrati!

VII.  La questione dello jus soli è un falso problema

La questione dell’introduzione nel nostro sistema dello jus soli accanto allo jus sanguinis ha assunto grande rilevanza mediatica. Si tratta di una rilevanza in gran parte immeritata poiché il nostro ordinamento già oggi prevede ampio spazio a tale principio.

Secondo la legislazione vigente, infatti, il figlio di genitori stranieri nato in Italia, e che abbia risieduto in Italia, con una semplice richiesta può ottenere la cittadinanza italiana al compimento del 18° anno di età. Inoltre qualora non faccia tale richiesta entro il 19° anno, può, comunque, richiedere la concessione della cittadinanza avendo risieduto in Italia per almeno 3 anni (quindi per un periodo inferiore a quello previsto per l’intero ciclo scolastico, come stabilito da alcune proposte di legge in materia).

Naturalmente è possibile migliorare l’attuale quadro normativo, rendendo più fluido il procedimento e semmai valorizzando la frequenza delle scuole (dell’obbligo e non). Occorre però riconoscere che già oggi l’Italia dia ampio spazio al riconoscimento della cittadinanza per la cosiddetta seconda generazione.

VIII.  Per evitare un uso improprio del riconoscimento della cittadinanza occorre affrontare la questione della doppia cittadinanza

Il conseguimento della cittadinanza italiana non rientra tra le priorità di quanti richiedono il permesso di soggiorno in Italia. L’interesse all’acquisto della cittadinanza è motivato da ragioni in gran parte strumentali. Deriva essenzialmente dal fatto che, una volta cittadini, i lavoratori stranieri non corrono più il rischio di perdere il permesso di soggiorno.

Per queste ragioni, ogni ipotesi di alleggerimento dei requisiti ed abbreviazione dei termini per l’ottenimento della cittadinanza dovrebbe essere comunque accompagnata da una ripensamento della disciplina che attualmente consente il mantenimento della doppia cittadinanza. La disponibilità a rinunciare alla propria cittadinanza d’origine, infatti, oltre a rappresentare un elemento sintomatico del sentimento di appartenenza nazionale, disincentiverebbe un interesse meramente strumentale all’acquisto della cittadinanza italiana.

Una disciplina del genere è già vigente in importanti paesi europei (Germania, Olanda) ed extraeuropei (Giappone).

IX.  Spostare il baricentro della concessione della cittadinanza dai profili meramente cronologico-quantitativi a quelli valutativo-qualitativi

Naturalmente una lettura attenta e critica dei temi della cittadinanza non equivale a negare che possa essere opportuno rivedere l’attuale disciplina. In particolare, oggi il procedimento di concessione della cittadinanza è definito intorno a profili di carattere essenzialmente burocratico, legati esclusivamente alla verifica della regolare permanenza sul territorio nazionale per il periodo richiesto dalla legge. L’acquisto della cittadinanza italiana non può essere il frutto di un processo burocratico legato al trascorrere del tempo, ma deve essere un traguardo raggiunto dopo aver dimostrato di meritare di diventare cittadino.

L’adozione di tale nuova impostazione appare particolarmente importante nell’attuale fase storica, caratterizzata da flussi migratori provenienti da paesi assai distanti, non solo in senso geografico, ma soprattutto in senso culturale, sociale, religioso.

Nel nuovo contesto, il procedimento di concessione della cittadinanza dovrebbe essere maggiormente focalizzato alla verifica di quegli elementi in grado di attestare l’avvenuta integrazione del richiedente. Occorrerebbe, in sostanza, introdurre criteri di carattere qualitativo in modo da valorizzare la concessione della cittadinanza come strumento di sviluppo e crescita della comunità nazionale.

Il semplice decorso del tempo, per quanto esteso, costituisce un indicatore abbastanza approssimativo di tale profilo. In particolare, un termine fisso ed uguale per tutti gli aspiranti cittadini rischierebbe di essere troppo breve in alcuni casi e troppo lungo in altri. Sarebbe opportuno definire alcuni criteri di carattere qualitativo per integrare il criterio, meramente quantitativo, della durata della residenza.

Nella direzione di una “cittadinanza di qualità” si muove la recente riforma approvata nel Regno Unito. La nuova legge invertendo la tradizione britannica sulla materia, non solo rende più restrittivi i criteri per l’ottenimento della cittadinanza, ma soprattutto introduce un’attenta articolazione del procedimento in funzione delle specifiche situazioni soggettive dei richiedenti (motivi di lavoro, di famiglia, di asilo politico). Vengono introdotti i concetti di earned citizenship (cittadinanza meritata) e di active citizenship (cittadinanza attiva) in base ai quali il conseguimento della cittadinanza è subordinato al rispetto di alcuni vincoli ed alla tenuta di determinati comportamenti. Non solo. Lo svolgimento da parte dell’aspirante cittadino di specifiche attività d’interesse sociale (attività di volontariato) determina una riduzione del tempo necessario.

X.  Un nuovo modello per la concessione della cittadinanza: la «cittadinanza a punti»

In questa prospettiva, il nodo da affrontare non è certo quello dell’abbreviazione del periodo minimo di residenza sul territorio italiano richiesto per l’ottenimento della cittadinanza, quanto piuttosto la previsione di alcune circostanze soggettive ed oggettive che presentino un elevato valore sintomatico dell’avvenuta integrazione dell’aspirante cittadino. Qualora tali elementi sintomatici siano univoci e particolarmente significativi potrà poi essere valutata l’opportunità di abbreviare il termine minimo di regolare residenza sul territorio dello Stato.

Occorre, in altre parole, individuare alcuni criteri di carattere qualitativo che, integrando il tradizionale criterio cronologico, potrebbero servire a qualificare il periodo di tempo trascorso in Italia. In particolare, andrebbero valorizzati tutti quegli elementi che indicano come la permanenza in Italia dell’aspirante cittadino abbia assunto un carattere di spiccata stabilità, carattere che evidentemente normalmente determina una maggiore rapidità nel processo di integrazione.

L’attuale ordinamento prevede, ad esempio, che dopo cinque anni di soggiorno regolare in Italia, in forza di permessi di soggiorno temporanei, lo straniero possa ottenere il “permesso di soggiorno di lungo periodo” (la ex Carta di soggiorno). La concessione di tale permesso è subordinata alla verifica di alcuni requisiti (soprattutto la disponibilità di un reddito minimo). La stabilità della condizione sociale dello straniero, e quindi l’avanzamento del percorso di integrazione, è presumibilmente maggiore nel caso dello straniero che risieda in forza di tale permesso di lungo periodo. E pertanto sarebbe opportuno prevedere che sia la residenza in forza di una Carta di soggiorno, e non di semplici permessi temporanei di soggiorno a termine, uno dei requisiti per l’ottenimento della cittadinanza.

Del resto molti altri paesi (Olanda, Svezia, Germania, Canada) fanno dipendere la naturalizzazione non dal semplice soggiorno regolare ma dal soggiorno in forza di un permesso a tempo indeterminato. Anche il Regno Unito, nella sua recente riforma, ha previsto un procedimento articolato in tre fasi (residenza temporanea, cittadinanza di prova, cittadinanza britannica) al fine di collegare la concessione della cittadinanza ad una verifica progressiva della stabilità ed irreversibilità del processo d’integrazione dell’aspirante cittadino.

Ma la stabilità della condizione sociale dell’aspirante cittadino potrebbe essere verificata anche mediante altri indicatori: in primo luogo il possesso per l’intero periodo di residenza di un lavoro regolare, dal quale l’aspirante cittadino abbia ricavato un reddito (fiscalmente dichiarato) sufficiente a mantenere sé stesso e la propria famiglia. Ma rilievo assume anche la stabilità della residenza. La permanenza prolungata in una in una determinata città o provincia, così come la stabilità e l’idoneità del domicilio costituiscono certamente sintomi di un processo di radicamento e di integrazione più compiuto.

Vi sono poi i requisiti che attengono ai profili soggettivi del richiedente. In questa prospettiva, potrebbe in primo luogo essere introdotta, come condizione necessaria, una verifica del possesso da parte dell’aspirante cittadino di una buona conoscenza della lingua italiana e delle nozioni fondamentali della storia e del diritto costituzionale italiani. La concessione della cittadinanza non può naturalmente prescindere dal possesso della fedina penale pulita e dall’assenza di carichi penali pendenti.

Di maggiore complessità attuativa, ma di grande importanza, sarebbero ulteriori criteri di tipo valutativo, relativi ad esempio al titolo di studio, alla natura del lavoro o dell’attività professionale svolta, al paese di provenienza.

Per queste ragioni, soltanto una maggiore caratterizzazione in senso qualitativo del concetto e dell’istituto della cittadinanza, e dei suoi meccanismi di concessione, permetterà di rendere tale strumento non solo coerente con una corretta idea della nazione e dei suoi caratteri, ma anche funzionale alle esigenze di crescita e di rafforzamento del Paese e della sua identità.

Una equilibrata disciplina del riconoscimento della cittadinanza al cittadino straniero potrà inoltre garantire, nell’ambito della comunità nazionale, una migliore interazione fra individui provenienti da culture differenti e una spontanea accettazione dei fenomeni connessi ai flussi migratori, tutelando in definitiva il fattore centrale per una civile convivenza: la tutela dell’interesse nazionale.