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Come tutti gli anni, anche quest’anno si è aperta la stagione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Un evento rituale e un po’ noioso ma che quest’anno ha assunto un rilievo ed una risonanza particolare. La sceneggiata messa in campo dall’ANM stravolge il significato di una cerimonia, pensata come momento di celebrazione e rappresentazione della solidità e della compattezza delle nostre istituzioni, che rischia di diventare essa stessa fattore di lacerazione e di rottura istituzionale.

L’idea bislacca di magistrati schierati in blocco con la Costituzione ben stretta ed in bella mostra in mano (quasi che la Carta sia monopolio dei magistrati), la gravissima scortesia dei medesimi magistrati che si alzano abbandonando l’aula non appena prende la parola il Ministro della Giustizia, testimoniano come, senza ombra di dubbio, la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario sia ormai precipitata in una gravissima crisi, forse irreversibile.

In realtà, ci è sempre risultato un po’ oscuro il senso autentico di questo evento. La stessa categoria dell’anno giudiziario non è chiara. L’attività giudiziaria è un flusso che scorre in modo del tutto indifferente al succedersi degli anni. A differenza di quanto accade per e attività scolastiche o universitarie, coerentemente ripartite in anni scolastici ed in anni accademici, per i processi penali o le cause civili il 20 di gennaio è giornata del tutto omogenea al 20 dicembre dell’anno precedente. Del resto a considerare la durata dei processi e delle cause nei nostri tribunali più l’anno giudiziario dovremmo celebrare il decennio giudiziario!

Ma, sino a qualche tempo fa, la “insensatezza” della cerimonia era compensata dalla sua ritualità. Un convegno di Presidenti, Ministri ed alti magistrati con i loro ermellini un po’ ridicoli, i loro discorsi un po’ noiosi, ricchi di formule e di cifre e poveri di idee, certamente inutile ma che aveva almeno un valore positivo nella misura in cui si metteva in scena la coerenza di un sistema istituzionale, unito nel rispetto delle reciproche funzioni. Certo, si trattava di un dato simbolico, ma è chiaro che in una democrazia anche i simboli hanno un loro valore.

Il fatto che da alcun anni l’inaugurazione dell’anno giudiziario si è svuotata del suo significato e ne ha assunto uno esattamente opposto. Da occasione rituale qualcuno ha cercato di trasformarla in momento di iniziativa e denuncia politica. L’inaugurazione dell’anno giudiziario è ormai diventata la principale tribuna dell’anno per rappresentare scenicamente lo scontro fra potere politico ed ordine giudiziario. O meglio fra potere politico e rappresentanze organizzate dell’ordine giudiziario.

I danni di questo fenomeno “evolutivo” sono evidenti. L’ordine giudiziario si trasforma in potere giudiziario. Un potere con la sua fonte di legittimazione (le correnti della magistratura e l’Associazione Nazionale dei Magistrati), il suo Parlamento (il CSM), le sue strategie e le sue proposte. Un potere che dialoga alla pari ed in modo (anche molto) conflittuale con gli altri poteri. Una conflittualità che lo spinge addirittura a rifiutare di ascoltare le parole del Ministro della Giustizia ovvero del massimo rappresentante dell’altro potere con cui ci si ritiene in guerra.

Ma in questo modo non solo si minaccia la tenuta stessa di un sistema istituzionale (immaginiamo cosa accadrebbe se un intero corpo militare si rifiutasse di sfilare alla presenza del Ministro della Difesa), ma si mette in discussione la stessa indipendenza dei magistrati. E’ infatti evidente che l’indipendenza non è della magistratura ma è del singolo magistrato. Indipendenza di fronte al potere politico ma anche di fronte ai colleghi magistrati. Se però la magistratura da ordine si trasforma in potere, da potere in parte politica e da parte politica in fazione è chiaro che, solo a costo di pagare un caro prezzo di carattere professionale, il singolo magistrato potrà esercitare sino in fondo la propria autonomia di giudizio e la propria indipendenza.

L’inaugurazione dell’anno giudiziario forse non sarà più un evento rituale e noioso ma rischia oggi di essere un momento pericoloso per la tenuta delle istituzioni democratiche e per la stessa indipendenza della magistratura. E forse, nel catalogo delle riforme della giustizia, di cui il Paese ha un disperato bisogno, sarebbe il caso di inserire anche l’abolizione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

l’Occidentale

30/01/2010