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Bocciato un eventuale nuovo trattato sul riscaldamento globale, salta anche l’obiettivo di dimezzare le emissioni inquinanti entro il 2050. L’atteso vertice di Copenaghen ne esce gravemente compromesso. Questi i risultati dell’incontro di Singapore tra il premier americano Barack Obama e quello cinese Hu Jintao, a margine del vertice dell’Apec. Ormai è chiaro che siamo davanti a un “G2” del clima in cui Cina e Stati Uniti, le potenze più inquinanti del mondo, decidono da sole le sorti del pianeta. Ne parliamo con il professor Renato Angelo Ricci, presidente dell’Associazione Galileo 2001.

Professore, che ne pensa di quello che è accaduto a Singapore?
Non ho elementi sufficienti per giudicare le posizioni di Cina e Usa dal punto di vista politico. Posso solo immaginare le difficoltà del presidente Obama nel trovare un equilibrio tra la visione “messianica” dell’ecologismo a tutti i costi – l’immagine di un’America all’avanguardia nell’impresa salvifica contro il “Riscaldamento Globale” – e la dura realtà imposta dalla necessità di uscire dalla  crisi economica.

Obama stavolta ha incontrato l’opposizione del Congresso
Credo che anche negli Stati Uniti si faccia strada una certa riflessione dal punto di vista scientifico, che invita alla moderazione di fronte a posizioni catastrofiste e poco consone con l’assunzione di politiche ponderate e responsabili.

Quali sono gli interessi in gioco in America?
E’ immaginabile che il bussines “verde” finisca per scontrarsi con posizioni di difesa dell’attuale assetto economico-industriale. Quest’ultimo rischia una grave penalizzazione, che non sarebbe accolta positivamente e,del resto, comporterebbe un ulteriorie aggravio della crisi in corso.

Se il vertice di Copenaghen è compromesso di chi è la colpa?
L’enfasi data dai Paesi occidentali al problema delle variazioni climatiche, imputate per la maggior parte allo sviluppo industriale, non poteva che costituire un motivo per i Paesi in via di sviluppo (accelerato per giunta), come la Cina, per “strumentalizzare” la richiesta di un maggior impegno da parte dei Paesi già sviluppati. Pechino accusa le potenze di più antica industrializzazione di essere “colpevoli” dei “presunti” danni già perpetrati all’ambiente, lasciando intendere che l’impatto su queste questioni è minore per chi arriva adesso al livello di potenza industriale ed economica.

Lei come giudica questa posizione?
Il fatto è che l’etica, pur agitata come bandiera ideologica, non c’entra molto quando i problemi cruciali assumono la loro veste naturale che è di tipo socio-politico. E qui, se non si vuole fare della demagogia, occorre avere l’onestà intellettuale – lo dico per le comunità culturali – di riconoscere che le bandiere ideologiche non fondate sulla conoscenza della realtà, oltre ad essere utopie pericolose, costituiscono un freno alle  valutazioni oggettive e alle decisioni responsabili.

Ci sta invitando a una riflessione sui rapporti tra politica e scienza…
Al di là di ciò che si sono detti Obama e Hu Jintao, va ricordato che le basi conoscitive da cui emergono, o emergeranno, le future decisioni politiche sul clima dovrebbero derivare da dati scientifici sufficientemente affidabili. Sappiamo che vi sono ancora difficoltà d’interpretazione e problemi aperti nella comunità scientifica quando si parla di mutazioni climatiche e dell’impatto delle attività antropiche su di esse. Quanto sta accadendo, anche a livello politico, mostra ancora una volta che la complessità, e la problematicità delle questioni sul tappeto, presuppongono un dibattito scientifico serio e corretto, prima ancora che politico e ideologico.

A cosa si riferisce quando parla di “problemi aperti” nella comunità scientifica?
Per esempio al fatto che le stesse “proiezioni” (che non sono “previsioni”) sull’evoluzione della temperatura del Pianeta – presa spesso come paradigma assoluto delle variazioni climatiche – si basano ancora essenzialmente su modelli matematici che, per quanto sofisticati, non possiedono tutti i parametri necessari a definire l’evoluzione fisica e chimica di un sistema complesso come il clima terrestre. Se poi si parte da questo per “imporre” la riduzione di gas serra, con l’obiettivo di dare un limite massimo (2°C) all’aumento di temperatura, in base a una scadenza temporale definita, tutto ciò non solo appare presuntuoso e non scientifico ma non tiene conto dei limiti delle conoscenze attuali e rende un cattivo servizio alla Scienza stessa.

Perché un “cattivo servizio”?
Semplice, la scienza del clima è ancora giovane e lontana dalla sua piena maturità. Occorre invece mettere a confronto le osservazioni e le conoscenze scientifiche in un serio dibattito tra scienziati. Noi di “Galileo 2001” ci abbiamo provato con il nostro Convegno nazionale  su “Clima, Energia e Società”, che si è tenuto a Roma lo scorso 13 e 14 ottobre, con risultati incoraggianti e con il contributo di studiosi di alta qualificazione. Il risultato è che ancora difficile dimostrare che ci sia una relazione “causa-effetto” fra le emissioni di CO2 dovute all’attività dell’uomo e i fenomeni di riscaldamento. Ciò comporta, tra l’altro, la necessità di un maggior impegno di ricerca nelle discipline dell’ambiente e del clima.

Dunque ci sono delle soluzioni
Le classi politiche dei grandi Paesi dovrebbero dialogare più umilmente con la comunità scientifica, senza pretendere risultati confezionati a priori che confermino le loro tesi. I governi rischiano di fondare le proprie decisioni su valutazioni non conformi al bene comune dell’umanità. Il rischio è che si chieda agli esperti un servizio di monitoraggio piuttosto che una attività di conoscenza chiarificatrice in un dialogo razionale. Invece di puntare a presunte “rivoluzioni verdi” dovremmo essere consapevoli che si possono ‘mitigare’ gli effetti più pericolosi dello sviluppo industriale, che possiamo ‘adattarci’ ai cambiamenti in atto, sviluppando nuove strategie energetiche. E potenziare la ricerca.

Quali dovrebbero essere gli obiettivi?
I governi dovrebbero creare le condizioni per bruciare meno combustibili fossili, puntare a ridurre la nostra dipendenza da essi, migliorare le nostre tecnologie energetiche e industriali ricordando che il problema di fondo è la ricerca che precede l’innovazione. E che, se il sistema Energia è fondamentale al riguardo, il mix energetico ideale contiene come elemento necessario la produzione e l’utilizzo dell’energia nucleare. E ancora, riportare il dibattito sui binari della ragione e della cultura scientifica. Senza allarmismi, catastrofismi o inutile demagogia.

l’Occidentale
17 Novermbre 2009