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Italia, terra di scartoffie e tasse. Dove il peso della burocrazia e la pressione fiscale soffocano l’imprenditoria, lasciandola prigioniera di una gabbia di regole tra le più solide, ahinoi, d’Europa.

Mentre i maggiori Paesi europei hanno adottato provvedimenti per ridurre il peso della burocrazia, noi lo abbiamo visto aumentare. Nel momento in cui molti big dell’industria italiana hanno chiuso i battenti (perfino la storica fabbrica della Moka Bialetti ha deciso di trasferirsi all’estero, nell’Europa dell’Est), i giovani che vorrebbero aprire nuove attività desistono dal farlo: ancora oggi un numero spropositato di regole e formalismi restano il primo ostacolo per chi decide di sfidare il mercato. E’ anche per questo che il fenomeno dell’ “imprenditoria giovanile” di cui tanti Governi (soprattutto regionali, in particolare nel Mezzogiorno) hanno fatto sfoggio in questi anni, in parte, ha fallito.

Sbandierata come rimedio miracoloso contro la disoccupazione e occasione per buttarsi “in proprio” nel mercato del lavoro, ha fatto passare il messaggio che fare impresa fosse un obiettivo facilmente raggiungibile. In molti casi l’impresa è nata e ha perfino resistito allo tsunami della crisi economica, ma grazie soprattutto a sussidi a pioggia che arrivavano dall’Europa non alla libertà economica dell’Italia. Sono infatti le barriere burocratiche (ed economiche) a frenare il ricambio generazionale di qualsiasi comparto economico. Industria, agricoltura, turismo, nessuno è immune dal virus molto italiano e poco europeo. Perfino il numero di procedure legali richieste per registrare una proprietà come un terreno o un fabbricato in Italia è più alto che altrove. Eppure semplificazione amministrativa e riduzione dei tempi di risposta della pubblica amministrazione rappresentano il primo presupposto per concedere alle imprese e agli individui maggiore flessibilità e operatività.

Poi, sempre che si riesca a buttar giù il progetto e avviare l’attività, arriva il fisco. Che con estrema nonchalance ti succhia il sangue dalle vene. Le tasse prendono denaro e tempo agli imprenditori italiani: soltanto gli adempimenti burocratici per pagare imposte e contributi richiedono ben 360 ore l’anno contro le 254 negli altri paesi europei e le 58 nel paese più virtuoso, il Lussemburgo.

L’Istituto Bruno Leoni ferma il tempo con un click che regala l’immagine di un Paese immobile, dove da anni l’ingranaggio non funziona più. Le nostre imprese, in una scala da 0 a 100, godono di una libertà pari a 35. Stacchiamo il Paese più virtuoso di ben 39 punti: l’esempio a cui dovremmo guardare è l’Irlanda (in vetta, con una libertà di 74). E la media europea? E’ di 57, quindi 22 punti sopra la nostra. Siamo ultimi, con 31, nella libertà dal fisco; ultimi, con 18, nella libertà dalla regolazione; penultimi (dietro di noi solo la Grecia) nella libertà d’impresa. Sempre gli ultimi della classe, con l’eccezione della libertà del lavoro, dove andiamo meglio di Francia, Grecia, Germania e Portogallo.

Confindustria, avvalendosi proprio dello studio dell’Ibl, lo dirà chiaro e tondo oggi e domani al Forum di Parma davanti a una platea di oltre 5mila imprenditori: per troppi vincoli e troppi ostacoli, il nostro Paese da parecchi anni non è un luogo dove imprese e capitali stranieri trovino interessante investire, mentre le aziende italiane sono spinte a spostare altrove gli impianti alla ricerca di opportunità migliori.

E’ tempo di riforme, soprattutto perché il treno della ripresa non aspetta i ritardatari. Lo studio indica come prioritarie quella della PA, un taglio alla spesa pubblica improduttiva e del carico fiscale, soffocante per imprese e persone. L’Istituto Bruno Leoni sottolinea come l’aliquota marginale sul reddito d’impresa in Italia è del 32%, contro una media europea del 23,5%. La pressione fiscale media sui profitti è del 22,9% contro un 12% comunitario. Per gli individui l’aliquota massima è del 43% a fronte del 35,7% medio dell’Ue. E abbiamo cinque scaglioni rispetto a una media europea che ne vede solo 3.  Come dire, la riforma del sistema tributario è improcrastinabile. Per l’Ibl la strada da seguire passa per il ridimensionamento della presenza dello stato, per ridurre il fisco e fare investimenti.

Tra gli aspetti più critici c’è anche la libertà della regolazione, ovvero la qualità di norme e regole e l’efficienza del settore pubblico. La via del miglioramento passa anche per la previdenza: l’Italia deve fronteggiare un enorme debito pensionistico e deve mettere in moto riforme strutturali che vadano incontro al futuro previdenziale delle nuove generazioni.

Che altro dire? Per i giovani, già oggi, pensare alla pensione e fare impresa è un’impresa.

L’Occidentale