Privacy Policy Cookie Policy

Introduzione del senatore Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato e presidente onorario della Fondazione Magna Carta, al convegno I diritti nel mondo digitale” che si è svolto a Roma il 6 maggio.

 

Il mondo del digitale è davvero affascinante e sta diventando l’espressione concreta (in termini culturali, sociali e economici) del “capitalismo” del 3° Millennio. E’ il massimo esempio del libero mercato, liberamente applicato, che però si cerca ancora di controllare, plasmare, deviare, aggiustare, senza ottenere i risultati voluti. Con un cellulare filmo e metto a disposizione del mondo intero il mio filmato. Con una breve frase su Facebook riempio la più grande piazza di una città. Con un blog o un banner, in vivo o in codice, trasmetto messaggi per salvare qualcuno o per ucciderlo.

Con l’avvento e la diffusione del digitale è incominciata la rapida smaterializzazione dell’informazione tradizionale e si è sviluppata una sempre più diffusa incapacità (sia tra gli utenti che tra gli operatori) di distinguere il nuovo dall’innovazione, da ciò che è davvero originale. Il virtuale è diventato l’autentica rappresentazione del reale, ma pochi se ne sono resi conto. Ed è diventato, non uno strumento o un fatto, ma un mondo, appunto, il mondo del digitale come abbiamo nel titolo di questo convegno, vera e propria rivoluzione culturale fondamentale, che cambierà sempre più gli schemi di pensiero (anzi, nei venti trentenni stanno già cambiando) e alla quale siamo chiamati, non solo a sviluppare con ogni forza una cultura del virtuale ben munita di spirito critico, ma a ricercare risposte che non potranno essere soltanto tecnocratiche e giuridiche.

Perché? Perché l’approccio tradizionale, sia al concetto di “diritti nel mondo digitale”, sia alle conseguenti applicazioni di tali diritti, ha già perso il treno nell’ottica del controllo e della modellazione di questo mondo che sfugge ogni tipo di controllo e di ordine.

Il mondo del digitale, come tutte le cose, può dare frutti buoni o cattivi, a secondo del suo utilizzo e della sua applicazione. Può – ed è questo un aspetto molto stimolante se concepito con buona coscienza – essere un mezzo eccellente per diminuire il divario culturale sociale ed economico tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, avendo tra l’altro già annullato de facto il concetto di territorio – in particolare in Internet, piattaforma certamente più agile della televisione, visto che non necessita di tante infrastrutture tecniche. Il mondo del digitale sta capovolgendo, ad esempio, la nozione di tutela dei contenuti, per il quale il trend che si registra va sempre più verso quel concetto di proprietà, proprio della giurisprudenza anglosassone, che è il diritto del “fair use”, ossia, più che un diritto di autore, un diritto dell’utente, in un’ottica di protezione degli utenti in vista del bene comune. Quindi, pur avendo i mezzi tecnici, ancorché relativi e riduttivi (vedi Internet in particolare), per una protezione dei diritti d’autore, si tenderà, volenti o nolenti, a favorire più ampi diritti agli utenti che non ai produttori. Pretendere di proteggere un software, uno scritto, un format televisivo, una foto o un filmato, ideato o prodotto in una parte del mondo, dal plagio in un’altra parte del mondo è pura illusione. Certo, con la firma digitale esiste un sistema che permette quasi totalmente una protezione d’autore, ma presenta l’inconveniente di limitare notevolmente la sua diffusione e la sua conoscenza, il contrario cioè dell’essenza stessa del digitale. Questo sta dando inizio a uno sviluppo del brand, che non si poteva concepire, fino a pochi anni orsono, nel digitale. Il brand che supera il valore dei contenuti (vedi Window, Norton esempi per Internet o Fox, Walt Disney ecc per la TV). Sono brand che si sono sviluppati come tali, perché o offrono degli standard, quindi delle semplificazioni, per il non territorio digitale oppure rappresentano norme globali de facto, la cui applicazione opera nel bene comune. Un po’ come è successo con la standardizzazione dei binari delle ferrovie, della corrente elettrica, della segnaletica stradale e così via, che ha superato i confini puramente territoriali.

Ed è qui che si dovrà giocare la partita delle regole per la concorrenza, in maniera che non si creino monopoli o oligopoli contrari al bene comune, all’interesse di tutti. Ma come progettare delle regole di tutela della concorrenza delle piattaforme che coprano un non territorio? E se ci si concentra “intanto” sul proprio territorio, cosa si ottiene? La dimensione della competitività è totalmente nuova, ma soprattutto in continuo inarrestabile e incontrollabile mutamento. Mutamento che è meno legato alla gestione e all’operatività del produttore o dell’industria relativa e molto più invece al mood degli utenti e alla fantasia delle applicazioni che spesso nasce, appunto, dagli stessi utenti.

In questo mondo che presenta, con rapidità inconsueta, evoluzioni continue sul potenziamento delle reti e delle loro funzioni, sulla comodità e flessibilità delle applicazioni operative e che provoca incessanti mutamenti dei modelli di consumo, di business e di concorrenza, l legislatore, non solo italiano, è sembrato finora del tutto impreparato ad affrontare il tema, anche per la difficoltà di conoscenza di un settore nuovo in continuo straordinario cambiamento e forse anche per l’incapacità a ragionare e analizzare il tema fuori dagli schemi tradizionali e tradizionalisti. Di fatto, sarei tentato di sostenere che la piattaforma degli utenti, in Italia e nel mondo, stimola e gestisce già splendidamente la concorrenza tra le piattaforme e che lo farebbe ancora meglio se non si frapponessero, come per la tv, discutibili misuratori di audience e simili (I sistemi interattivi sicuramente risultano più affidabili). E’ questa piattaforma degli utenti, l’altra piattaforma, che deciderà anche sul pluralismo e che, in qualche modo, possiamo credere che lo garantirà.

Alla luce di queste considerazioni – e non solo –, è chiaro che l’attuale Testo Unico della radiotelevisione ha aspetti ormai obsoleti, pur essendo datato di soli cinque anni fa. Ma quali possono essere le proposte nuove che si adattino, semplificandolo, al mondo digitale, non soltanto come si presenta ora, ma come sarà tra alcuni anni? Lascio a voi l’analisi, con la fiducia che la discussione sia prolifera e produttiva.

Prima di dare il via agli interventi, però, vorrei toccare ancora un punto che, anche se spesso trascurato o considerato come secondario, appare invece a me sicuramente non meno importante, rispetto ai vari punti che saranno a breve trattati: la garanzia per il cittadino, ossia, in poche parole, la questione della tutela e della sicurezza al cittadino nel mondo digitale.

Qui ci sono aspetti diversi. Per esempio, i network televisivi, i broadcast hanno una responsabilità importante sui contenuti da una parte e sulla privacy dall’altra. Un mio amico protestava il giorno che ha dovuto installare il decoder, perché chiamando il provider per istruzioni tecniche, si è accorto che questi poteva connettersi direttamente al suo decoder e al suo televisore. Si sentiva spiato in casa sua… E sui contenuti sappiamo quanto poco facciano le leggi in vigore, per esempio a protezione dei minori adolescenti, affidando così tutto al solo “potere”, positivo o negativo a secondo di come lo si usi, del telecomando.

Per Internet, che include telefonini e IPhone, il problema della tutela e della sicurezza del cittadino esiste ed è da tutti considerato grave. Primo fra tutti, anche come sensibilità popolare, è quello della privacy, che vede sempre più una diminuzione della barriera di protezione, come ad esempio per la tracciabilità degli indirizzi di posta elettronica (nonché la tracciabilità dei telefoni cellulari). A questo si aggiungono quelli della sicurezza informatica, che riguardano sia i privati cittadini che le imprese e che si suddividono in sicurezza delle informazioni, quale protezione delle informazioni che transitano in rete, e sicurezza dei sistemi, intesa come protezione dei dispositivi e delle applicazioni che consentono di realizzare le comunicazioni tra host in Internet e la diffusione dei servizi.

Ma c’è un altro problema, che si potrebbe situare a monte dei precedenti, e cioè quello dei contenuti che vengono messi in rete accessibili a tutti. Mi riferisco, con maggiore gravità, agli ultimi fatti di cronaca di filmini violenti o di abusi o persino di omicidi, di pedofilia, di incitazione al terrorismo e altri orrori del genere, che vengono quotidianamente messi in rete e che sono un fenomeno per nulla trascurabile. Saranno proprio le leggi e le eventuali limitazioni correlate a fermare questi fenomeni o a evitare che si verifichino? E’ davvero percorribile una soluzione legislativa per arrivare ai risultati che la maggioranza degli utenti auspicherebbe? O non è forse meglio concentrarsi su un’educazione adeguata per un utilizzo consapevole dei contenuti in Internet? Magari utilizzando, bene (!), la rete Internet… Si potrà davvero in un futuro prossimo offrire al cittadino vere garanzie o dovrà lui stesso proteggersi, affidandosi alla consapevolezza del male che viaggia sulle reti e a una conoscenza aggiornata e approfondita appunto di questi mali e problemi, che spesso si trasformano in veri e propri pericoli?

Insomma, l’umanità ha partorito, quasi senza accorgersene, questo meraviglioso e anche pericoloso mondo digitale, al quale ha legato ormai gran parte delle sue attività quotidiane private e professionali, ma ancora non ha saputo integrare questo suo “prodotto” al quale si è indissolubilmente legata al rispetto dei diritti fondamentali delle persone e dei frutti del proprio operare quotidiano. O no?