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La notizia che il Governo abbia richiamato Lazio, Campania, Calabria e Molise affinché aumentino le tasse per ripianare il disavanzo delle spese sanitarie è un segnale importante di rigore.

Premetto che ritengo che il modo più appropriato per “chiudere” i disavanzi dei conti pubblici sia di ridurre le spese e non di aumentare le tasse. Osservo però che in questo caso chiedere alle Regioni di aumentare le imposte è una misura più che opportuna. Essa pone, infatti, rimedio a una gravissima anomalia del nostro sistema fiscale: la pressoché completa dissociazione tra la facoltà di spendere soldi pubblici e la responsabilità di reperire le risorse per finanziare tali spese; la così detta finanza derivata. Da questo punto di vista il nostro paese è un’eccezione – negativa – nel novero dei grandi paesi industriali.

In Italia circa metà della spesa pubblica – escluse pensioni e interessi – è di competenza degli enti territoriali e per la restante metà dello Stato. Per quanto riguarda le entrate, invece, gli enti raccolgono meno del 20 per cento e lo Stato si deve accollare il restante 80 per cento. La copertura delle spese degli enti – di cui la sanità è la voce più rilevante – è per la più parte finanziato da risorse “derivate” dallo Stato.

Si capisce chiaramente che un meccanismo siffatto disincentiva i politici locali a controllare e razionalizzare la gestione della sanità. Spendere sul territorio per prestazioni sanitarie accresce il consenso elettorale da parte dei beneficiari dei servizi erogati e da parte di tutti i soggetti che tali servizi forniscono: imprese, medici, infermieri.

Chi paga i costi è invece distante. Sono i contribuenti di tutto il territorio nazionale a farsene carico e essendo questi costi “spalmati” su un numero molto vasto di elettori sono anche meno visibili.

L’iniziativa avviata oggi ha quindi il pregio di ristabilire un più efficace controllo da parte dell’elettorato sull’ammontare e la qualità della spesa pubblica e di realizzare un’effettiva “concorrenza” tra amministrazioni virtuose per offrire ai cittadini servizi pubblici migliori a costi più convenienti. 

Essa ha inoltre il pregio, non indifferente, di moralizzare la competizione politica. Se i costi degli sprechi e dei malfunzionamenti si “trasformano” in nuove tasse, forse gli stessi elettori si preoccuperanno di scegliere amministratori efficienti e onesti e meno sensibili alle “lobby” affaristiche.

C’è poi una considerazione politica che dovrebbe indurre i Governatori del Lazio, della Campania e della Calabria a non porre troppi ostacoli all’iniziativa. Essendo neo-eletti non sono certo responsabili dei disavanzi accumulati dai loro predecessori, che per di più militavano in schieramenti opposti. Colgano, quindi, la palla al balzo.

Alzino le tasse, come richiesto, per cause a loro non imputabili e nei cinque anni di mandato riducano sprechi e inefficienze ripresentandosi ai loro elettori con una bella riduzione di imposte alla prossima tornata elettorale.

l’Occidentale