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E’ noto a tutti che il mondo delle reti e dei servizi pubblici di comunicazione sta attraversando una fase di grande trasformazione con importanti ricadute non solo sugli aspetti industriali ed economici del settore, ma anche sull’intero sistema socio-economico. I fattori chiave di questa trasformazione risiedono principalmente nello sviluppo delle tecnologie ICT (Information&Communication Technology) per la realizzazione di reti di comunicazione di nuova generazione (NGN – Next Generation Network) a Banda Larga.

La NGN rappresenta un’infrastruttura strategica per la crescita di ogni Paese, con le classiche implicazioni su come governare la sua realizzazione e sostenere i relativi investimenti. Per favorirne lo sviluppo utilizzando fondi privati, quattro operatori, Fastweb, Vodafone, Wind e Tiscali, recentemente hanno presentato al Governo un programma per la realizzazione di una rete di nuova generazione sul territorio nazionale. Telecom Italia non appare interessata ad aderire a tale programma, avendone infatti elaborato uno proprio in cui è previsto anche l’utilizzo di fondi pubblici; tale piano si presenta però alquanto incoerente con le esigenze nazionali  in quanto, pur generando cassa per oltre un miliardo di euro, da un lato ha comunicato ai lavoratori un piano di licenziamenti molto incisivo [1], dall’altro ha scelto di puntare sulla rendita derivante dalla vecchia rete in rame chiedendo all’Autorità di settore di aumentare del 14% i canoni che l’ex monopolista applica agli operatori concorrenti per il cosiddetto «ultimo miglio» della rete, che consente l’accesso ai clienti finali [2].

Tale aumento dei canoni di unbundling consentirebbe di apprezzare la vecchia rete in rame, diminuendo, di conseguenza, l’interesse economico di Telecom Italia a partecipare alla realizzazione di nuovi investimenti in fibra. In tale contesto, Telecom Italia ha pensato anche di diminuire la propria forza lavoro. Tutto ciò ha non solo un impatto sociale pesante per il Paese, ma di fatto grava sui conti dei concorrenti con oneri ingiustificati e impoverisce l’intero mercato delle telecomunicazioni a suo esclusivo vantaggio. E’ evidente che così facendo anche le condizioni per una eventuale ricollocazione presso le aziende concorrenti dei lavoratori in uscita da Telecom Italia diventa impossibile.

In un momento in cui si parla esclusivamente della necessità della ripresa dell’economia, dello sviluppo del Paese e della realizzazione delle nuove infrastrutture in fibra, sembra anacronistico che Telecom Italia tenti di aumentare i costi di affitto della propria rete in rame. La rete in rame oramia ha più di 50 anni e il relativo costo è stato certamente ammortizzato. Andrebbe poi considerato che, ipotizzando un incremento dei prezzi dei servizi all’ingrosso in rame, Telecom Italia non avrà interesse concreto ad investire nella fibra, se non in aree specifiche, creando un’Italia a due corsie di scorrimento. Lavorare nella direzione di un’uniformità di fruizione tecnologica è un obbligo, al fine di favorire lo sviluppo economico dell’intero Paese senza alcuna discriminazione territoriale e concorrenziale.

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[1] Telecom Italia ha annunciato un piano triennale 2010-2012 di oltre 6.822 esuberi, di cui 3.700 entro giugno 2011

[2] Nonostante gli aumenti già riconosciuti negli anni 2008 e 2009 che porterebbero ad un incremento complessivo in tre anni pari al 26%