Si potrebbe dire che le potenze emergenti siano già emerse, e che fino a quando in Cina i sindacati saranno un miraggio la competizione tra i mercati mondiali sarà sfavorevole per le potenze occidentali. Ma la globalizzazione è fatta di luci e di ombre. L’importante e stabilire quali sono le luci per non precipitare nel buio. Un libro ci aiuta a scoprire come.
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Nonostante il titolo del suo ultimo libro possa suonare minaccioso – Losing Control. The Emerging Threats to Western Prosperity (Yale University Press 2010) – Stephen D. King non è un apocalittico. Non crede neppure che il capitalismo o l’economia mondiale siano destinati a una fine ingloriosa. Se mai, stanno cambiando. E l’autore appare tutto sommato ottimista verso quegli aspetti della globalizzazione che hanno determinato “l’apertura” e le opportunità della società in cui ci troviamo a vivere, a dispetto dei timori di molti politici, analisti, e di riflesso della gente comune.
Sarà che di quella globalizzazione King è protagonista in prima persona, essendo Chief Economist del colosso bancario HSBC e avendo quindi masticato per 25 anni dati, proiezioni e studi sul nostro futuro prossimo. Che, è bene iniziare a immaginarselo, sarà molto diverso dal presente. Se tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta l’economia mondiale era per definizione quella occidentale, entro il 2050 non sarà più così, perché la crescita e lo sviluppo delle potenze emergenti, unito a una diminuzione della popolazione in Occidente, avranno provocato nuovi assetti ed equilibri di cui ancora non ci rendiamo conto.
Serve allora uno sforzo di immaginazione ed è per questo che King ha scritto il suo libro. Un po’, spiega, la mancanza di comprensione verso ciò che sta avvenendo è colpa degli economisti, troppo presi dai loro modelli matematici che si concentrano sul breve e medio periodo, mentre invece servirebbe un’analisi di lungo, anzi lunghissimo periodo, e quindi una maggiore conoscenza della Storia economica, fronteggiare le crisi cicliche del sistema economico, ed illuminare scenari futuri. Un po’ perché la globalizzazione, proprio per il suo essere una rivoluzione al pari di quella industriale, ha generato paura anche nel mondo occidentale, che adesso teme di aver perso la sua prosperità e reagisce confusamente e in ordine sparso al cambiamento.
I governi nazionali continuano a parlare unicamente di choc delle economie interne, come se i loro Paesi fossero su un altro pianeta rispetto a quello che succede nel resto del mondo; per non dire, osserva King, delle politiche migratorie restrittive messe in atto da chi deve aver dimenticato come le frontiere e un certo modo di gestirle – impedendo la libera circolazione delle merci e la mobilità dei lavoratori – siano il frutto marcio del Ventesimo secolo, un’invenzione novecentesca. Come pure al secolo scorso appartengono rigurgiti etnici e protezionistici che attualmente sono altrettanti muri alzati contro la globalizzazione. E’ da qui che bisogna ripartire per comprendere che il passaggio della Cina all’economia di mercato è stata la grande mutazione della nostra epoca, e che se non facciamo i conti con quello che accade in India o in Brasile finiremo per leccarci le ferite.
Piuttosto, cerchiamo di capire perché il dollaro, un giorno, potrebbe essere sostituito dal renminbi, oppure perché il modello dell’euro appare una scelta accattivante per una moneta unica asiatica. Insomma, prendiamo atto che una maggiore ridistribuzione della ricchezza e del potere nel mondo è destinata a cambiare gli stili di vita dei consumatori occidentali, ma non fasciamoci la testa, perché questo significherà maggiore libertà per i mercati, come pure l’opportunità, per milioni di persone, di uscire dalla povertà e dalla fame.
Certo, si potrebbe dire che il discorso di King sia quasi superato dai fatti – le potenze emergenti sono già emerse e fino a quando in Cina i sindacati continueranno ad essere un miraggio la competizione tra i mercati mondiali finirà per essere sfavorevole alle potenze occidentali. Ma la globalizzazione è fatta di luci e di ombre, non è una novità. L’importante e stabilire quali sono le luci per non precipitare nel buio.