a cura della Fondazione Magna Carta
La riforma costituzionale della giustizia presentata dal ministro Alfano e approvata dal Consiglio dei Ministri il 10 marzo 2011 non nasce dal nulla e non è un reato. Non è un capriccio, né tantomeno è una punizione o una controriforma.
La riforma della giustizia, reclamata dalla grande maggioranza dei cittadini che ha dato e più volte confermato la sua fiducia al governo Berlusconi, e attesa da un Paese che dopo centocinquant’anni di unità aspetta finalmente di diventare una democrazia moderna, nasce da una consapevole riflessione sull’architettura del nostro ordinamento giudiziario. Dall’osservazione di come i principi e i meccanismi che regolano in astratto il funzionamento della giustizia italiana si siano progressivamente deformati nella pratica concreta e quotidiana. Dalla presa d’atto dello scollamento che vi è fra la teoria e la realtà, con un equilibrio apparente divenuto nei fatti squilibrio sistematico e quasi istituzionalizzato.
Soprattutto, nasce dalla convinzione che in un sistema-Paese che evolve verso la maturità sarebbe da irresponsabili lasciare indietro, ostaggio del partito della conservazione, uno dei pilastri sui quali si fonda la possibilità di una democrazia di definirsi “democrazia dei moderni”.
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