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Il diritto canonico avrebbe richiesto minimo cinque anni. E invece, oltre ogni previsione e tempistica pontificia, cioè in tempi eccezionalmente brevi, Papa Giovanni Paolo II oggi viene beatificato. Si potrebbe azzardare l’ipotesi che i tanti santi e beati, questa schiera di “protettori celesti” da lui elevati all’onore degli altari in un numero record, oltre mille, abbiano contribuito ad abbreviare l’iter della beatificazione. Lui stesso, di fronte alla perplessità di proclamare con troppa facilità e velocità le virtù eroiche di tanti cristiani, rispondeva dicendo che proprio la santità cristiana, la coerenza della vita, la trasparenza della virtù devono essere il fine, l’obiettivo di tutti i fedeli di Cristo. Wojtyla ha voluto affermare la santità della vita di persone comuni, di padri, madri, giovani, non solo preti e suore. Voleva che il vangelo permeasse tutto e tutti. In particolare i giovani, con la loro energia, vivacità ed entusiasmo divennero particolari destinatari della sua preghiera ed attenzione.

In realtà, fin dal giorno della sua “dipartita alla casa del Padre”, il sensus fidei del popolo di Dio aveva già acclamato santo per papa Giovanni Paolo II. Già in vita si percepiva la grandezza dell’uomo, ma quello che il pudore frenava prima, ora, dopo la sua morte, è diventato come un fiume in piena. Il numero di persone che testimoniano la sua ricca e profonda personalità sembra non arrestarsi mai. L’ufficio di Roma per la postulazione è inondato di lettere ed email, pagine di facebook, video su youtube, i libri e le conferenze che si organizzano per raccontare le diverse sfaccettature di questo carismatico protagonista dei nostri tempi non si contano più.

Il papa venuto da lontano, che ha cambiato la storia, il nemico del comunismo, il papa sportivo, il papa pellegrino nel mondo, il Grande pontefice. Sono solo alcuni dei titoli con cui si è cercato di rappresentare e racchiudere in sintetiche affermazioni la grandezza umana, spirituale e storica di Karol Wojtyla, sacerdote, cardinale e Pontefice della Chiesa Cattolica dal 16 Ottobre 1978 al 2 Aprile 2005. Gli oltre 26 anni di ministero e una forza fisica e morale incontenibili, gli hanno permesso di infrangere ogni tipo di record ed imprimere alla storia della Chiesa e a quella ‘laica’ un’impronta decisiva ed indelebile. Fin dalle sue prime parole pronunciate nell’omelia di inaugurazione del suo servizio petrino, il 22 Ottobre, quel “non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!”, Wojtyla manifestò chiaramente a tutto il mondo l’ampiezza di visione del suo progetto pastorale e la forza morale che aveva dentro di sé e che lo avrebbe portato davvero tanto lontano.

L’uomo è sempre stato al centro della sua attenzione, sia per quello che lui stesso aveva vissuto durante gli anni della dittatura comunista in Polonia, della guerra, e della perdita dei genitori e familiari, sia per quella profonda esperienza di fede avuta con l’incontro di Cristo, unico salvatore dell’uomo e della storia. Nella sua prima enciclica, che è la chiave di lettura di tutto il suo impianto teologico, pastorale e antropologico, il tema e il titolo stesso, “Redemptor hominum”, esprimono il suo desiderio di guardare alla storia dal suo baricentro che è Gesù Cristo, indissolubilmente legato alla missione di salvare l’uomo, di dargli quel senso, quella dignità, quella forza che può essere trovata solo nella fede. Papa Wojtyla ha incontrato milioni di fedeli, centinaia di capi di Stato, ha viaggiato per migliaia di chilometri per visitare e rafforzare le comunità cristiane sparse nel mondo, ha scritto decine di documenti, ha cercato di costruire ponti di dialogo con le altre confessioni cristiane, con gli ebrei (memorabile la sua storica visita alla sinagoga di Roma), con le altre religioni (altrettanto storico l’incontro di preghiera ad Assisi con tutti capi religiosi del mondo), ma sempre e soltanto per far conoscere la bellezza e la forza di Cristo.

Era profondamente consapevole della immensa responsabilità del suo ‘ruolo’, e per questo ha saputo e voluto realizzare tutto ciò che poteva affinché l’uomo, ogni uomo, potesse vedere rispettata la sua dignità e la sua apertura al divino, affinché il Vangelo, annuncio di vita, “Evangelium vitae” (come è intitolata un’altra sua enciclica), potesse risplendere in ogni ambito della vita umana. Non a caso è stato definito uno dei protagonisti della caduta del muro di Berlino, del crollo del sistema dittatoriale comunista. Lui che ne aveva sperimentata la diabolica chiusura a Dio, la subdola schiavitù psicologica e la sterile base antropologica. Egli volle far entrare la prospettiva cristiana in ogni ambito senza offrire soluzioni facili e scorciatoie, ma consapevole della solidità e validità della proposta cristiana in ambito sociale, del lavoro, dell’economia e della politica. Dedicò ben tre encicliche ai temi sociali del lavoro e dell’economia, “Laborem exercens”, “Sollecitudo rei socialis”, “Centesimus annus”. Un altro trittico di vasto respiro e profondità teologica lo ha lasciato per fondare la missione della Chiesa e la speranza certa nel perdono e nel riscatto della miseria umana, nelle encicliche “Dives in misericordia”, “Dominus et vivificantem”, “Redemptoris missio”.

Non ha mai dedicato alla comunicazione un documento ufficiale  di alto magistero, ma la sua gestualità, il tono della voce, lo sguardo attento e profondo, l’esperienza di attore e soprattutto l’amore verso la Verità del vangelo, lo hanno reso uno dei più grandi comunicatori della storia. Joaquim Navarro Valls, suo portavoce fino alla morte, lo ricorda così: “si trovava a suo agio nell’atto di comunicare”. La forza della sua comunicatività risiedeva in una duplice, inossidabile fiducia: nella certezza della capacità dell’uomo di poter cogliere il Vero e nella Verità delle parole del Vangelo, che lui sempre ed unicamente voleva annunciare.