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“Il nostro Paese – scriveva Corrado Alvaro – non può avere altra civiltà che di intelligenza, qualità, tecnica, individualità, personalità” che non sia quella della provincia. Ce ne rendiamo conto facilmente parlando con Giordano Bruno Guerri, storico e scrittore, Presidente del Vittoriale degli Italiani. Quest’anno, Guerri cura il cartellone dell’estate pescarese. Martedì prossimo sarà ospite dei Dialoghi DiVini, la rassegna periodica organizzata dalla fondazione Magna Carta, per spiegare il suo ambizioso progetto: fare di Pescara un modello per una gestione, creativa quanto manageriale, della cultura in Italia. Trasformare la provincia nel centro di ispirazione, e d’irradiazione, dei giovani artisti e scrittori di domani. Sotto l’occhio, fiero e benigno, del Vate D’Annunzio.

Professore, cosa bolle in pentola nell’estate pescarese?

Il sindaco di Pescara, Luigi Arbore Mascia, mi ha chiesto di curare l’immagine della città abruzzese. Così ho raccolto in un solo festival, “Tener-a-mente”, le manifestazioni cittadine del passato che andavano ognuna per conto proprio (Pescara Jazz, il Premio Flaiano, gli eventi del Vittoriale, il Festival D’Annunzio, N.d.R). Un solo cartellone, per rafforzare ed esprimere al meglio le potenzialità culturali di questa terra. Se dovessi usare uno slogan sarebbe “dal pensiero unico a quello combinato”.   

E’ un modello esportabile in Italia?

L’associazione “Gemellaggi Dannunziani” dovrebbe trasformarsi in una fondazione, per fare rete, creando un circuito di condivisione degli eventi che favorisca i piccoli centri, le città italiane che non possono permettersi una politica culturale troppo costosa; contemporaneamente, bisogna semplificare l’accesso ai fondi europei. Voglio fondere gli eventi, di per sé effimeri, con l’economia d’impresa. Fare cultura in modo manageriale. Credo che sia questo il vero modello che Pescara può offrire all’Italia.

Perché “Tener-a-mente”?

E’ un gioco di parole coniato da D’Annunzio in una delle sue epistole d’amore. Ovviamente gli eventi in programma non saranno legati unicamente alla figura del Vate, ma sono coerenti con la sua idea del bello. Iniziamo il 3 luglio con Eleonora Abbagnato, ballerina dell’Opera di Parigi, ma ci sarà anche spazio per il rock, un grande concerto di Lou Reed.

Dobbiamo aspettarci delle novità su D’Annunzio?

Sì, una è già stata annunciata: la mostra al Museo “D’Annunzio Eroe” del Vittoriale, con 72 oggetti d’arte appartenuti al Vate. Tra essi c’è il manoscritto autografo de La Notte di Caprera, dedicato a Giuseppe Garibaldi, che ritengo calzante nell’anno del Centocinquantennale. Ma voglio anticiparle una chicca per settembre. Lei saprà che quello della filologia è un mondo complesso e variegato, ed è per questo che ho intenzione di fare una piccola rivoluzione all’interno degli studi filologici. Ho affidato La Gioconda, una delle tragedie dannunziane, ai RIS di Parma. Dovrebbero essere in grado di scoprire cosa c’è sotto le cancellature apportate dall’autore, risalendo alle diverse stesure dell’opera. Avremo un’edizione critica assolutamente inedita e, se le cose andranno come credo, il risultato cambierà profondamente il modo di fare della filologia.        

D’Annunzio non ha mai dimenticato le sue origini. Dalle Novelle della Pescara emerge un mondo liminare, appartato e indecifrabile, anche violento, dai tratti crudelmente veristi. Era anche un narratore di provincia?

D’Annunzio ha sempre guardato al mondo internazionale: i protagonisti dei suoi romanzi più celebri sono interpreti del superomismo, incarnano l’esteta capace di qualsivoglia impresa, ma in molte opere teatrali – penso a La figlia di Iorio – o nelle Novelle della Pescara l’autore ritrae con grande realismo la gente del luogo, i semplici e i dimenticati. Il Vate sentì per tutta la vita la forza della sua abruzzesità. Per cui seguire questa doppia anima mi sembra un buon percorso di ricerca.

Il critico Generoso Picone ha evocato una “linea adriatica” della nostra letteratura noceventesca

Vero. C’è Flaiano, che aveva la sua casa a una cinquantina di metri da quella di D’Annunzio, c’è il Comisso “fluviale”, c’è Mino Maccari… Lo Strapaese… L’Adriatico è un territorio pieno di vitalità, da Trieste alle Puglie: è un mare chiuso, che ha unito più che dividere. Pensi al cognome del biscegliese Marcello Veneziani, secondo lei da dove può derivare?

Un altroscrittore italiano, Pier Vittorio Tondelli, ha inserito Pescara fra le “capitali morali” della cultura italiana degli anni Ottanta. La fauna trendy di artisti, giovani scrittori, fumettari e videomaker di cui parlava Tondelli è ancora viva?

Tondelli è stato un mio grande amico. Pensi a quello che scrive su Andrea Pazienza, abruzzese anche lui, ma di San Benedetto del Tronto. Quando sono a Pescara percepisco questo ribollire di attori, musicisti, galleristi, che hanno solo bisogno di uscire, di andarsene – è inevitabile che lo facciano – e di esprimere tutta la loro creatività in giro per il mondo. Ho deciso di impiegarli al massimo finché avrò la gestione dell’estate pescarese.

Se pensa a questi under 30 chi le viene in mente?

Barbara Di Gregorio, che quest’anno ha pubblicato con Rizzoli il romanzo Le giostre sono per gli scemi, in lizza al Campiello. Il libro racconta Pescara più di un secolo dopo le novelle dannunziane. Ieri come oggi, gli stessi ritratti di follia di cui parlavamo poc’anzi.